"Dopotutto, sei una McCall... le sorprese con voi non finiscono mai!"
Cammino lungo il corridoio esterno della scuola che porta direttamente al campo di lacrosse con lo zaino a spalle, le cuffie nelle orecchie, una mano nella tasca dei jeans e l'altra che tiene stretto il sacchetto di carta che contiene il mio pranzo.
Mi sforzo inutilmente di non guardarmi attorno, finendo inevitabilmente per fissare il parcheggio degli autobus: di nuovo mi tornano alla mente brevi flashback di ieri, le zanne affilate a pochi centimetri dal mio viso e quegli occhi lucenti, rossi come il sangue, intervallati da piccoli frammenti di quella sera, gli occhi bianchi e il sangue sparso in ogni centimetro della casa.
Chiudo gli occhi e scuoto la testa, distogliendo lo sguardo e camminando più rapidamente verso la mia meta senza nessun'altra distrazione.
Raggiunto l'ingresso al campo di lacrosse, mi guardo attorno, verificando che non ci sia nessuno anche grazie al mio udito da theta: mi dirigo allora verso gli spalti, sedendomi sulla terza fila dall'alto, sperando di poter restare sola almeno in questo poco tempo che ci lasciano per il pranzo. Dopo quello che è successo ieri pomeriggio con Derek, sembrano tutti intenzionati e determinati a proteggermi: ne consegue che mi è impossibile persino andare in bagno senza che Allison sia lì, fuori dalla porta, per assicurarsi che stia bene.
Sbuffo un sorriso, azzannando con prepotenza il mio panino. Ripensandoci bene, nonostante la morbosità con cui si prendono cura di me, il fatto che non vogliano che mi venga fatto del male è un'ulteriore conferma del fatto che mi vogliono bene e che farebbero di tutto pur di sapermi al sicuro, anche schierarsi in prima fila in un duello il cui finale è già stato scritto.
Alla fine aveva proprio ragione Isaac: non potrò mai superare definitivamente la morte dei miei genitori, ma una cosa è ormai più che certa: l'amore e l'affetto che ho trovato qui a Beacon Hills riporteranno la gioia e la serenità che ho perso a Bushwick, riuscendo a ricucire le ferite che sono state inflitte al mio cuore. In quanto ad Isaac, ho avuto modo di scoprire che anche lui è sorprendentemente un lupo mannaro facente parte del cosiddetto "branco" di Scott, seppur beta di Derek - anche se non ho ancora ben capito cosa significhi. A questo punto mi viene naturale chiedermi quante altre creature sovrannaturali abitano questa cittadina, e in che razza di posto assurdo sono capitata. Eppure è proprio questo posto strano il primo in cui, dopo tanto tempo, mi sento veramente a casa.
Prendo un altro morso del mio panino quando nelle cuffie parte una melodia diversa dalle altre della mia playlist, ma non totalmente nuova: così alzo il volume, fino a che la melodia della canzone non mi fa male ai timpani. Non appena il cantante pronuncia le prime parole, spalanco gli occhi e la bocca, mentre il respiro mi si blocca in gola e una lacrima scivola lungo la mia guancia, andando ad atterrare proprio sui miei jeans. Precious di Depeche Mode, la canzone preferita di mia madre, risuona nelle mie cuffie come un'arma a doppio taglio che si conficca per l'ennesima volta al centro del mio petto.
Mentre le parole della canzone mi riportano alla mente tutti i ricordi, belli e brutti, che ho vissuto con i miei genitori e che custodisco gelosamente nel mio cuore, tutte quelle verità tenute nascoste e che mi hanno portata a fare determinate scelte, i miei occhi si chiudono con forza, lasciando spazio alle lacrime e ai singhiozzi che scuotono il mio corpo. Ora capisco perché me la faceva ascoltare spesso: sapeva che un giorno sarebbe successo; e questa canzone è stato il suo modo di pormi le sue scuse e delle vaghe spiegazioni.
A metà della canzone però, un rumore di passi mi costringe a mettermi in allerta: blocco la canzone, sfilo le cuffie in modo che mi circondino il collo, e asciugo le lacrime nella manica della maglietta con un gesto rapido del braccio. Saetto lo sguardo a destra e a sinistra, pronta ad estrarre le forbici che tengo di scorta nell'astuccio di scuola, quando un'ombra si fa sempre più avanti al centro delle gradinate: quella stessa figura si fa mano a mano più nitida, permettendomi di riconoscere Stiles.
Lascio uscire un sospiro a fior di labbra che non mi ero accorta di trattenere, riponendo le forbici nello zaino e lasciandomi di nuovo andare contro il metallo freddo delle tribune.
"Ehy" mi saluta velocemente il ragazzo, come se si aspettasse di trovarmi qui.
Forzo un sorriso, cercando di reprimere il mio magone e prendendo di nuovo il panino tra le mani.
Stiles abbassa lo sguardo per un istante, poi inizia a salire i gradini, fino a raggiungere la mia postazione: si siede accanto a me, inizialmente osservando nient'altro se non il campo di lacrosse.
"Sai, non ho mai visto il campo dalle tribune" esordisce poi, lanciandomi un'occhiata furtiva "sembra... diverso".
Lo guardo per una manciata di secondi, poi abbasso lo sguardo sul mio panino per nascondere un sorriso, questa volta sincero.
"È questione di angolazione e prospettive" rispondo in un sussurro, catturando immediatamente la sua attenzione.
I nostri occhi si incontrano e, per un istante, mi sembra di potermi specchiare in quelle sue meravigliose iridi marroni.
"Tu sei abituato a vedere il campo dalla panchina, perciò ti sembra tutto diverso" gli spiego, spostando lo sguardo altrove, incapace di sostenere il suo.
Stiles fa lo stesso, prendendo un respiro profondo.
"Un po' come te" sussurra poi, voltandosi di nuovo a fissarmi. Mi giro di scatto verso di lui con un sopracciglio alzato, non capendo il riferimento.
"Ora che sappiamo certe cose su di te, è come se l'angolazione con cui ti abbiamo sempre guardata fosse cambiata" mi spiega senza staccare i suoi occhi dai miei. Io però abbasso lo sguardo, amareggiata ma tristemente consapevole di quello che ha detto.
"Eppure non è così" esclama dopo qualche secondo di silenzio, stupendomi. Riporto il mio sguardo su di lui con uno scatto rapido, incredula di sentire quelle parole uscire direttamente dalla sua bocca.
Noto il suo sorriso e il suo sguardo che scende repentinamente sulle mie labbra. Si gira con tutto il corpo verso di me, senza interrompere il contatto visivo nemmeno per un secondo.
"Sai, tutto quello che è successo negli ultimi giorni, tutte le scoperte che abbiamo fatto sul tuo conto, avrebbero dovuto impressionarmi o almeno farmi cambiare idea su di te" dice "ma la verità è che i miei amici sono lupi mannari, conosco una famiglia di cacciatori, abbiamo sconfitto così tante minacce in questi ultimi anni che non credo esista qualcosa che possa ancora sorprendermi" esclama, ridacchiando sul finale e contagiando in questo modo anche a me.
"E poi, sei una McCall dopotutto, la cosa non dovrebbe stupirmi... le sorprese con voi non finiscono mai!" esclama, ed entrambi scoppiamo letteralmente a ridere "Ormai ci sono abituato!"
Cessate le risate, entrambi riportiamo lo sguardo a terra ed io nascondo un sorriso mordicchiandomi il labbro inferiore.
Poi le sue mani si allungano timidamente verso di me, racchiudendo le mie nelle sue. Alzo la testa di scatto, facendo scontrare per l'ennesima volta i nostri sguardi.
"Tu... tu stai bene?" chiede di punto in bianco, mentre sul suo viso si dipinge un'espressione alquanto preoccupata.
Deglutisco pesantemente, ripensando alla conversazione avuta con Isaac e alle emozioni provate poco prima a causa di una canzone.
"I-Io..." biascico, cercando in ogni modo di evitare il suo sguardo. Per un attimo mi balena per la testa l'idea malsana di non dirgli la verità, tanto non potrebbe dimostrare il contrario; ma poi, pensandoci meglio, non ho motivo di mentire, non a lui, non ai miei amici.
Scuoto la testa, con il capo chino e gli occhi che iniziano a pizzicare a causa delle lacrime che minacciano di uscire: li strizzo forte per impedire che questo accada e, in quel preciso istante, la stretta delle mani di Stiles sulle mie aumenta, facendomi alzare nuovamente lo sguardo.
Libera una mano dalla presa e la allunga verso di me, facendo scorrere il polpastrello del pollice sulla mia guancia in modo da asciugare le lacrime. A quel contatto, i miei occhi si chiudono istintivamente, mentre il cuore inizia a battere più velocemente di prima. Quando poi li riapro, un sorriso compiaciuto si materializza all'istante sul suo viso, mentre la sua mano continua senza sosta ad accarezzarmi il viso.
"So che è difficile, anch'io ho perso mia madre quando ero ancora piccolo e spesso ne sento tutt'ora la mancanza, nonostante mio padre faccia i salti mortali per farmi sentire amato" mi racconta "ma ricorda che gli amici servono anche a questo, a condividere gioie e dolori, ad aiutarti nel bene e nel male... e credimi se ti dico che in questo Scott è il migliore. Quindi sappi che di qualsiasi cosa tu abbia bisogno noi ci siamo, okay? Che sia io oppure Scott o Isaac o Allison... noi ci siamo sempre, gli uni per gli altri" mi assicura, facendomi spuntare un piccolo sorriso tra le lacrime.
Istintivamente lo abbraccio: lo abbraccio così forte che temo di potergli fare del male. Lo abbraccio come non abbracciavo nessuno da tempo. Lo abbraccio perché sento un impulso irrefrenabile di dimostrare quanto gli sono grata per la sua presenza.
"Grazie Stiles" sussurro ad occhi chiusi, appoggiando la testa sulla sua spalla "grazie davvero".
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Whatever You Are
WerewolfSiamo sempre stati convinti che al mondo esistessero solo tre tipologie di lupi mannari: alfa, beta e omega. Ma non è così. Esiste un quarto tipo, molto più raro, più forte e più pericoloso degli altri. Il theta. È un mutaforma umano, un ibrido talm...