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Mancano solo poche ore alla mia prima giornata alla Stanford University e la mia casa è un viavai di preparativi. La mamma, alle prese con il controllo dei bagagli, sprizza entusiasmo da tutti i pori. Nella mia famiglia nessun Darrek ha mai frequentato l'università; io e Kristal saremo le prime. Ed è proprio la lontananza dalla mia amata sorellina a pesarmi di più. A differenza di molte famiglie io e lei siamo molto legate, anche se i motivi della nostra complicità è meglio non ricordarli. Neanche quando nostro padre ci ha abbandonate ho provato un dolore minimamente paragonabile a quando ho dovuto osservare impotente mia sorella essere violentata... Ma perchè continuo a rivangare i brutti ricordi in quello che dovrebbe essere il giorno più importante della mia vita? Mi costringo a sorridere e aiuto zia Avery a caricare le valigie nel portabagagli. Intanto, Kristal mi osserva malinconicamente con le prime lacrime che sgorgano dagli occhi.

《Ti racconterò tutto quello che succederà》

Annuisce e mi abbraccia forte, poggiando il viso sulla mia spalla. Tra le due, nonostante ci passiamo un solo anno, lei è sempre stata la più fragile e la più sensibile. Non voglio lasciarla sola. Non voglio allontanarmi da lei. Non voglio lasciarla in balia del mondo crudele. Trattengo le lacrime e mi scosto: devo mostrarmi forte.

«Scrivimi»

«Ovvio, Dolly»

Sentendosi chiamare col suo soprannome da bambina, accenna un sorriso.

«Sarei voluto venire»

«Zia Av ci teneva. Ma detto fra noi, avrei preferito te»

Ride nervosamente e mi lascia salire in macchina, asciugandosi le lacrime. Nella nostra Smart al massimo possono entrare tre persone, e la mamma non se l'è sentita di dire di no alla zia. Quando la mamma mette in moto mi sporgo dal finestrino e resto a osservare le mèches viola di Kristal sfumare verso l'orizzonte.

Quando arriviamo alla Stanford sono già le sette. Da San Francisco all'università sono 60 Km, ma dire che mia madre guida piano è un eufemismo. Zia Av mi aiuta a scaricare i bagagli e per un attimo restiamo tutte e tre a fissarci negli occhi. Alla fine la mamma corre ad abbracciarmi, seguita dalla zia.

«La mia bambina è al college»

Singhiozza la mamma.

«Ricordo ancora quando avevi il pannolino e io ti cambiavo...»

«Okay, okay, zia»

La blocco prima che si perda nei ricordi. Con un ultimo sforzo di volontà le saluto e corro verso i dormitori, in cerca della camera 122. Della mia compagna di stanza - che l'anno prossimo cambierò per stare con Kris - non so nulla, tranne che si chiama Aurora Florence. Nome interessante. Rido tra me e faccio un gran sospiro prima di girare la chiave nella toppa. Dentro, la prima cosa che noto sono i quaderni. La scrivania, le mensole, perfino il letto ne sono colmi. Aurora è in piedi accanto al letto con le cuffie alle orecchie, che sfila appena mi vede.

«Tu devi essere Althea Darrek, giusto?»

Mi accoglie. Annuisco e ricambio il saluto soffermandomi sul suo viso. È una bella ragazza, alta e con i capelli castani che le arrivano alle spalle. La cosa che mi colpisce di più, però, sono gli occhi, di un colore intermedio tra il grigio e l'azzurro.

«Aurora, vero?»

Fa sì con la testa e mi si avvicina subito, chiedendomi se ho bisogno di una mano per disfare i bagagli. Già mi piace questa ragazza. Appena svuoto i primi vestiti sul letto, lei strabuzza gli occhi facendo una smorfia inorridita.

«Metti davvero questa roba?»

Osservo meglio i miei abiti. Blue jeans, magliette nere o bianche, felpe col cappuccio.

«E perché, tu cosa indossi?»

Per tutta risposta spalanca l'armadio e stavolta è il mio turno di restare inorridita. Tutti gli scaffali e le grucce sono piene di magliette trasparenti a fantasia floreale, felpe fosforescenti con scritte in cinese, pantaloni a zampa di cavallo con fiocchi fucsia. Solo in quel momento noto come è vestita.

Indossa un paio di calze a strisce verdi e azzurre, un paio di stivali di pelle e un vestito marrone con un enorme fiocco al centro. Sembra una bambina dell'asilo che gioca a vestirsi con gli abiti della madre. Non posso fare a meno di scoppiare a ridere.

«Scusami tanto... Come... Come?»

«Molti restano come te appena mi vedono. Poi ci si abitua, tranquilla»

Do un'ultima occhiata al suo vestiario e annuisco, incapace di dire altro.

«Beh, Althea, parlami un po' di te»

«Non c'è molto da dire. Ho una sorella, un gatto e la passione della musica. Ah, e odio i ragazzi»

«Credo che andremo d'accordo»

Dice indicando un quaderno. Lo apro: è pieno di canzoni, inedite, scritte da lei, anche famose. Credo che potrei stendere un velo pietoso sui vestiti se è appassionato di musica come me. Leggo alcuni testi e me ne colpisce uno in particolare. È intitolato The pit.

How can I, how can I convince you to stay

Where all the flowers bloom and the grass, it sways?

And the rain, it pours and the waves all roar

And the trees they grow, and the falling crow

Soars down into that dark cold pit.

«Oh, questa. È una vecchia canzone, lascia stare»

Mi prende il quaderno dalle mani e lo posa sotto una pila formata da una decina di fogli. Non investigo oltre; so per esperienza che se non si vuole parlare di un argomento far pressione è inutile. Invece, sorrido e annuisco. Lei sembra piacevolmente sorpresa e mi poggia un braccio sulle spalle.

«Sì, credo proprio che andremo d'accordo»

-Spazio Autrice-

A voi che state bestemmiando perché aspettavate Dan Reynolds, tranquilli. Vi anticipo che già nel prossimo capitolo farà la sua scomparsa.

E niente, godetevi la foto di Dan qua sopra. MA QUANTO LO POSSO AMARE??

#Firebreather

Sofyap10

Non vorrei ma ti voglio |Dan Reynolds|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora