La morte

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Camila passò i suoi successivi giorni in cella. Non aveva chiuso occhio di notte.
Le era stato affidato uno psicologo, che dopo una seduta non servì più : Camila affermò che sì, voleva uccidere il re e la regina.
Sembrava imperturbabile ma in realtà dentro di sè avrebbe voluto solo morire.
Le davano poco cibo e acqua, come se un essere come lei non meritasse di vivere, ma d'altro canto dimagrì abbastanza, e lei di questo ne era un pò felice visto che si sentiva un pò grassa.
Degli uomini di altre celle la guardarono con quasi disgusto, come se loro fossero i Perfetti, ma negli Stati Uniti D'America nessuno era Perfetto e Camila lo aveva dimostrato.
"Avete saputo che è morto il re?" sentì dire da una donna di una cella, che aprì una discussione col resto delle altre persone.
Camila guardò il cibo che le avevano servito quel giorno. Solo un pezzo di pane, piuttosto duro e un bicchiere d'acqua. Mangiò e bevve in silenzio, mentre ascoltava che la donna continuasse la conversazione.
"Ero nella sala delle visite e ho saputo dal mio ragazzo che la regina ha ucciso il re il giorno dell'attentato al castello. Si dice che lo abbia avvelenato ma la regina non è dtata condannata perché... beh, perchè è la regina!" continuò la donna, facendo esclamare le persone dalle altre celle.
Camila sembrava stupita ma non disse nulla.
Non voleva aprire una conversazione con quelle persone, perché finiva per litigare come succedeva sempre con la sua compagna di cella Alexa, che tra momenti sarebbe ritornata dal bagno.
Un poliziotto fece entrare Alexa nella cella e tutte le voci si ammutolirono.
Odiava la sua compagna di cella, la provocava sempre.
"Che guardi?" domandò Alexa con odio.
"Non ti stavo guardando" rispose Camila con sincerità e tranquillità, ma Alexa buttò il piatto di cibo e il bicchiere d'acqua a terra, prendendo la testa di Camila e facendola sbattere  di continuo contro il muro.
Le persone esclamarono per l'improvviso attacco iniziato, come al solito, da Alexa. Nessuno si oppose.
Camila soffrì in silenzio, cercando di farle capire che non sarebbe riuscita a farla piangere o pregare.
Un poliziotto entrò sentendo tutto quel chiasso e si avvicinò alla cella.
Alexa era ritornata al suo posto e stava iniziando a piangere.
Quella donna soffriva di qualche malattia mentale che Camila non sapeva di che si trattasse, ma la ragazza dagli occhi nocciola era che sicura che le avesse sballato tutti i circuiti del cervello.
"Cosa avete combinato?!" urlò il poliziotto.
"Mi ha picchiata" disse Alexa, e il poliziotto non sapendo se fosse la verità guardò le altre nella cella, e annuirono dando ragione alla pazza.
"Ma non è vero! È stata lei!" si difese Camila, ma l'agente non l'ascoltò e la tirò fuori dalla cella ammanettandola.
"Adesso ti porto in isolamento"
Camila provò a fargli capire che fosse solo una bugia ma lui non l'ascoltò minimamente e la portò nei sotterranei.
"Capo, la signorina Cabello ha picchiato una detenuta e la sto portando in isolamento" disse l'agente parlando al microfono che aveva sul suo completo da lavoro.
Camila sentì le urla, la disperazione e i pianti in quelle porte di metallo o chissà quale materiale.
Si avvicinarono ad una stanza e vide uno specchietto fatto di sangue. Camila non riusciva a guardare quell'orrore e chiuse gli occhi.
Venne chiusa in un cella di forma quadrata, senza finestre e con una sola cosa all'interno : una lampadina che sembrava non funzionare correttamente poichè si spegnesse e si accendesse ogni secondo.
In quella cella passò ore senza cibo nè acqua, e lei aveva sete, non aveva bevuto da stamattina visto come la sua ex compagna di cella le avesse urtato il cibo e l'acqua.
Era seduta in un angolino della stanza e le urla e i pianti le fecero compagnia per un lungo tempo che non seppe spiegare in ore poichè stare lì dentro significasse non sapere che ora fosse e se fosse giorno o notte.
Passarono altre lunghe ore finchè non vide qualcosa entrare in un rettangolo della porta con scritto "Cibo"
Camila prese il contenuto, ed era solo un mezzo panino e metà bicchiere d'acqua, che bevve lentamente, come se la sua sete potesse andare più velocemente. Così mangiò sancje il panino ma il suo stomaco non era per niente soddisfatto.
Passarono lunghe ore finchè non sentì dei passi nel lungo corridoio e Camila lo chiamò attraverso lo specchio che li separava.
"Il cibo per me?" domandò Camila all'agente.
Il poliziotto alzò un sopracciglio.
"È finito mi dispiace" disse di scherno.
Camila diede un pugno allo specchio e si rimise nell'angolino a piangere.

L'Imperfetta ➳ CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora