Martedì, 12 febbraio 2019
[Beatrice]
Avevo appena trascorso la nottata più brutta del mia vita. Era da qualche giorno che mi sentivo strana, come se le forze mi mancassero: mi sentivo debole. Nonostante quelle sensazioni, avevo deciso di ignorare la situazione, convinta che sarebbe passata e che fosse dettata semplicemente dal fatto che mi fossi appena trasferita in una città che non conoscevo, lontano dalle persone che amavo, e che tutto ciò avesse comportato un grande stress nella mia vita. Erano due settimane che facevo avanti e indietro tra casa mia e lo studio nel quale avevo iniziato a lavorare al mio album: avevo conosciuto alcuni produttori e altre persone che lavoravano lì e che sin dal primo momento avevano fatto in modo di farmi sentire a casa. Nonostante quello, però, mi ero tuffata a capofitto nel lavoro per evitare di pensare alle persone che mi mancavano e che erano lontane da me e avevo iniziato addirittura a saltare i pasti, pur di non fermarmi e di evitare di distrarmi.
La situazione era degenerata il mattino precedente, quando avevo avuto un capogiro così forte da pensare che tutto attorno a me stesse ruotando vorticosamente. Ero riuscita a riprendermi e avevo raggiunto lo studio: ero rimasta lì per tutto il giorno, nonostante riconoscessi di non essere in gran forma, e quando, verso sera, stavo per riprendere le mie cose per tornare a casa, un nuovo capogiro mi aveva scossa, quella volte più intensamente della prima.
Avevo sentito le gambe cedermi e la vista annebbiarsi fino a non vedere più nulla. Mi ero lasciata andare al pavimento e mi ero risvegliata su un lettino del pronto soccorso, con il liquido di una flebo che mi scorreva nelle vene e la testa che mi faceva male come non mi era mai successo nella mia vita. Ed in quel momento mi ero resa conto di essere stata una stupida, di starmi riducendo uno straccio senza un motivo apparente, che mi sarebbe potuto succedere qualcosa di più grave, che sarei potuta svenire a casa da sola senza che nessuno potesse soccorrermi. Mi stavo buttando giù come se in tutta quella situazione fossi l'unica a stare male. Avevo fatto promettere a Filippo di non tenersi tutto dentro e alla fine lo avevo fatto io, come una stupida. Dovevo riprendere in mano la situazione e darmi un contegno perché rischiavo di non godermi appieno quell'esperienza e non avrei potuto avere una seconda possibilità.
Alcune ragazze che lavoravano insieme a me si erano premurate di portarmi in ospedale, mi erano rimaste accanto tutta la notte e mi avevano appena riportata a casa: avevano insistito per restare lì con me ma le avevo tranquillizzate, dicendo loro che avrei mangiato qualcosa e poi avrei riposato.
Non le avrei mai ringraziate abbastanza per essere rimaste insieme a me tutta la notte, nonostante ci conoscessimo da davvero poco tempo, ma in quel momento avevo bisogno di parlare con qualcuno di familiare e di sfogarmi fino a piangere.
Allo stress dei giorni precedenti in quel momento si aggiungeva anche l'ansia per quella giornata così importante per Filippo: quella sera avrebbe cantato sul palco di Sanremo, avrei potuto finalmente ascoltare quella canzone che si era tenuto nascosto per tanto tempo e che non mi aveva fatto ascoltare perché voleva che fosse una sorpresa e sapevo che si sarebbe preso la mia anima ancora una volta perché ciò che scriveva non riusciva mai a lasciarmi indifferente.
E in quella giornata così importante per lui non avrei mai potuto parlargli di tutto quello che avevo passato quella notte perché si sarebbe arrabbiato da morire per essere stata così irresponsabile, si sarebbe preoccupato e non volevo accrescere ancor di più l'ansia che già aveva in corpo. Ero lontana e non potevo stargli vicino come avrei voluto e come lui avrebbe avuto bisogno, quindi non potevo raccontargli una cosa del genere prima che salisse su quel palco: doveva andare tutto per il meglio e lui doveva essere il più sereno possibile.
Era di lui, più di chiunque altro, che avevo bisogno in quel momento ma lui non aveva bisogno di tutto quello che stavo attraversando o almeno non prima di salire sul palco dell'Ariston quella sera. Sapevo che quando glielo avrei detto avrebbe dato di matto e non potevo permettermi di essere causa di un suo ulteriore nervosismo in una notte così importante.
Preparai una tisana calda e afferrai un croissant confezionato dalla credenza, perché dovevo costringermi a mangiare qualcosa altrimenti sarei stata peggio. Presi posto sul divano, mi coprii con una coperta e afferrai il cellulare, alla ricerca dell'unica persona in rubrica che sapevo avrebbe mantenuto almeno un briciolo di razionalità e autocontrollo, dopo che gli avrei parlato di quella nottata folle.
Un paio di squilli e finalmente sentii la voce di Lorenzo dall'altro capo del telefono.
"Ehi, buongiorno piccoletta." mi augurò, consapevole che nonostante in Italia fosse pomeriggio inoltrato, in America c'erano ancora le prime luci dell'alba, con un tono di voce che mi fece sorridere spontaneamente.
"Lori, se sei insieme a Filippo, potresti allontanarti?" gli chiesi, con tutta la calma del mondo, cercando di respirare profondamente per tranquillizzarmi e non scoppiare a piangere all'improvviso.
"È andato a fare le prove. Sono da solo." mi rassicurò e io tirai un sospiro di sollievo, contenta che almeno non avrei mandato all'aria tutto quello che mi ero prefissata.
"Bea." mi richiamò Lorenzo e io semplicemente mugugnai qualcosa.
"Non hai fatto cazzate, mh? Non devo venire a prenderti in aeroporto, vero?" mi chiese, accennando una lieve risata, anche se riuscivo a cogliere un leggero velo di preoccupazione, nel suo tono di voce, che avessi mandato tutto all'aria e fossi tornata in Italia per poter sostenere Filippo da vicino.
Risi leggermente, scuotendo il capo nonostante sapessi che lui non potesse vedermi. Magari fosse stato semplicemente quello il problema: sarebbe stato più facile da spiegare e sicuramente più sensato il motivo per cui volevo che Filippo non sapesse nulla.
"È una cosa un po' seria, in realtà." gli confessai e riuscii a tradirmi con la voce proprio verso le parole finali. Non riuscivo davvero più a trattenermi. Ero sull'orlo di una crisi di pianto.
"Ehi, va tutto bene?" mi chiese il mio amico dall'altro capo, preoccupandosi per il tono di voce tremante che avevo usato.
"Si, cioè no, non va tutto bene." sussurrai, con la voce rotta dal pianto, dando libero sfogo a quelle lacrime che stavano minacciando già da troppi minuti di fuoriuscire dai miei occhi per bagnarmi le gote.
Tirai su con il naso e sentii Lorenzo sospirare esasperato, perché probabilmente non aveva idea di cosa fare, complice la distanza che ci separava e il fatto che potesse parlarmi solo attraverso un cellulare.
"Bea, calmati. Sono qua." cercò di rassicurarmi, inondandomi l'animo di quella serenità che più di lui era in grado di trasmettermi solo Filippo.
Mi asciugai alla meglio gli occhi, mentre alcuni spasmi dovuti al pianto ancora facevano tremare tutto il mio corpo.
Sospirai profondamente, cercando di calmarmi, perché continuare a stressarmi in quel modo non mi avrebbe fatta stare affatto meglio.
"Mi stai facendo preoccupare, Beatrice." si agitò e io presi un grandissimo respiro.
Sapevo come avrebbe reagito, era un libro aperto per me: ansia e preoccupazione lo avrebbero travolto, si sarebbe arrabbiato per non aver chiamato subito, mi avrebbe rimproverata dicendomi che non dovevo ridurmi in quelle condizioni, mi avrebbe detto di dirlo a Filippo e infine mi avrebbe rassicurata, come avrebbe fatto un fratello. Sapevo già come avrebbe reagito eppure avevo bisogno della sua reazione, probabilmente per darmi una scossa e riprendermi.
"Ieri sera mi sono sentita male." gli confessai e lo sentii allarmarsi.
"Che vuol dire?" chiese spiegazione, come ero sicura che avrebbe fatto.
Riuscivo solo a pensare al momento in cui lo avrei detto a Filippo e non riuscivo ad immaginarmelo perché non esisteva un modo adatto per dirglielo che non lo avrebbe fatto precipitare in un vortice di paranoia totale.
"Ho avuto una sincope, quando stavo per tornare a casa dallo studio. Ho avuto un capogiro e ho sentito le gambe cedermi. Per fortuna alcune persone che lavorano con me mi hanno portata in ospedale e sono rimasta lì per tutta la notte." gli spiegai, cercando di essere quanto più chiara possibile.
"Ma ti hanno detto da cosa può essere dipeso? Stai bene adesso?" mi chiese, parlando come una macchinetta, così veloce che a stento riuscii a distinguere le parole.
Sorrisi leggermente, scuotendo il capo, perché avevo immaginato quell'esatta reazione da parte di Lorenzo.
"È dipeso dal fatto che sono un'idiota, Lori. È una settimana che salto i pasti e mangio male. Mi sono buttata sul lavoro per non pensare a tutto il resto. Mi sono ridotta così con le mie stesse mani." mi autocommiserai.
Ce l'avevo con me stessa, prepotentemente, in quel momento, perché ero riuscita a farmi del male da sola, mi ero lasciata sopraffare da tutti i sentimenti negativi che provavo, dalla mancanza e dal silenzio che riempiva quell'appartamento vuoto, dalla lontananza e dalla possibilità di sentire le persone che amavo solo attraverso la voce metallica di un cellulare. Avevo lasciato che tutte le cose negative di quell'esperienza mi annientassero, eliminando completamente dalla mia mente quelle positive, il lato meraviglioso dell'essere negli Stati Uniti. Avrei dovuto smetterla perché non mi sarei mai perdonata se avessi mandato tutto all'aria. Avevo voglia di fare musica come avevo sempre sognato e dovevo cercare di riversare tutte quelle brutte sensazioni in ciò che scrivevo.
"Porca puttana, Beatrice. Ma cosa ti è passato per la testa?" mi rimproverò Lorenzo, esasperato, e un po' potevo immaginarmelo in quel momento, a girare in tondo nella stanza, con le mani tra i capelli a tirarsi nervosamente le punte verso l'alto.
Mi dispiaceva di aver dovuto lanciare quella bomba proprio su di lui ma chiamare mia madre sarebbe stato fin troppo complicato e allarmare Filippo in un momento così importante per lui era l'ultima cosa che avrei voluto fare. Allo stesso tempo, nonostante non mi fosse capitato nulla di grave, era fondamentale avvisare qualcuno di ciò che mi era successo e Lorenzo era una delle persone di cui più mi fidavo al mondo e sapevo che lui, al contrario di tutti gli altri, avrebbe mantenuto la calma, almeno apparentemente.
"Non lo so, Lori. Mi sento una stupida." gli confessai e lo sentii sospirare ancora una volta.
"Hai mangiato qualcosa? Ti senti meglio?" si premurò e io annuii all'aria per poi rendermi conto che in realtà lui non potesse vedermi.
"Si, ora sto bene, ho fatto colazione e prometto di stare attenta. Non so cosa mi sia preso, davvero. Ho lasciato che tutto questo mi travolgesse." gli spiegai, nonostante fosse più che comprensibile che Lorenzo fosse arrabbiato per il mio comportamento. Lo era perché avevo fatto una cazzata, non mi stavo affatto prendendo cura di me stessa e stare male a livello fisico mi avrebbe portata a non raggiungere il massimo nemmeno nel mio lavoro. Non potevo affatto permettere che quell'occasione mi scivolasse dalle mani in quel modo, senza aver lottato.
"Dio, Bea. Sei stata un'incosciente. È difficile starti accanto a questa distanza, lo capisci? È una cosa grave e sei stata fortunata. Sarebbe potuta andare peggio, sarebbe potuto succederti mentre eri in casa da sola, avresti potuto rischiare di battere la testa." si lamentò, parlando ancora una volta ad una velocità inaudita, e ciò che disse un po' mi fece rabbrividire.
"Lori, sto bene. Non è successo nulla di grave." cercai di rassicurarlo, dispiaciuta di averlo fatto allarmare così tanto.
"È estenuante sapere tutto questo e non poter essere lì con te." mi confessò e io sospirai rumorosamente.
Sentii il rumore dello scatto di un accendino, segno che probabilmente Lorenzo avesse acceso una sigaretta.
"Mi dispiace tanto, davvero." mi scusai.
Non avevo nemmeno più la forza di piangere. Quella distanza mi stava uccidendo, più di quanto potessi dare a vedere. La mancanza mi stava dilaniando e non stavo reagendo. Sapevo di essere più forte di così, lo ero stata e avevo superato ben di peggio. Dovevo solo trovare il coraggio di tirar fuori quella forza e iniziare a godermi davvero quell'esperienza.
"Bea, devi riprenderti. Devi essere forte. Ne varrà la pena, lo sai." mi incoraggiò e non avrei potuto ringraziarlo abbastanza per riuscire ad essere così straordinario, nonostante tutte le cazzate che continuavo a fare.
"Lo so. Grazie Lori. Sapevo di poter contare su di te." lo ringraziai, consapevole che non sarei mai stata in grado di sdebitarmi con lui.
Passarono alcuni secondi di silenzio. Infondo aspettavo solo che mi chiedesse una cosa in particolare. Stavo evitando l'argomento come la peste perché come al solito la mia codardia era riuscita a precedermi, ma sapevo che Lorenzo sarebbe arrivato al punto e sarebbe stato più severo del solito in quella situazione.
"Bea." mi richiamò e dal tono di voce che aveva usato ero riuscita a capire in anticipo a cosa volesse andare a parare.
"Lo so, Lori." sospirai, come se stessi rispondendo a qualcosa che mi aveva già chiesto, nonostante lui non avesse ancora parlato. Riuscivo a leggergli nel pensiero anche a quella distanza e senza poterlo guardare negli occhi. Era un libro aperto per me.
"Devi dirglielo." mi disse con serietà, confermando le mie idee riguardanti ciò a cui quel discorso avrebbe portato.
Sapevo di doverne parlare a Filippo e che Lorenzo non mi avrebbe lasciato via di scampo.
"Lo farò." lo rassicurai perché era così.
Non avrei mai potuto scherzare su una cosa del genere. Era importante che lo sapesse.
"È una cosa seria e, facendo i dovuti scongiuri, potrebbe ricapitare. Deve saperlo. Non ti coprirò stavolta: se non glielo dici tu, glielo dico io." mi assicurò.
Era serio, come forse non lo avevo mai visto in vita sua. Sapevo che lo avrebbe fatto, senza porsi alcun problema. Glielo avrebbe detto, se non lo avessi fatto io. Mi aveva messo alle strette come era giusto che fosse e non lo avrei deluso, non quella volta.
"Voglio solo aspettare l'esibizione. Sai com'è fatto." gli spiegai.
"Si, forse è meglio." mi diede ragione, conoscendo alla perfezione il suo migliore amico e sapendo quanto le paranoie riuscissero a farlo bloccare.
"Come sta?" gli chiesi.
Sapevo che Lorenzo mi avrebbe dato una risposta differente da quella che avrei ottenuto se lo avessi chiesto a Filippo stesso. Lorenzo mi avrebbe detto tutto ciò che riusciva a percepire nello stato d'animo del suo migliore amico; Filippo invece avrebbe teso a tenersi tutto dentro e avrei dovuto tirarglielo fuori con le pinze.
"Non lo so, l'ho visto sereno ma probabilmente è tutta una facciata, lo conosci. È come se avesse bisogno di altro, come se ciò che ha qui non gli bastasse." mi spiegò e capii perfettamente dove volesse arrivare.
"Non me lo dire, ti prego." sospirai.
"Ha bisogno di te, Bea. Non serve che te lo dica io." mi fece notare e quelle frasi un po' mi fecero tremare il cuore.
"Lui ha bisogno di me e io faccio queste cazzate. Dio, mi sento in colpa, non se lo merita." sospirai.
Immaginavo già il momento in cui avrei dovuto dire ad un Filippo felice di aver cantato sul palco dell'Ariston che avevo avuto un malore e che non avevo mantenuto la promessa che gli avevo fatto e cioè che mi sarei presa cura di me stessa.
"Smettila di autocommiserarti. Devi stare più tranquilla, Beatrice." cercò di rassicurarmi e un po' ci riuscì.
Sentii qualche rumore di sottofondo e poi delle voci tra le quali riuscii a scorgere proprio quella di Filippo.
"C'è Bea al telefono." lo avvisò il mio amico e probabilmente avrei sentito la voce di Filippo da lì a pochissimi secondi.
"Filippo è qui, te lo passo." mi avvisò, nonostante avessi già sentito tutto.
"Ah, sappi che appena ha sentito il tuo nome gli si è formato un sorriso da coglione sul volto." mi avvisò, prendendolo in giro, e io scoppiai a ridere nonostante ciò che aveva appena detto avesse fatto accelerare il mio battito cardiaco, come fossi una ragazzina alla sua prima cotta, perché era esattamente quello l'effetto che Filippo aveva su di me.
"Sta' zitto." sentii dire al mio ragazzo, prima di riuscire a percepire il suo respiro attraverso il cellulare, segno che lo avesse portato all'orecchio.
"Buongiorno splendore." esclamò con entusiasmo e sentii il cuore riempirsi di una serenità che mi mancava dalla sera precedente, nel sentire la sua voce.
"Ciao a te." lo salutai, ridendo leggermente per il tono di voce che aveva utilizzato.
"Non puoi capire che vista del mare c'è dalla mia camera d'hotel. Dovresti essere qui per vederla." mi spiegò, prendendomi in giro perché nelle ultime settimane non avevo fatto altro che lamentarmi della pioggia che ormai non ne voleva più sapere di abbandonare Seattle.
"Sei uno stronzo. Qui c'è una nebbia che mi sembra di essere a Milano." mi lagnai.
"Dai, almeno ti sentirai più vicina a casa." mi rassicurò.
Sospirai perché sentirglielo dire faceva aumentare ancor di più quella malinconia che mi attanagliava lo stomaco. Filippo sembrò accorgersene.
"Ehi, stai bene?" si assicurò.
"Si. È solo che oggi mi manchi più degli altri giorni." gli confessai e lo sentii sospirare piuttosto intensamente.
Sapevo che probabilmente per lui fosse lo stesso, che stesse cercando di affrontare quella giornata col sorriso per evitare di pensare che fossimo lontani e che probabilmente, se fossi stata lì a tranquillizzarlo, sarei riuscita a placare un po' le sue ansie e paranoie.
"Mi manchi anche tu. Vorrei che fossi qui, oggi più che mai." mormorò, ma io riuscii a sentirlo lo stesso, come se fossimo vicini e lo avesse sussurrato solo a me, come se fosse una cosa talmente intima che niente attorno a noi dovesse sentirlo.
Ignorai la sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco e cercai di rimanere lucida, perché Filippo aveva bisogno di me e che mantenessi la calma al posto suo. Era la sua giornata e non gliel'avrei rovinata per nulla al mondo.
"È andata bene alle prove?" gli chiesi, nella speranza che tutto fosse andato per il meglio, che fosse tranquillo almeno da quel punto di vista.
Ero così impaziente di ascoltare quella canzone: avevo pregato più volte Filippo di farmela ascoltare ma lui era inamovibile. Voleva che fosse una sorpresa e avevo paura dell'effetto che tutto ciò avrebbe potuto avere su di me.
"Si, tutto perfetto." mi assicurò, ma lasciò la frase in sospeso, come se avesse qualcosa da aggiungere.
"Ma sei in ansia." continuai la sua frase, come se gli avessi letto nel pensiero.
"Mi conosci." sospirò e io annuii, sistemandomi meglio sul divano, incrociando le gambe per stare più comoda.
"Filippo." lo richiamai.
Avrei voluto dirgli tante cose. Avrei voluto parlagli di quella notte folle, di come mi ero ridotta, di quanto follemente mi mancasse averlo con me, baciarlo, sfiorarlo, abbracciarlo, di quanto la notte mi mancasse l'aria nell'osservare il letto vuoto accanto a me. Avrei voluto dirgli che anche io ero in ansia e che non facevo altro che pensare a quella serata da tre giorni a quella parte. Avrei voluto dirgli tante cose ma in quel momento niente mi sembrava appropriato.
Lui mugugnò qualcosa.
"Andrà tutto bene, okay?" lo rassicurai semplicemente. Sapevo che ce l'avrebbe fatta.
"Quando sono salito sul palco a fare le prove, poco fa, mi sono tornate in mente un sacco di cose. Ho visto il me stesso di quattro anni fa e se penso a tutto quello che ho passato mi viene voglia di urlare." mi confessò.
Immaginavo quanto potesse essere dura per lui ritornare lì, pensare a quanto fosse felice il giorno in cui ci era salito per la prima volta per cantare Cosa Resterà e poi a tutto ciò che lo aveva travolto dopo.
Ricordavo perfettamente quella giornata, le mille sigarette fumate in quel camerino, le ansie e le paranoie, le prese in giro che io e Lori gli avevamo rivolto per cercare di tranquillizzarlo e il momento in cui aveva cantato. Ricordavo le lacrime davanti a quello schermo televisivo quando avevo ascoltato per la prima volta quella canzone che mi aveva fatto rivivere tutti i momenti bui che aveva passato e che io e Lorenzo avevamo attraversato insieme a lui, cercando di stargli vicino e di aiutarlo a risollevarsi. Mi ricordavo immobile davanti a quello schermo e Lori che mi aveva stretto la mano, per darmi forza, come a dirmi che ce l'avevamo fatta, che ci era riuscito, che si era ripreso e finalmente era su un palco insieme alla sua musica, dove meritava di stare. Ricordavo di averlo aspettato fuori dal camerino, con le guance ancora umide e le mani tremanti, e che quando lo avevo visto venire verso di me con un sorriso timido sul volto gli ero corsa incontro, lo avevo stretto così forte da farmi male e lui mi aveva sollevato da terra, abbracciandomi così intensamente che quel momento era rimasto impresso nelle mie ossa e nella mia anima.
E probabilmente eravamo già innamorati l'uno dell'altra, solo che eravamo troppo stupidi per capirlo, o forse stavamo mentendo a noi stessi, o probabilmente stavamo cercando di ignorare quella sensazione perché eravamo sempre stati due che preferivano scappare dalle difficoltà.
"Eppure guarda dove sei adesso. Direi che ne è valsa la pena, no?" cercai di infondergli coraggio.
In quei momenti Filippo era davvero da prendere con le pinze. Bisognava dire le parole giuste, rassicurarlo, fargli sentire sostegno, perché era come un bambino cresciuto troppo in fretta, che era stato costretto ad affrontare cose più grandi di lui, e l'unica cosa che gli serviva era sentire la vicinanza delle persone che amava.
"Si, hai ragione." affermò, facendomi sorridere.
Non volevo che i fantasmi del passato tornassero a tormentarlo proprio in quel momento. Non gli serviva e avrebbe reso tutto ancor più difficile di quanto non lo fosse già.
"Filo, non ti servono a nulla tutte queste paranoie. Lo sai meglio di me. Devi stare tranquillo." cercai di risollevarlo un po'.
Se solo fossi stata lì, sarebbe stato tutto più semplice, ma era anche da quello che si poteva vedere la nostra forza.
"Prima sono passato davanti al mio vecchio camerino e mi sei venuta in mente tu, che mi aspettavi lì emozionata. Vorrei tornare indietro a quel momento solo per baciarti come non ho fatto allora." mi confessò e sentii per un attimo il cuore perdere un battito a quelle parole.
"Ti amo, Filippo." semplicemente gli sussurrai, perché non avrei potuto trovare parole più adatte per replicare a ciò che aveva appena detto.
"Io ti amavo anche allora, solo che ci ho messo un po' a capirlo." mi confessò, facendomi sorridere come una bambina.
Probabilmente non c'era stato nemmeno un momento nella mia vita in cui non lo avessi amato: ci avevamo solo messo un bel po' di tempo per capire il vero sentimento che ci legava, mascherando tutto con un'amicizia che era sempre stata qualcosa di più grande.
"Se il destino ha voluto che andasse così, ci sarà un motivo." constatai.
"Forse è meglio che sia andata così. Se ti avessi baciata in quel corridoio, probabilmente tornare qui senza di te sarebbe stato ancora più difficile di quanto non lo sia già." affermò, ridendo leggermente, ma riuscii lo stesso a cogliere un certo velo di malinconia nelle sue parole.
Era difficile per me non essere lì in quel momento ed era difficile per lui ritrovarsi lì da solo. Non ci vedevamo da tre settimane e sembravano essere passati mesi. Ogni giorno senza di lui sembrava durare un'eternità.
"Dovrei essere lì con te." mi lamentai.
Quella cosa mi faceva sentire così in colpa da farmi mancare il respiro: mi ero ripromessa che non lo avrei lasciato da solo per nessun motivo al mondo in momenti così importanti e invece era esattamente ciò che avevo fatto.
"Non dire cazzate, Beatrice. Ne abbiamo già parlato. Sei nell'unico posto in cui dovresti essere." mi rimproverò, ancora una volta, come era accaduto qualche settimana prima nel mio appartamento, diventato così vuoto e silenzioso da quando era andato via.
"Mi basta sentire la tua voce per stare più tranquillo." mi rassicurò e il mio cuore fu inondato da una gioia improvvisa.
Il modo che aveva di rassicurarmi, nonostante in quel momento quello che dovesse essere rassicurato fosse lui, mi metteva una tranquillità assurda.
"E adesso sei un po' più tranquillo?" gli chiesi conferma.
"Un po' si." mi confortò, facendo calmare per qualche istante l'ansia che mi aveva pervasa.
"Non vedo l'ora di ascoltare la canzone." gli feci sapere, trepidante. Aspettavo quel momento da settimane e davvero non ne potevo più, volevo che arrivasse il prima possibile, anche se sapevo che probabilmente mi avrebbe rubato l'anima.
"Aspetto solo che tu possa farlo." mi confessò e probabilmente era più in ansia di me.
"Ti ricordo che sono a Seattle, mi manchi da morire e quindi sono già abbastanza instabile. Non farmi piangere troppo." mi assicurai, dando per scontato che lo avrei fatto, perché Filippo riusciva sempre a lasciarmi senza fiato con le sue canzoni e quella cosa, al di sopra di tutte le altre, non sarebbe mai cambiata.
"Non posso promettertelo." scherzò e io sospirai, affranta.
Sentii dei rumori dall'altro capo del telefono, Filippo parlare con qualcuno in lontananza e poi di nuovo la sua voce forte e chiara.
"Devo scendere per un'intervista, piccola peste." si lamentò, scocciato e dispiaciuto di dover porre fine a quella telefonata.
"Va', non far aspettare nessuno." lo incitai, senza pensarci due volte.
"Ti chiamo dopo l'esibizione, okay?"
"Ti aspetto qua." lo rassicurai, perché non sarei andata da nessuna parte. Sarei rimasta attaccata ad uno schermo nell'attesa di vederlo finalmente esibirsi e avrei pianto d'orgoglio, perché avrebbe spaccato da morire.
"Filippo." lo richiamai, prima che riagganciasse la telefonata, e lo sentii mugugnare qualcosa.
"Mi raccomando. Sei forte."
"Ti amo." sussurrò e io sorrisi, annuendo nel vuoto, perché lo amavo anch'io, da diventare pazza.
Lo salutai e quando attaccai, sospirai, lasciandomi cadere all'indietro sul divano.
L'ansia cresceva sempre di più, insieme al senso di colpa per ciò che avrei dovuto raccontargli dopo l'esibizione. Volevo solo che Filippo stesse bene, che fosse tranquillo, e di sicuro in qualche modo avrei perturbato quella calma che si sarebbe creata attorno a lui dopo aver cantato, ma dovevo farlo per me stessa e soprattutto per lui, perché lo avrei deluso ulteriormente se non gliene avessi parlato. Non volevo che lo sapesse da Lorenzo, non potevo permettermelo ancora. Dovevo affrontare quella situazione di petto e riprendere in mano la mia vita. Non mi sarei lasciata abbattere per nulla al mondo.
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Nonostante noi - IRAMA
Fanfiction"Ci siamo guardati, di sfuggita, come fanno due che vorrebbero sapere come sta l'altro ma che hanno troppo orgoglio e perciò stanno zitti. Ci siamo guardati, come fanno due bambini che hanno litigato e aspettano il coraggio per fare pace. Ci siamo g...