Prologo: Dead Hero

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Ciao a tutti, inauguro la mia presenza su questo sito con una fanfiction su una delle mie coppie preferite in assoluto!

Avverto fin da subito che questa storia ha contenuti sessuali espliciti e che tratta di prigionia, PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder, disturbo da stress post-traumatico) e hurt/comfort. Si ambienta dopo il primo film degli Avengers, senza tenere conto dei film successivi, ed è incentrata sulla FrostIron, ovvero sulla coppia Loki/Tony Stark.

Spero che vi piaccia, qualsiasi commento è benaccetto!

Credits: Un enorme grazie a MMsamantha per la bellissima cover <3


§


Iron Man era morto.

Non la sua parte più debole, immorale e fastidiosa, perché Stark c'era ancora, almeno come involucro fisico del genio dissoluto che aveva monopolizzato la tecnologia degli ultimi decenni; ma l'eroe che aveva protetto le persone, ed era davvero riuscito a convincere se stesso della propria utilità, era caduto, sconfitto dalla sua stessa impotenza.

Occhi castani si aprirono in un buio tanto intenso da dare i brividi, ma non portavano riflessa alcuna emozione, né paura né sfida.

Quegli occhi erano vuoti.


Era un ambiente asettico e così gelido da sembrare scavato nella pietra. L'unico elemento presente tra le quattro mura che delimitavano la sua vita era un secchio per i bisogni, il resto della cella era completamente vuoto; non gli avevano concesso né un letto né una coperta, e l'assenza di vestiti rendeva il freddo ancora più insopportabile.

Seduto nella posizione più adatta a mantenere il calore corporeo senza gravare troppo sulle ferite, appoggiò le braccia alle ginocchia raccolte al petto, sentendo il peso sempre più consistente delle catene che collegavano i polsi tra loro e al collare di metallo che aveva attorno al collo. Non gliele toglievano mai, se non per bloccargli le mani sopra la testa quando i suoi carnefici decidevano che era giunto il momento di altre sofferenze, e ormai il continuo sfregamento dell'acciaio sui suoi polsi aveva scavato la pelle fino a decorarli con due bracciali di sangue incrostato. Li tracciò quasi con curiosità, incurante delle fitte familiari che si propagarono lungo tutto il braccio malgrado la minima pressione delle proprie dita. Il dolore non era nulla di nuovo, per lui. Aveva fatto parte della sua vita ben prima dell'Afghanistan, si era intrecciato al suo cammino come Iron Man ed era stato il suo fedele compagno nella solitudine di quella prigione, sempre presente eppure mai tanto affilato da risultargli insopportabile.

La sua schiena aveva cominciato a guarire e adesso riusciva a stendersi supino senza doversi mordere le labbra per non urlare; questo significava solo che presto sarebbero arrivati gli uomini mascherati, quei due soldati abbastanza imponenti da rivaleggiare con Steve o Thor di cui ancora non aveva compreso lo scopo, perché mai una volta gli avevano posto una domanda, mentre lavoravano sul suo corpo.

Nella piccola cella non aveva la possibilità di calcolare lo scorrere del tempo, se anche gli fosse importato, ma sapeva che le sessioni di tortura si susseguivano a distanza di tre, forse quattro giorni l'una dall'altra. Non che si trattasse di una tortura seria, come quella di cui talvolta Natasha aveva elargito particolari non richiesti: frustate, percosse, piccole ustioni dovute alle sigarette spente sulla pelle nuda delle spalle e delle braccia. Nulla di insostenibile o che potesse ferirlo in modo davvero grave, perché anche quando uno dei suoi carnefici mascherati usava la frusta stava attento a non strappargli via brani di pelle o a non colpire tanto forte da danneggiargli gli organi interni; non gli avevano nemmeno rotto un osso, né dislocato un'articolazione. Niente lame a tormentargli la carne, niente waterboarding, che era ciò di cui più aveva paura, la sensazione di annegamento ancora ben presente nei suoi pensieri se solo li lasciava vagare verso l'Afghanistan.

Sembrava che Johann Schmidt lo volesse sofferente ma non moribondo, coperto di lividi ma non soverchiato dal dolore.

Forse voleva piegare il suo spirito una ferita alla volta, come se già non fosse spezzato a sufficienza. Forse era un modo per assicurarsi la sua collaborazione futura senza il rischio di ribellioni – coscienzioso, si porta avanti con il lavoro, avrebbe ironizzato una parte di Stark prima della morte di Iron Man, ma adesso non era nemmeno sicuro che quella parte esistesse ancora. Forse era semplicemente un sadico, che da bravo nazista si divertiva a torturarlo non perdendo nemmeno tempo a inventarsi un pretesto.

Non si era interessato abbastanza da cercare una risposta.

Talvolta era Schmidt in persona ad andarlo a prelevare, anziché attenderlo già nella sala delle torture: compariva con un drappello di soldati in uniforme, tutti con lo stesso sguardo fisso di chi obbedisce senza pensare e con la svastica cucita come stemma assieme a quello che pareva un albero stilizzato, per poi guidarlo in una parte dell'edificio più simile a una villa di lusso che a un complesso militare. Lì non c'era mai stato dolore, solo sorpresa. A volte si era trattato di un pranzo, un pranzo vero e proprio, con posate, piatti puliti, tovagliolo e perfino camerieri, invece del vassoio contenente un'esigua porzione di cibo maleodorante che gli veniva portato direttamente in cella da una guardia silenziosa. Altre di una doccia, di un taglio di capelli, della possibilità di rasarsi, piccole gentilezze che forse avrebbero dovuto instaurare una sorta di gratitudine per il suo carceriere e che invece, passato il piacere istintivo di simili lussi ormai quasi dimenticati, lo avevano lasciato del tutto indifferente.

Durante questi intermezzi così stonati per chi era un prigioniero, Schmidt aveva provato a interrogarlo, sia sugli Avengers, con particolare insistenza su Steve, sia sul Reattore Arc; aveva provato ad assicurarsi la sua collaborazione promettendogli una stanza con un letto, invece di una cella, un bagno vero invece del secchio, dei vestiti. Quando le sue proposte non avevano sortito alcun effetto, si era prodigato per intavolare una conversazione su argomenti meno specifici, sul tempo, sulla politica, sulla mitologia, ricercando con ferrea ostinazione una risposta da parte sua, da parte dell'uomo famoso per essere incapace di tenere a freno la lingua.

E lui non aveva parlato, nemmeno una volta.

Durante le torture gemeva, urlava, ansimava per il dolore. Ma la sua voce si era estinta con quell'ultima imprecazione gridata come fosse una supplica, con il proprio sangue che gli riempiva la gola e il sangue delle vittime della sua arroganza che gli invadeva il campo visivo; e forse non sarebbe stato così ingiusto se, con essa, si fosse estinto anche lui.

Mentre il mondo si chiedeva dove Iron Man fosse finito, mentre gli Avengers cercavano il compagno scomparso con tutti i mezzi a loro disposizione, mentre Fury e lo S.H.I.E.L.D. si preparavano più turbati del dovuto ad affrontare una minaccia senza la persona che più avrebbe saputo come contenerla, Tony Stark chiuse gli occhi e lasciò che lo sfinimento e la sofferenza lo trasportassero nell'oblio.

Like a Mirror - THE AVENGERSWhere stories live. Discover now