Capitolo 10

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Sabato, 17 febbraio 2018

[Beatrice]

"Allora fate buon viaggio." mi salutò Einar abbracciandomi forte.
Sapeva della mia situazione familiare, sapeva di quello che avevo passato e più di chiunque altro era riuscito a capirmi, avendo vissuto esperienze più o meno simili.
La diretta di quel sabato era terminata, un'ora prima. Non c'erano stati grandi colpi di scena, tutto era andato come al solito.
Io e Filippo ci eravamo precipitati in hotel per prendere le nostre cose ed Einar ci aveva accompagnati in stazione, dove avremmo preso il treno che dopo tanti mesi mi avrebbe riportata a casa.
Volevo che tutto andasse per il meglio: volevo rivedere la mia famiglia, la mia città, le persone a me care. Volevo scusarmi con tutti per essermene andata senza preavviso e in particolar modo con i miei genitori, a cui avevo arrecato un dolore ancor più grande di quello che stessero già provando.
"Ti faccio una telefonata quando arriviamo Ein." lo rassicurò Filippo e lo abbracciò velocemente.
"Ci vediamo domani sera allora." conclusi io.
Gli lasciai un bacio sulla guancia, prima di afferrare la mia borsa e mettere piede sulla carrozza del treno che mi avrebbe riportata a Monza.
Sistemate le borse, io e Filippo prendemmo posto l'uno accanto all'altra.
"Sei nervosa?" mi chiese poi.
Non sapevo dare una risposta esaustiva a quella domanda. Non riuscivo a capire come mi sentissi. Provavo un turbinio di emozioni dentro di me. Prima tra tutte c'era la gioia di rivedere i miei genitori, che mi erano mancati come l'aria. E poi la nostalgia per quella città e quella casa in cui ero praticamente cresciuta. E la tristezza per essere stata così tanto tempo lontana da quel luogo che mi aveva vista diventare grande. E il senso di colpa per aver abbandonato tutto ed essere scappata via da un giorno all'altro. E infine la felicità. Ero felice di essere riuscita finalmente ad acquisire quella forza, che mi era mancata per mesi, di tornare a casa. Sapevo di dover fare i conti con il mio passato una volta giunta lì ma non sentivo più quel senso di vuoto alla bocca dello stomaco che mi faceva mancare il respiro. Sentivo che quella era la cosa giusta da fare, per riprendermi in mano la mia vita.
"Sono solo tanto contenta di tornare a casa."
Filippo mi sorrise.
"Immagino già la faccia di Lori quando ti vedrà." ghignò lui.
Quanto mi era mancato Lorenzo. Insieme a Filippo, era come un fratello maggiore per me. Mi era sempre stato accanto, trovava sempre il lato positivo nelle cose e mi aveva sempre supportata in ogni mia scelta. Gli volevo un bene dell'anima e non vedevo l'ora di rivederlo.
"Non gli hai detto niente, vero?" mi assicurai.
Volevo fargli una bella sorpresa. Volevo abbracciarlo forte e dirgli quanto gli volessi bene, per tutti quei mesi in cui non avevo potuto.
"Come mi avevi chiesto." mi rispose Filippo e io tirai un sospiro di sollievo.
Mi lasciai andare allo schienale del sedile, infilai le cuffiette e poggiai la testa sulla spalla di Filippo.
Avevo bisogno di riposare o non sarei riuscita ad affrontare tutto quel che mi aspettava.
Filippo iniziò a giocherellare con una ciocca dei miei capelli e fu quel toccò a cullarmi, facendomi addormentare.
Era stato proprio Filippo a risvegliarmi quando mancavano ormai dieci minuti scarsi per arrivare a destinazione.
"Ho dormito per tutto il tempo?" gli chiesi e lui annuì, lasciandomi un bacio sulla tempia.
Mi stiracchiai per bene e riposi le cuffie all'interno della mia borsa.
Quando il grande cartello blu con la scritta "Monza" cominciò ad essere visibile in lontananza, un senso di ansia cominciò ad attanagliarmi lo stomaco.
La mia mente mi riportò a quando, quella mattina di fine maggio di otto mesi prima, avevo preso un treno di sola andata per Roma, senza sapere cosa ne sarebbe stato della mia vita, da sola e senza forze.
Filippo se ne accorse e mi strinse e poi mi accarezzò la coscia, sussurrandomi uno "stai tranquilla".
Il treno si fermò sulle rotaie e le porte si aprirono.
Scesi dal treno, presi un respiro profondo e mi guardai intorno. Quel posto non era cambiato di un millimetro. Si poteva già respirare aria di casa.
"Stai bene?" mi chiese Filippo con premura e io annuii energicamente.
Stavo bene, quel posto era casa mia.
"Dove vuoi andare? Cosa vuoi fare? Sono totalmente al tuo servizio." mi prese in giro e io non potei non scoppiargli a ridere in faccia.
Era così stupido quando faceva così ma non lo avrei mai ringraziato abbastanza per essermi rimasto accanto.
"Possiamo andare prima da Lori? Devo un attimo realizzare dove mi trovo e cosa sto per fare prima di tornare a casa mia." gli chiesi e lui annuì senza farselo ripetere due volte.
"Non vedo l'ora di vedere la sua faccia." rise mentre si metteva in cammino, seguito da me.
"Sei proprio un'idiota!" lo insultai, dandogli un buffetto sulla nuca.
Non sarebbe cambiato mai. Era sempre il solito Filippo.
Impiegammo circa dieci minuti per raggiungere la casa di Lorenzo.
"Sei pronta?" mi chiese Filippo, mentre attraversavamo la strada sulle strisce pedonali.
Annuii energicamente. Non vedevo l'ora di riabbracciare Lori perché mi era mancato da pazzi.
Giungemmo davanti al grande portone in legno e Filippo estrasse il cellulare dalla tasca e digitò il numero del suo migliore amico come avevamo deciso.
Un paio di squilli e il moro rispose.
"Coglione sono qui fuori. Vieni ad aprirmi che mi sei mancato!" rise Filippo.
Il ragazzo dall'altro capo del telefono attaccò subito infatti Filippo ripose immediatamente il cellulare nella tasca dei jeans.
"Sei uno stronzo! Potevi dirmelo..."
Lori aprì il portone di scatto ma le parole gli si fermarono in gola quando mi vide dinnanzi a lui, accanto al suo migliore amico.
"Non ci credo." sussurrò incredulo.
Rimase immobile per alcuni secondi e io dal canto mio avevo paura della reazione che stesse avendo. Non riuscivo a capire se fosse contento o meno di vedermi, cosa stesse pensando o cosa fare.
"Allora, che fai? Non mi abbracci?" gli chiesi avanzando un passo verso di lui.
Mi guardò dritto negli occhi per alcuni secondi ma poi sul suo volto si formò un sorriso di quelli che ti alleggeriscono l'anima.
Fece un passo verso di me e mi strinse forte a sé, sollevandomi leggermente da terra e facendomi volteggiare tra le braccia.
Io lo strinsi forte, come forse non avevo mai fatto.
Come avevo fatto tutto quel tempo a stare lontano da lui, da Filippo, dalla mia famiglia? Come avevo fatto a non crollare?
"Cazzo Bea, non ti azzardare mai più a scomparire così." mi rimproverò, mettendomi giù.
Continuava ad accarezzarmi i capelli e le spalle e in quel momento sentivo di stare veramente bene.
"Mi dispiace tanto. Davvero." mi scusai con sincerità.
L'idea di aver fatto stare in pensiero un po' tutti, di averli fatti preoccupare, mi faceva sentire profondamente in colpa. Solo in quel momento mi stavo rendendo conto del grande errore che avevo commesso ma purtroppo non potevo tornare indietro: tuttavia potevo rimediare e lo stavo già facendo.
"No, non devi scusarti. Devi solo promettermi di non fare più cazzate." mi supplicò serio.
"Te lo prometto." gli dissi sincera, abbracciandolo di nuovo.
Non avrei potuto più stare lontano da quelle persone o da quella città. Pur volendolo non ci sarei riuscita. Avevo bisogno della loro presenza.
Gli otto mesi che avevo trascorso praticamente da sola erano stati terribili, senza l'amore dei miei genitori, senza la possibilità di rifugiarmi tra le braccia di Filippo quando ero sul punto di crollare, senza Lorenzo e la sua capacità costante di farmi ridere. Erano la mia famiglia e non li avrei più lasciati andare.
Un colpo di tosse ci fece tornare alla realtà.
Filippo era rimasto lì impalato ad osservare la scena con un tenero sorriso sul volto. Era felice, glielo si leggeva negli occhi.
"Ora che è tornata lei a me nemmeno mi saluti? Sei proprio un infame." si finse offeso, trattenendo una risata.
Lorenzo, dal canto suo, si allontanò da me e gli saltò letteralmente addosso. Non si vedevano da meno di un mese eppure si erano mancati così tanto. Avevo sempre adorato il loro rapporto ed ero contenta che Filippo avesse potuto avere accanto a sé una persona eccezionale come Lorenzo durante la mia assenza.
"Mi sei mancato, idiota!" esclamò Filippo, dando una sberla a Lori sulla nuca mentre ancora lo abbracciava.
Li guardai bene e un sorriso spontaneo nacque sul mio volto. Quei due pazzi erano la mia seconda famiglia e non volevo perdere più nemmeno un momento insieme a loro.
"Dai, non mi escludete!" mi lamentai ridendo.
I due si guardarono e, ridendo, mi si avvicinarono.
In un attimo mi ritrovai avvolta dalle loro braccia, stretta in un abbraccio di gruppo dal quale non avrei voluto mai staccarmi.
Trascorremmo una mezz'oretta a casa di Lori, tra risate e ricordi dei vecchi tempi, ma c'era una cosa importante che dovevo fare. O meglio, c'erano delle persone che dovevo vedere.
"Lori, mi piacerebbe restare ma devo fare una cosa." dissi alzandomi dal divano sul quale ero rimasta per tutto quel tempo.
Mi ero riposata un po' e avevo rispolverato un po' la mente dai brutti pensieri e finalmente ero pronta.
"Vuoi che venga con te?" mi chiese Filippo.
Io gli sorrisi riconoscente ma scossi la testa.
"Devo farlo da sola. Ti chiamo dopo." lo rassicurai e lui annuì.
Filippo capiva. Lui sapeva che era una cosa che avrei voluto fare da sola. Era la mia famiglia. Dovevo affrontare quella situazione a viso aperto e una volta per tutte dovevo ristabilire un rapporto con i miei genitori, dopo non averli visti per mesi. Rivolevo la mia vita indietro.
Lasciai casa di Lorenzo e dovetti camminare una decina di minuti prima di arrivare a destinazione.
Mi guardai intorno: il quartiere nel quale ero praticamente cresciuta, il parco in cui io e Filippo avevamo giocato insieme per la prima volta, le strade che avevo percorso centinaia di volte e casa mia, quella casa che portava con sé una miriade di ricordi belli e brutti. La casa che mi aveva vista diventare una piccola donna, che aveva assistito ai miei concerti in camera insieme a Filippo, alle mie litigate con mia madre e ai pianti fatti tra le braccia di mio padre che sapeva sempre come farmi rispuntare il sorriso. Quella casa in cui ero cresciuta insieme a mio fratello. Nessuno me l'avrebbe più ridato indietro ma lui sarebbe sempre stato lì, il suo ricordo avrebbe sempre vissuto all'interno di quell'abitazione. Me lo sarei portata sempre nel cuore, sarebbe sempre stato una parte di me.
Mi avvicinai alla porta, percorsi quei pochi scalini che mi separavano da essa e poggiai le dita sul campanello.
Respirai profondamente prima di suonare.
Passarono un po' di secondi prima che la porta lentamente si spalancasse.
Persi un battito quando, dopo nove mesi, finalmente rividi mio padre. Aveva alcuni fogli in mano che gli cascarono a terra non appena mi vide.
Non ebbi nemmeno il tempo di pensare a quello che stava succedendo perché lui praticamente mi attirò a sé, tenendomi stretta come faceva sempre quando ero piccola e correvo a piangere tra le sue braccia.
E proprio non riuscii a non piangere, stretta a lui, mentre lo abbracciavo come non avevo mai fatto in tutta la mia vita.
"Bambina mia" mi sussurrò, mentre mi accarezzava i capelli, anche lui con la voce spezzata dal pianto.
Non avevo mai visto mio padre piangere. Si era sempre mostrato come una roccia ai nostri occhi. Anche quando Mattia era in ospedale, prima di morire, non lo avevo mai visto crollare. Era sempre così duro, non parlava e si vedeva visibilmente che stava male ma non lo aveva mai dimostrato direttamente.
Eppure in quel momento piangeva insieme a me e io mi sentii infinitamente in colpa perché all'assenza incolmabile di un figlio ne avevo aggiunta un'altra, non pensando a quanto potessi far star male le due persone che mi avevano messo al mondo.
"Papà mi dispiace così tanto." singhiozzai contro la sua camicia, mentre ancora mi teneva stretta a lui.
Come avevo potuto stare lontano dalla mia famiglia tutto quel tempo?
Lui mi lasciò andare, guardandomi in volto, mentre un sorriso confortante si apriva sul suo viso.
Mi asciugò le lacrime che avevano invaso il mio viso, con delicatezza.
"L'importante è che tu sia qui adesso, piccolina." mi accarezzò ancora le guance, facendomi sorridere leggermente per la prima volta da quando era arrivata.
Mentre mio padre continuava a stringermi e dirmi quanto gli fossi mancata, scorsi una figura alle sue spalle. Alzai il volto e finalmente vidi mia madre.
Ci avevo parlato una sola volta in tutti quei mesi. L'avevo telefonata la sera in cui ero stata ammessa ad Amici. Non ero riuscita a stare molto tempo a telefono per paura di scoppiare, così in breve le avevo raccontato dei casting e di quanto fossi felice e lei aveva appena fatto in tempo a dirmi che fosse fiera di me prima che io attaccassi con una scusa banalissima.
Mia madre era sempre stata la mia roccia. Era una donna forte, la invidiavo. A volte poteva sembrare molto severa ma io sapevo che tutto ciò che aveva fatto era per il mio bene.
"Beatrice." sussurrò, quasi incredula di avermi lì davanti a sé.
Mossi qualche passo verso di lei che mi guardava come immobilizzata.
"Sono qui mamma, sono tornata."
Vidi qualche lacrima scorrere lungo le sue guance appena in tempo prima di abbracciarla forte, come mai avevo fatto in vita mia.
Erano rare le occasioni in cui mia madre mi dava un bacio o un abbraccio. Sapeva dimostrarmi amore in maniera differente e io lo apprezzavo lo stesso.
Non piansi in quel caso, come avevo fatto con mio padre. Piuttosto la abbracciai sorridente, come a voler infondere quella felicità che stavo provando in quel momento anche a lei.
Il mio era un sorriso vero. Non stavo così bene da tempo ormai.
"Mi sei mancata tanto mamma." le sussurrai e lei mi strinse più forte, come a voler confermare che sì, anche io le ero mancata da morire.
"Sono orgogliosa di te, Beatrice."
E quella frase ripetuta ancora una volta dalle sue labbra non poté che accrescere ancora di più la mia contentezza.
"Noi ti guardiamo, tutti i giorni, ad Amici. Ed ogni sabato non aspettiamo altro che tu ti esibisca." mi disse, guardandomi finalmente con i suoi occhioni lucidi.
I suoi occhi. Mattia li aveva presi da lei, erano identici. E sentir dire a mia madre che fosse orgogliosa di me era un po' come sentirmelo dire da lui.
"Sei bravissima, tesoro." si unì a lei mio padre, avvicinandosi e mettendomi una mano sulla spalla.
"Mi dispiace davvero tanto se vi ho fatto del male. Io credevo davvero di fare la cosa giusta ma ho rischiato di perdere le persone più importanti della mia vita. Non voglio perdere più nemmeno un minuto con voi." mi scusai.
Non volevo più stare lontana da loro. Li avrei telefonati tutte le sere, gli avrei chiesto della loro giornata e di come stavano e loro avrebbero fatto lo stesso con me. Avevo già perso troppo nella vita e non potevo permettermi di perdere le persone che consideravo fondamentali.
"Non importa. L'importante è poterti avere qui adesso." mi rassicurò mio padre.
Mi sentivo decisamente più leggera.
"Mi siete mancati come l'aria." gli dissi sincera e loro mi strinsero in un abbraccio per l'ennesima volta.
Non mi sarei mai stufata. Sarei potuta rimanere lì per sempre, non mi sarebbero mai bastati.
Passai l'intera serata con i miei. Cenai insieme a loro come ai vecchi tempi, anche se l'assenza di Mattia si faceva sentire e non poco.
Ero in corridoio. Avevo fatto un breve tour della mia stanza per prendere alcune cose e avevo visto che tutto era rimasto così come una volta.
Nel passare dinnanzi alla camera di mio fratello qualcosa mi bloccò. Poggiai la mano sulla maniglia e d'istinto entrai. Non vi mettevo piede dal giorno prima che lui se ne andasse.
Rapidamente mi passarono nella mente migliaia di ricordi e momenti vissuti insieme: gli scherzi che mi faceva, quando andavo da lui per rompergli i coglioni o perché avevo avuto un brutto sogno e cercavo delle braccia che potessero stringermi e farmi sentire al sicuro.
Mi sedetti sul suo letto e afferrai una foto sul comodino. Ritraeva noi quattro tutti insieme, la nostra famiglia.
La strinsi forte al petto e sollevai gli occhi al cielo, cercando di trattenere le lacrime.
Nemmeno mi accorsi che mia madre fosse entrata e si fosse seduta accanto a me.
Mi abbracciò, avvolgendomi le spalle con un braccio e io poggiai la testa sulla sua spalla.
E a quel punto non fui più in grado di trattenerle quelle lacrime. Volevo piangere mio fratello e volevo farlo con le persone che veramente potevano capire il dolore che provavo.
"Lui mi manca mamma, ogni giorno."
"Anche a me, tesoro. Shh sta' tranquilla."
Continuava ad accarezzarmi i capelli e io pian piano mi tranquillizzai, smettendo di piangere.
"Se ti vedesse adesso, ad Amici, sarebbe fiero di te." mi confessò e io finalmente sorrisi.
Il ricordo di mio fratello era vivido nella mia mente ma non era più come mesi prima. Non avevo più quel brutto peso sullo stomaco che mi faceva alzare di malumore tutte le mattine né avevo più paura di pensare a lui per il terrore di scoppiare a piangere.
Mattia mi mancava e mi sarebbe mancato per sempre. Ma sapevo che lui sarebbe stato sempre accanto a me, avrebbe sempre vegliato su di me dall'alto e pensare tutto ciò mi dava la forza necessaria per andare avanti.
"È per lui che lo faccio, mamma." le confessai e lei mi lasciò un bacio sulla fronte.
"Lui veglia su di noi. Ci sarà sempre. E me lo porterò sempre nel cuore." continuai, accarezzando la foto che ancora stringevo tra le mani.
Lei annuì e mi strinse ancora a sé e io non avrei potuto desiderare di meglio.
Se Mattia ci avesse viste in quel momento, sarebbe rimasto sullo stipite della porta a guardarci con un sorriso enorme in volto. E mi piaceva pensare che lui fosse davvero lì e che in quel momento stesse sorridendo.

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