CHAPTER 6: Changes

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‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍‍Kate non sapeva bene perchè l'avesse fatto. Aveva abbracciato uno sconosciuto.
Uno sconosciuto...che però l'aveva salvata.
Si sentiva abbastanza confusa, un sacco di interrogativi le riempivano la testa mentre sedeva sul divano rattoppato nel salotto di Deadpool, osservandolo parlare al telefono. L'uomo riattaccò e sorrise alla giovane.
- Era un mio amico, Weasel. - spiegò indicando il cellulare per poi appoggiarlo su un ripiano.
La ragazza annuì e fece vagare lo sguardo in giro.
- Non devi stare incollata al divano. Fa pure come se fossi a casa tua. Quella è la cucina e quello il bagno, nel caso volessi mangiare o darti una sistemata. - lui le indicò le due stanze poi si portò una mano dietro il collo, grattandolo in un vago gesto di imbarazzo.
- Se mi vuoi sono in camera, devo sistemare un paio di cose. - concluse, sparendo nella stanza da dove poco prima erano usciti entrambi, socchiudendo la porta.
La giovane, una volta rimasta sola, iniziò a sentirsi estranea in quella casa. Avrebbe voluto andarsene ma contrariamente a quello che la sua testa le diceva di fare, si alzò e si diresse verso il bagno.
Aprì con delicatezza la porta, quasi avesse paura di romperla e la chiuse alle sue spalle.
La prima cosa che vide voltandosi, fu il suo volto riflesso sulla superficie di uno specchio rovinato, appeso alla parete e collocato sopra il lavandino.
Passò con dolcezza una mano sul vetro frantumato. Si poteva facilmente dedurre dai segni che a ridurlo così fosse stato un pugno o meglio...una serie di pugni.
Osservò il suo viso. L' occhio destro circondato da un livido giallastro, l'incarnato pallido, un graffio sulla guancia destra e il labbro inferiore rotto le ricordavano Hector e le sue insane violenze. Si guardò le mani e i polsi solcati da diverse cicatrici e gli occhi le divennero lucidi.
Scosse energicamente la testa e posò nuovamente gli occhi sullo specchio.
Non era così che doveva fare se voleva cambiare. Non doveva pensare al passato. Si prese la libertà di farsi una doccia veloce. Dopo aver lavato e asciugato i capelli, prese una forbice e li tagliò. Prima che li accorciasse le arrivavano ai fianchi, ora solo fin sopra le spalle. Si cambiò bende e cerotti, trovando quelli nuovi in un armadietto accanto allo specchio, si sistemò come meglio potè e rimise la rossa e larga maglietta che l'uomo le aveva dato, improvvisamente felice di non dover più indossare gli abiti color arancio che aveva in precedenza, ricordo della sua prigionia. Terminato il tutto, uscì timidamente dalla porta guardandosi intorno. Il salotto era silenzioso e vuoto.
Kate controllò se Wade fosse ancora nella sua camera e lo vide con la testa appoggiata sulla scrivania.
Forse stava dormendo.
Si avvicinò a lui per accertarsi che stesse davvero riposando.
Aveva le braccia incrociate sulla superficie del tavolo e il viso appoggiato sopra di esse. Davanti a lui, il computer era acceso ma lo schermo era diventato scuro e lo screensaver mostrava tanti unicorni colorati che si alternavano a figure di cibi messicani accompagnati da sombreri. Diversi fogli ingombravano la scrivania.
Il mercenario indossava ancora la sua maschera e le sarebbe stato difficile capire se si fosse davvero addormentato, se non fosse stato per il suo leggero russare.
Kate lo osservò per qualche secondo, sentendo una strana sensazione che la fece raggelare. Venne percorsa da un brivido di freddo.
Sentiva che c'era qualcosa che non andava e percepiva la strana sensazione di avere degli occhi puntati addosso.
La ragazza si passò le mani sulle braccia nel vano tentativo di scaldarsi, si girò e perlustrò rapidamente la stanza con lo sguardo, cercando di abituare gli occhi all'oscurità che regnava lì dentro. Rimase per un po' a osservare un punto imprecisato della camera, oscurato dal buio, ma nulla.
Non c'era nessuno oltre a loro, ovviamente.
Notò che la finestra era aperta. Le bianche tende logore svolazzavano al vento come spettri.
Kate si accostò alla finestra e si affacciò per guardare fuori. Si avvicinava la sera, il cielo era grigio e i nuvoloni che lo coprivano non promettevano nulla di buono. Probabilmente si sarebbe messo a piovere presto.
La giovane spostò la sua attenzione alla strada sottostante notandola poco affollata, le macchine erano rade e i passanti erano solo quattro: un'anziana signora con un bambino, un uomo vestito di nero che parlava al telefono e una ragazza bionda intenta a fare jogging.
Il vento la fece rabbrividire nuovamente e finalmente si decise a chiudere le ante della finestra e ad abbassare la maniglia.
Eppure quella brutta sensazione non se ne era ancora andata. Kate scrollò il capo come per scacciare via quel cattivo presentimento, prese la coperta adagiata in modo scomposto sul letto e la posò delicatamente sulle spalle di Deadpool che, incurante, continuava a russare.
Lasciò la stanza a passi felpati, per non fare rumore, e chiuse la porta.
Il silenzio che aleggiava in quella casa era terribilmente opprimente.
Guardò l'orologio.
Erano le 17.58.
Doveva trovarsi qualcosa da fare, se voleva andarsene doveva per lo meno aspettare che il maltempo fosse finito.
Guardandosi in giro aveva capito rapidamente che il proprietario dell'appartamento non era un grande amante delle pulizie.
Pensò che riordinare e pulire la casa l'avrebbe tenuta occupata e sicuramente avrebbe fatto piacere anche a Deadpool. Magari in questo modo avrebbe saldato il suo debito.
Lui l'aveva aiutata e lei gli aveva fatto un favore. Poi se ne sarebbe potuta andare senza pesi sulla coscienza.
E con questi pensieri decise di iniziare a mettersi all'opera.
Raccolse le cose sparse per terra e iniziò a riordinarle; buttò scatole, bottiglie vuote, scartoffie e rifiuti gettandoli via. Pulì pavimenti, fece la polvere, e lucidò armadi, specchi e mobilia varia. L'appartamento non era molto grande e in un paio di ore, dopo essere riuscita a pulire tutte le stanze, affamata, si diresse in cucina.
Fece per aprire il frigorifero ma si fermò vedendo un foglietto, scritto a matita, appeso sull'apparecchio domestico con una calamita a forma di sombrero.
Lo prese e iniziò a leggerlo. Era la ricetta di un cibo messicano: la Quesadilla.
Conosceva già quel piatto.
Quando era piccola, dato che suo padre era spesso fuori casa per lavoro, avevano stabilito che l'ultimo giorno della settimana sarebbe stato un giorno solo per loro due. Un giorno per divertirsi e passare un po' di tempo insieme. In quelle occasioni il padre la portava spesso a mangiare nel suo ristorante preferito.
Si chiamava "El Paraìso Mexicano" e come si poteva ben intuire dal nome, il menù del posto era quasi tutto a base di pietanze d'origine messicana.
Il proprietario era Antoine, un uomo corpulento dai capelli neri e un grosso pancione che lo faceva somigliare vagamente a una versione ringiovanita di Babbo Natale. Indossava sempre una canotta e un paio di pantaloni neri. Allacciato in vita teneva un grembiule bianco, spesso sporco di salsa.
Antoine era un grande amico di suo padre, quando si vedevano si davano la mano e si abbracciavano sempre affettuosamente.
Lei di solito ordinava pollo e patatine, che le venivano serviti in un piatto insieme a una piccola coppetta bianca, contenente del ketchup, e un semplice bicchiere d'acqua naturale. Amava andare sul sicuro e non aveva mai voluto assaggiare i cibi tipici, credendo a priori che non le sarebbero piaciuti.
Il padre, invece, era un buongustaio. Guardava il menù per una buona manciata di minuti, puntava il dito sul piatto che voleva ordinare e si voltava verso l'amico con un grosso sorriso sul volto pronunciando strani nomi messicani. Chiedeva sempre qualcosa di nuovo e mangiava di tutto. Una volta assaggiò anche la Quesadilla. Da quello che ricordava, doveva trattarsi di una tortilla, ovvero una sfoglia di farina di grano, ripiena di ingredienti vari, che andava consumata calda.
Di solito veniva farcita con del formaggio, come le aveva spiegato il padre anni fa, quando la giovane le aveva domandato il perchè di un nome così strano.
"Perchè il suo ingrediente principale è il "queso" ovvero il formaggio" le aveva detto il papà. E lei aveva annuito bevendo un succo di fragole ghiacciato, il suo preferito, facendo oscillare le gambe avanti e indietro sotto il tavolo.
Kate si ritrovò a leggere rapidamente la ricetta.
Sotto gli ingredienti e le indicazioni dei tempi di cottura c'era un'enorme scritta in pastello rosso con una calligrafia infantile che diceva: "DA PROVARE, ASSOLUTAMENTE!!" e la giovane decise di cogliere la palla al balzo.
Riattaccò il foglietto al frigo e iniziò a cercare gli ingredienti che le servivano per la preparazione del piatto. Li trovò tutti. Immaginava che Deadpool li avesse comprati nella speranza di preparare quella specialità messicana il più presto possibile. Posò sul tavolo una confezione di sfoglie di farina di grano, del petto di pollo, fontina, pomodori, cipolle, insalata, sale e una bottiglia d'olio.
Prese una padella e cominciò a cucinare. I tempi di cottura erano relativamente brevi, all'incirca venticinque minuti, e Kate finì prima di quanto si aspettasse. Appoggiò il piatto con le Quesadillas sul tavolo, ne mangiò una e soddisfatta del risultato, terminò di riordinare anche la cucina.
Infine si sedette su una delle sedie che attorniava il tavolo. Cominciò a sentirsi stanca, ripulire l'appartamento era stato un lavoraccio e poteva sentire le palpebre appesantirsi.
Eppure quella strana sensazione che le suggeriva di essere controllata in ogni suo movimento continuava a non abbandonarla.

Un temporale squarciò il cielo illuminando un gruppo di alcuni uomini vestiti di nero, in piedi sul marciapiede opposto a quello davanti al condominio di Deadpool.
- Ci siamo, 418 si trova qui. - disse il loro capo.
Uno sorriso malvagio gli illuminò il volto.

~

Note:

Ciao a tutti voi, cari lettori. :)
Pensate di aver capito chi è lo sconosciuto delle ultime righe? Scrivetelo nei commenti! ;)
Ringrazio di cuore chi ha letto i miei precedenti capitoli. Spero rimaniate attivi nella lettura del mio racconto.
Sto preparando il prossimo capitolo, vi aspetto lì. Alla prossima! ^ω^

❀ 𝑺𝒂𝒗𝒆 𝑴𝒆 ❀《𝒊𝒏 𝒓𝒆𝒗𝒊𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆》Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora