18.

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"Si sistemerà tutto, non è vero?"

Laura

Apro il rubinetto e subito l'acqua inizia a scorrere lungo il mio corpo, su ogni centimetro di esso, lasciandomi l'illusione di far scivolare via con sé anche tutti i miei pensieri. Ma così non accade. Un improvviso flashback mi coglie infatti alla sprovvista, proiettando le immagini di due giorni prima direttamente sulle mie palpebre chiuse: rivedo la macchina con cui Isaac mi ha portata in mezzo al bosco, la catapecchia, lo scantinato puzzolente in cui Erica mi ha rinchiusa, gli occhi rossi di Derek, il sangue che impregna gli abiti di Stiles. Stringo più forte gli occhi nel vano tentativo di cacciare quei ricordi dalla mia mente.
Afferro il bagnoschiuma, ma questo scivola maldestramente dalle mie mani, cadendo sul piatto doccia con un tonfo sordo. Alle mie orecchie giunge però un suono diverso, quasi distorto, più simile ad un grugnito animalesco. Trattengo il respiro per quelli che paiono secondi interminabili. Poi un grido di dolore mi esplode nei timpani facendomi sobbalzare. Stiles.
Sbatto le mani contro la parete bagnata della doccia, chinandomi leggermente in avanti e respirando a fatica, in modo affannato.
Gocce d'acqua precipitano dalle punte dei miei capelli, mentre altre mi contornano il viso, confondendo tra loro le lacrime che scorrono impetuose lungo le mie guance. Prendo un respiro profondi e riapro gli occhi, sforzandomi con tutta me stessa a non chiuderli per evitare che quelle immagini appaiano di nuovo. Perciò finisco di lavarmi velocemente, mi avvolgo nel mio soffice accappatoio e tampono i capelli con un asciugamano.
Passo davanti allo specchio con l'intento di tornare nella mia stanza, ma, invece di uscire dal bagno, mi fermo davanti al lavabo, catturata dal riflesso della mia immagine, tanto che il mio sguardo si fissa in quel paio di occhi azzurri così familiari fino a perdersi in essi. Questi si inumidiscono ogni minuto che passa sempre di più, quando poi una lacrima finisce per rigarmi la guancia, riportandomi alla realtà. La caccio via con il dorso della mano, per poi prendere un respiro profondo, quasi a volermi illudere di aver trovato qualche pensiero positivo che possa tirarmi su il morale o farmi per lo meno un po' di coraggio - per la cronaca, quel pensiero non l'ho minimamente trovato.
Sospiro, questa volta rassegnata, distogliendo lo sguardo dal mio riflesso e tornando in camera: una volta indossato qualcosa di comodo, lascio cadere il mio corpo a peso morto sul letto, le braccia distese lungo i fianchi e le gambe a penzoloni sul bordo del materasso, fissando per non so quanto tempo il soffitto bianco della stanza. Nemmeno un rumore di passi riesce a distogliermi dal mio dolce non far nulla; almeno finchè non si fermano. Esattamente di fronte alla porta della mia stanza. Alzo la testa con uno scatto, puntando il mio sguardo sulla porta.
Qualcuno bussa con delicatezza. "Laura" riconosco immediatamente la voce di Scott, perciò lascio andare un gran sospiro a fior di labbra, rilassando i muscoli tesi e tornando con la testa sulle lenzuola.
"Voglio solo sapere se stai bene..." esita per qualche secondo, forse per interpretare il mio silenzio. "Sono solo" dice poi, ma forse si è dimenticato che anche io, come lui, ho un udito piuttosto sviluppato che mi permette di sentire perfettamente il suono di un secondo battito cardiaco provenire dal corridoio. E scommetto che non si tratta della zia Melissa.
"Sto bene" sbuffo, alzando poi gli occhi al cielo, come se mi potesse vedere.
Il calpestìo ricomincia, ma questa volta i passi si allontanano. Mi alzo dal letto, stiracchiando le braccia a destra e a sinistra, per poi accorgermi di qualcosa: mi avvicino silenziosamente alla porta, sentendo ancora il suono di un cuore che batte al di là di essa. Vi appoggio sopra una mano, chiudendo gli occhi e mordendomi il labbro per trattenere il respiro. So che è Stiles. O meglio, non lo so per certo, ma lo sento. É suo quel cuore che batte dietro questa porta, è suo il respiro pesante che sento, è lui quella persona ancora in piedi di fronte alla porta, che sta fissando il legno scuro da almeno due minuti nella speranza che io possa apparire da un momento all'altro, quasi per magia, davanti a lui. E Dio solo sa quanto vorrei aprire questa porta e abbracciarlo, stringerlo forte tra le braccia, sussurrargli che va tutto bene, che io sto bene e che tutto si risolverà presto; dirgli che la sua presenza in questi due giorni mi è mancata come l'aria, per poi baciarlo. Oh, quanto darei per assaporare di nuovo le sue labbra... Ma non posso. Perchè la verità è che no, non va tutto bene, e prenderei in giro non solo lui ma anche me stessa a dire che tutto tornerà come prima, che noi torneremo come prima, perchè non succederà: lui è un lupo mannaro adesso, nonostante Scott continui a ripetermi che non lo possiamo sapere con certezza fino alla prossima luna piena - che per inciso è domani sera - non sa controllarsi, e questo mette a rischio non solo me, ma anche tutti gli altri. E se dovesse per caso trasformarsi quando siamo io e lui soli? Io non sarei in grado di difendermi e, considerato che basta un morso, un qualsiasi tipo di morso, anche quello di un beta, per trasformarmi... No. É troppo pericoloso ed io non sono disposta a correre questo rischio. La posta in gioco è troppo alta.
Il battito inizia ad allontanarsi, così come il rumore delle scarpe sul pavimento. Prendo un respiro profondo. Appoggio la schiena contro la porta, scivolando poi lentamente fino a sedermi a terra: prendo il viso tra le mani, sforzandomi di non piangere, ma le emozioni riescono comunque a prendere il sopravvento. Poso le labbra sul ginocchio per soffocare i singhiozzi, mentre nella mia testa mi ripeto che è la cosa giusta da fare. Dolorosa, ma giusta.

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