5 anni dopo...
Sabato, 14 settembre 2024
[Beatrice]
Dieci giorni.
Dieci maledetti giorni.
Ero in ansia, incapace di fare altro se non continuare a pensare a tutto quello che avrebbe potuto stravolgere completamente la mia vita, come immobile di fronte a qualcosa più grande di me, impaurita da ciò che avrebbe comportato, terrorizzata di non esserne all'altezza.
Erano passati dieci giorni dalla sera in cui, dinnanzi a quella farmacia, avevo riposto quella piccola e stretta scatola nella mia borsa, non riuscendo più a trovare il coraggio di tirarla fuori.
Dieci giorni, erano dieci maledettissimi giorni che dormire la notte era diventato più difficile, che alzarmi dal letto alla mattina mi faceva mancare il respiro, che fare tutte le cose a cui ero abituata non era più lo stesso, perché il pensiero di quella cosa enorme che avrebbe potuto ribaltare completamente la mia vita mi faceva tremare le mani e girare la testa.
Erano dieci giorni che la sera mi sdraiavo a letto accanto ad un Filippo completamente inconsapevole di ciò che mi passava per la testa, che non poteva neanche lontanamente immaginare che di lì a poco le vite di entrambi avrebbero rischiato di essere stravolte, per sempre. E mi sentivo in colpa per non averglielo ancora detto ma allo stesso tempo la ritenevo la cosa giusta per me stessa, perché avevo bisogno del mio tempo e dei miei spazi, per riflettere su tutta quella situazione, per capire che cosa volessi davvero, per prendere una decisione, da sola, senza lasciarmi influenzare dai suoi occhi.
Dieci giorni di ritardo, che per una persona come me erano una cosa così inconsueta da avermi convinta che l'esito del test di gravidanza, che tenevo ancora custodito in quella borsa nera, fosse positivo.
E così, a quasi trent'anni, mi ero ritrovata a mettere in discussione tutta la mia vita, per un figlio.
Avevo sempre pensato, sin da quando ero piccola, che diventare madre non facesse per me. Avere dei figli, costruire una famiglia, non erano mai state costanti a cui aspiravo nella mia vita. Avere un figlio dal mio migliore amico, poi, mi sembrava così surreale da stentare a crederci.
Mai, nella mia vita, avrei immaginato di ritrovarmi in una situazione del genere, a dover fare una scelta di quel tipo, a riflettere sull'eventualità di avere un bambino, per capire se mi avesse resa più felice metterlo al mondo oppure no.
Non avevo mai pensato a me stessa in quella veste, non mi ero mai guardata allo specchio pensando che un giorno sarei potuta essere madre, non aspiravo a diventarlo, eppure in quel momento l'immagine di me con un bambino tra le braccia non faceva che tormentarmi, come se non potessi più liberarmene, come se fosse destinata a perseguitarmi per il resto dei miei giorni.
Avevo paura di non essere in grado di affrontare tutto, di prendere una decisione che avrebbe potuto rivelarsi come quella sbagliata, di tenere un bambino che non sarei stata pronta a crescere o di decidere di non averlo, per poi portare quel peso dentro di me per tutta la mia vita.
"Bea, hai visto la mia cravatta?"
La voce di Filippo arrivò ovattata alle mie orecchie, come se quella mattina fossi in un'altra dimensione, come se il flusso continuo dei miei pensieri mi avesse portata ad estraniarmi dalla realtà.
Non avevo la forza di rispondergli in quel momento, mentre, seduta sul bordo della vasca del nostro bagno, fissavo il mio riflesso allo specchio, perché se solo avessi aperto bocca mi sarei tradita, trasformando quel magone allo stomaco in lacrime che non sarei più stata in grado di controllare.
Fissavo il mio riflesso allo specchio e mi chiedevo se ciò che stavo per fare fosse la cosa giusta, mi chiedevo se dirglielo proprio in quel momento, quella mattina, in quella giornata particolare, fosse la scelta più saggia. Mi chiedevo se avessi avuto il coraggio di aprire bocca senza scoppiare a piangere, mi chiedevo se fossi pronta a lanciare una bomba tanto grande, mi chiedevo se valesse la pena di rischiare di rovinare una giornata che avrebbe dovuto portare solo una ventata di gioia e felicità nelle nostre vita.
Fu quando lo vidi fare capolino dalla porta del bagno e guardarmi, con quegli occhi verdi così limpidi da farmi paura per l'effetto che riuscivano ad avere su di me, che mi resi conto che non potevo più portare dentro di me un peso tanto grande, che lui dovesse sapere e che anch'io avessi bisogno di una risposta.
Avevo bisogno di fare quel test di gravidanza, avevo l'estrema necessità di sapere se fossi incinta, avevo bisogno di prendere una decisione e avevo bisogno dell'uomo della mia vita al mio fianco.
"Ehi, è tutto okay?" mi domandò, spalancando la porta e muovendo qualche passo verso di me, a torso nudo e con i pantaloni del suo completo già addosso ma ancora slacciati.
Lo osservai per qualche secondo, evitando di incrociare i suoi occhi, e poi abbassai lo sguardo, completamente incapace di reggere quel confronto che però ero consapevole fosse necessario.
"Bea, parlami." mi scosse leggermente per una spalla e io rialzai il volto, incrociando finalmente i suoi occhi, immersi nei miei che stavano diventando leggermente lucidi.
Presi un respiro profondo e per qualche istante ogni singolo momento degli ultimi dieci giorni riaffiorò alla mia memoria, facendomi rivivere ogni sensazione che avevo provato, lo stato di ansia che mi aveva travolta, la paura, il terrore di non farcela, l'incertezza sul da farsi, la mancanza della forza e del coraggio necessari per parlarne con Filippo e fare quel test. Rivissi ogni singola emozione provata in quelle giornate e mi resi conto di volerci dare un taglio: non volevo più sentirmi così, volevo liberarmi di quel peso e alleggerirmi l'anima.
Allungai una mano verso la sua e gliela strinsi, lasciando che le nostre dita si intrecciassero. Mi alzai in piedi e gli poggiai una mano sul petto, riuscendo a sentire distintamente i battiti del suo cuore leggermente accelerati al di sotto della sua pelle.
Presi un respiro profondo, raccolsi tutta la forza che avevo dentro di me e finalmente ebbi il coraggio di confessare quella verità che mi tenevo dentro.
"Ho un ritardo, Filippo." sussurrai, flebilmente, osservando attentamente ogni suo cambio di espressione, ogni sua più piccola mossa.
Il cuore prese a battergli un po' più forte e la sua mano, stretta nella mia, cominciò a tremare leggermente, mentre sul suo volto si formava un'espressione al quanto sorpresa che in altre circostanze sarebbe addirittura riuscita a farmi ridere.
"Cosa?" riuscì appena a sussurrare, con voce tremante, puntando i suoi occhi in maniera prepotente nei miei, cercando di scorgere ognuna delle emozioni e delle sensazioni che stavo provando in quel momento e del quale lo avevo tenuto all'oscuro.
Non sapevo come interpretare quella sua reazione, eppure negli istanti immediatamente successivi all'aver pronunciato quelle parole mi ero sentita meravigliosamente leggera, come non mi sentivo da tempo.
Lo vidi per qualche secondo chiudere gli occhi e sospirare, allontanandosi da me ma non poi così troppo, respirando a fondo, come se gli servisse per tranquillizzarsi. E potevo capirlo benissimo in quel momento perché avevo gettato una bomba di grandissime dimensioni e avevo scombussolato ogni cosa, ogni pensiero, ogni programma, tutto.
"Dieci giorni." aggiunsi, approfittando del fatto che non mi stesse guardando per confessargli la cosa che temevo lo avrebbe deluso maggiormente, ossia il fatto che avessi lasciato passare tutto quel tempo prima di dirglielo.
Io e Filippo avevamo fatto grandi progressi come coppia, il nostro rapporto era finalmente stabile come sognavamo da anni, avevamo imparato ad aprirci, a dialogare, a confessarci le cose senza aver paura della reazione dell'altro. Eppure in quei giorni mi sembrava di essere tornata indietro di qualche anno, di essere di nuovo al punto di partenza, a quello in cui parlare era troppo difficile e nascondere le cose risultava la strada più semplice da seguire.
E anche se lo avevo fatto per me stessa, perché se glielo avessi detto da subito non avrei avuto modo di riflettere in maniera lucida, avevo paura di averlo deluso.
Quella paura però scomparve totalmente quando lo vidi aprire gli occhi e dedicarmi uno di quei sorrisi che mi facevano impazzire e che lo facevano sembrare un bambino.
"Vieni qua." mi sussurrò, prima di avvolgermi con le sue braccia, come fosse la cosa più naturale del mondo, e finalmente dopo dieci giorni mi sentii protetta, sentii che avremmo potuto trovare una soluzione insieme, che se fossi stata incinta saremmo stati in grado di far funzionare tutta quella situazione.
Mi beai del calore di quell'abbraccio, inebriandomi le narici del suo profumo e lasciando che quella sensazione di tranquillità a me sconosciuta da un po' si impossessasse di me, permettendomi di dimenticare per qualche secondo di tutti i pensieri che mi avevano attanagliato la testa nelle ultime giornate.
"Perché non me l'hai detto prima?" mi chiese, ma non con il tono accusatorio che mi sarei aspettata.
Era tranquillo, più di quanto avrei immaginato, e fu a quel punto che mi resi conto che avesse compreso il mio stato d'animo, perché lui mi conosceva, sapeva di me più di quanto non lo facesse chiunque altro, e non me ne faceva una colpa, non lo aveva mai fatto.
"Lo sai, Filippo." sospirai, staccandomi da lui per poterlo guardare dritto in faccia, per capire cosa gli passasse per la testa, per cogliere le sue emozioni.
Lo vidi sospirare e poi avvicinarsi di nuovo, portando le mani sulle mie spalle e iniziando ad accarezzarmele, facendo su e giù lungo le braccia, per calmarmi.
Per la prima volta era lui quello tranquillo tra noi due, era lui quello razionale, e io avevo veramente tanto bisogno che lo fosse, per entrambi, perché quella situazione era così particolare per me da non potercela fare da sola.
"Facciamo un passo alla volta, insieme." mi rassicurò, prendendomi il volto tra le mani, e in quegli istanti mi sentii la persona più fortunata al mondo, e tra le sue braccia, con i suoi occhi puntati nei miei, con le sue mani calde sulle mie guance, mi sembrava di poter affrontare tutto con estrema facilità. Filippo era la medicina al casino che avevo dentro, lo sarebbe sempre stato.
"Voglio fare il test. Ho bisogno di sapere." gli dissi con decisione, vedendolo annuire.
Probabilmente Filippo stava fremendo dentro di sé in quel momento, il suo cuore batteva ad un ritmo insolito e l'agitazione lo stava divorando, ma il fatto che fosse lì per me e che stesse cercando di apparire rilassato per tranquillizzarmi mi faceva sentire grata di avere al mio fianco una persona del genere, che mi conoscesse così bene da non farmi pesare una virgola di tutta quella situazione, che sapevo mi sarebbe rimasta accanto nonostante tutto, che mi amava incondizionatamente e mi rispettava senza se e senza ma.
"Ne hai già acquistato uno, vero?" mi chiese retoricamente, con un sorrisetto sghembo che lasciava intendere che conoscesse già la risposta a quella domanda.
Per un attimo pensai che fossi stata tanto maldestra da lasciare la borsa che lo custodiva in bella vista da qualche parte in giro per il nostro appartamento e che lui lo avesse visto, ma poi mi resi conto che se effettivamente fosse stato così me lo avrebbe fatto presente e che semplicemente se ne era reso conto perché conosceva le mie manie e da una persona come me era più che plausibile aspettarselo.
"Sono così prevedibile?" gli chiesi, scoppiando a ridere, allentando quella tensione che mi stava mangiando viva, corrodendo ogni fibra del mio corpo.
"Ti conosco. Sei una maniaca del controllo." mi prese in giro, passandomi un dito sulla punta del naso, facendomi sorridere ma poi tornare seria un attimo dopo.
Tutta quella situazione aveva mandato a puttane ogni minima forma di controllo avessi nella mia testa. Mi aveva fatto perdere le redini di ciò che facevo, delle mie giornate, della mia quotidianità.
Quella presunta gravidanza era arrivata come un fulmine a ciel sereno nella mia vita e aveva reso incerto tutto quel che mi circondava, il mio futuro, le mie scelte, i miei desideri, le mie paure.
"E ho perso il controllo stavolta." sospirai, poggiando la fronte contro la sua spalla, lasciando che mi accarezzasse i capelli e mi trasmettesse quella sicurezza che mi mancava da troppi giorni.
"Lo ritroveremo, insieme." mi confortò, lasciandomi un bacio sulla fronte che mi fece rabbrividire.
Il fatto che continuasse a ripetermi che avremmo affrontato tutto insieme, che non mi avrebbe lasciata da sola, che sarebbe rimasto accanto a me, mi dava tanta forza e la consapevolezza che non potessi desiderare al mio fianco una persona migliore di Filippo.
"Vado di là a prendere il test e torno." lo avvisai e lo vidi annuire, spostandosi da un lato, lasciandomi libero il passaggio per uscire dal bagno.
Qualche minuto dopo ero di nuovo lì, con quella scatolina bianca tra le mani, dinnanzi a quella porta semiaperta, e mentre mi avvicinavo per spingerla e rientrare in bagno non potei fare a meno di osservare Filippo guardarsi allo specchio, con le braccia poggiate al lavabo, visibilmente teso, e sospirare, più e più volte, torturandosi i capelli, tirandoli all'indietro fino alle punte.
Era agitato e mi faceva sentire in colpa il fatto di non essere in grado di offrirgli il conforto che meritava in quel momento, perché troppo instabile di fronte ad una decisione che mi avrebbe uccisa.
Poggiai la fronte al legno della porta e presi un respiro profondo prima di spingerla ed entrare.
Mi avvicinai al mio fidanzato, avvolgendogli il busto da dietro con le braccia, e poggiai la testa contro la pelle candida della sua schiena.
Portò le mani sulle mie, che erano sul suo addome, e le fece intrecciare, stringendole forte, così tanto da farmi quasi paura. Poi si voltò verso di me, circondò la mia vita con le sue braccia e fece congiungere le nostre fronti, prima di depositare un bacio sul mio naso.
"Sei pronta?" mi domandò con premura, assicurandosi che fare quel test fosse la cosa che effettivamente volevo in quel momento.
Io annuii, convinta, mai come in quel frangente, di voler sapere tutto, di scoprire se fossi incinta, di capire quale decisione avrei voluto prendere per la mia vita.
"Allora io ti aspetto qui fuori." mi avvisò, lasciandomi una carezza su una guancia prima di voltarmi le spalle.
"Filippo." lo richiamai, afferrandogli una mano prima che si allontanasse, e lui si voltò verso di me di nuovo, con un velo di curiosità misto a preoccupazione sul volto.
Mossi un paio di passi verso di lui, mi alzai in punta di piedi e gli baciai le labbra, sentendolo sorridere contro le mie, e mi sentii improvvisamente viva, rigenerata, come se avessi appena trovato tutta la forza e l'energia di cui avevo bisogno per fare quel che stavo per fare.
"Ora puoi uscire." lo avvisai, vedendolo ridere con divertimento, prima che si voltasse di nuovo e uscisse da quella stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Ero di nuovo da sola, in quel bagno, e quella volta avevo davanti a me quel bastoncino elettronico che avrebbe finalmente dato una risposta alle mie domande, o almeno ad una parte di esse.
Tirai fuori il test dalla scatola e presi un respiro profondo, rigirandomelo tra le dita e osservandolo come se fosse la cosa più preziosa che avessi.
Quel test non mi avrebbe solamente detto se ero incinta oppure no, ma avrebbe posto fine ad un turbinio infinito di pensieri che affollavano la mia mente da qualche giorno a quella parte.
Tutto sarebbe potuto cambiare quando sarei uscita da quella stanza. Il mio mondo avrebbe potuto subire un capovolgimento e tutte le mie certezze avrebbero rischiato di perdere la loro validità.
Se quel test fosse stato positivo avrei dovuto prendere una decisione importante che avrebbe gravato non solo sulla mia vita ma anche su quella dell'uomo che amavo. Sapevo quanto lui desiderasse diventare padre e lui sapeva quanto io non avessi mai perseguito con entusiasmo l'idea di diventare madre. In quel momento però ogni mia convinzione sembrava essere caduta di fronte a qualcosa che consideravo più grande di me: non sapevo più cosa volessi realmente dalla mia vita e non riuscivo a capire se l'idea di stringere un bambino, mio figlio, nostro figlio, tra le braccia, mi piacesse oppure no, non sapevo cosa avrei deciso e soprattutto non potevo prevedere cosa avrebbe comportato nella mia relazione con Filippo una scelta piuttosto che un'altra. Avevo paura ma era arrivato il momento di sapere la verità e affrontarla. Dovevo farlo.
Qualche minuto più tardi sistemai il bastoncino a testa in giù su una mensola, impaziente ma terrorizzata di conoscerne l'esito.
Mi guardai allo specchio, osservai la mia figura, respirai a fondo e poi aprii la porta, sobbalzando per lo spavento che provai nel ritrovarmi Filippo davanti, a solo qualche centimetro di distanza, visibilmente nervoso e con un'espressione preoccupata a contornargli il volto.
Lo guardai e, senza dire una parola, sprofondai tra le sue braccia, lasciandomi stringere forte, beandomi di uno di quegli abbracci in grado di sistemarti il cuore.
"Potresti sederti un attimo?" mi chiese, indicandomi il nostro letto al centro della stanza, e io lo guardai incuriosita, non capendo il senso di quella richiesta.
Filippo mi supplicò con lo sguardo e allora feci come mi aveva chiesto, sistemandomi ai piedi del letto e vedendolo piegarsi sulla ginocchia, calandosi alla mia altezza.
"Prima, lì dentro, mi hai colto alla sprovvista. Io non me lo aspettavo e non ho detto nulla che potesse rendere questa situazione un po' più leggera, per te." mi spiegò, mortificato, e io scossi il capo, contrariata dalle sue parole, perché non poteva nemmeno immaginare quanto, con poche e semplici frasi e le sue carezze, fosse riuscito a tranquillizzarmi da un'ansia atroce che mi stringeva lo stomaco da giorni.
Gli accarezzai il volto per rassicurarlo e lui portò una mano sulla mia, stringendola appena, senza perdere mai il contatto con i miei occhi.
Lo vidi prendere un gran respiro e gli sorrisi, cercando di infondergli la forza di cui aveva bisogno per parlare, nonostante l'ansia mi stesse logorando.
"Bea, io voglio un figlio. Ho sempre desiderato diventare padre e tu lo sai bene." esordì, causandomi una sensazione di vuoto allo stomaco nel sentirgli pronunciare determinate parole, nonostante ne fossi già consapevole, nonostante lo conoscessi meglio di chiunque altro al mondo.
Vedevo la sua voglia di avere un figlio nel modo in cui gli brillavano gli occhi quando si ritrovava a giocare con la mia sorellina o quando qualche bambino gli si avvicinava con un suo disco tra le mani ad un suo instore. Avevo sempre letto in Filippo un grande desiderio di diventare padre e l'idea che forse non sarei stata in grado di permettergli di realizzare questo suo desiderio mi logorava. Sapevo anche, però, che Filippo conoscesse le mie paure e il mio essere stata sempre piuttosto restia all'idea di avere un bambino e lo ringraziavo del fatto di non avermi mai fatto pressioni.
"Io voglio un figlio ma solamente se lo vuoi anche tu." continuò e a quel punto sentii mancarmi la terra sotto i piedi, perché era davvero tutto nelle mie mani, era davvero tutto nelle scelte che avrei preso, in ciò che avrei deciso di fare.
Se fino a qualche giorno prima ero convinta di non voler avere figli, da quando avevo scoperto di avere quel ritardo qualcosa nella mia testa era cambiato, come se avere un bambino fosse scritto nel mio destino, come se dovesse andare in quel modo.
E non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo, cosa la mia testa mi stesse dicendo di fare realmente, cosa desideravo, cosa volevo, se l'idea di un bambino iniziasse effettivamente a piacermi oppure se semplicemente stavo cercando di convincere me stessa che lo volessi nonostante non fosse così.
Ero spaventata, terrorizzata, da tutta quella situazione, che avevo paura potesse inghiottirmi, senza lasciarmi via di fuga. Avevo il terrore di prendere la decisione sbagliata e di non poter più tornare indietro. Avevo paura di ogni cosa e solo a pensarci mi tremavano le gambe.
"Io non posso obbligarti a fare qualcosa che non vuoi. È il tuo corpo, è la tua vita. È una tua scelta, solo tua. Voglio solo che tu sappia che io sono qui e ci sarò in qualunque caso." mi rassicurò e fu inevitabile che alcune lacrime mi scivolassero lungo le guance, perché mi sentivo estremamente in difetto di fronte alla purezza d'animo del ragazzo che amavo, del mio migliore amico, colui che c'era sempre stato e che mai mi avrebbe lasciata da sola.
Mi sentivo la persona più fortunata sulla faccia della Terra perché, nonostante gli anni passassero, continuavo ad essere estremamente incasinata e lui era sempre stato l'unico in grado di mettere ordine nel casino della mia vita e di portarmi sulla strada giusta.
"Io non lo so cosa voglio, Filippo. Sono così confusa che mi scoppia la testa." mi lamentai, dando finalmente libero sfogo a quelle lacrime che mi ero tenuta dentro per dieci interminabili giorni, che non avevano fatto altro che causarmi un senso di pesantezza alla bocca dello stomaco, come se un macigno mi stesse schiacciando in pieno petto, impedendomi di respirare.
Qualche secondo dopo mi ritrovai stretta tra le sue braccia, a piangere disperatamente contro il suo petto, mentre lui mi manteneva ferma per farmi calmare.
Era una cosa seria, forse la più importante che ci fosse successa in tutti gli anni in cui eravamo stati insieme, e pensare di star rovinando tutto con i miei dubbi, con le mie insicurezze, con le mie paranoie, mi faceva sentire in colpa, ma allo stesso tempo volevo credere che provare quelle sensazioni in un momento del genere fosse lecito, perché ero umana e ne avevo passate fin troppe nella mia vita.
Volevo cercare di godermi le mie giornate avendo tutto ciò che desideravo e che mi rendesse davvero felice e stavo cercando di capire se un figlio rientrasse tra quelle cose oppure no.
"Lo so. Ti conosco, lo so, Bea. Non tenerti tutto dentro. Affronteremo tutto questo insieme e ti aiuterò a capire quello che vuoi. Io sono al tuo fianco, non me ne vado." cercò di confortarmi, accarezzandomi velocemente la schiena per permettere al mio pianto di calmarsi.
A poco a poco recuperai un ritmo respiratorio abbastanza regolare e poggiai la mia fronte contro il mento di Filippo, che vi lasciò un bacio leggero che mi provocò miliardi di brividi lungo tutto il corpo.
"Se quel test dovesse essere positivo, se decidessi di avere questo bambino, ti prego, fallo per te stessa. Non pensare a me, non farlo per me. Non prendere, per causa mia, una decisione che non ti rende felice." mi supplicò e quelle parole mi spiazzarono completamente, dandomi tutta la sicurezza di cui avevo bisogno ma allo stesso facendomi venire voglia di scoppiare a piangere di nuovo.
Filippo voleva davvero che prendessi la decisione più giusta per me. Filippo voleva davvero che io pensassi ai miei desideri, a ciò che mi sentivo di fare, a ciò che avrei voluto per la mia vita. Lui voleva che scegliessi di avere quel bambino per me stessa, perché avrebbe reso me felice, e non per lui, perché non avrebbe mai accettato di vedermi infelice nel condurre una vita che non avrei voluto ma che avevo scelto solo per rendere lui felice.
"Io ti amo e quello che desidero di più al mondo è trascorrere tutta la mia vita al tuo fianco. Un figlio è qualcosa di più e, se dovesse nascere dal nostro amore, voglio che lo faccia perché lo desideriamo entrambi allo stesso modo." continuò, dandomi il colpo di grazia, quello definitivo, con quelle parole che riuscirono a spezzare il mio cuore in due parti distinte.
Qualche secondo più tardi mi ritrovai di nuovo tra le sue braccia, incapace di dire o fare qualcosa, consapevole che quella situazione fosse difficile ma che lui ci sarebbe stato per me, che avrei potuto contare su di lui, che sarebbe rimasto al mio fianco.
E forse avevo già una risposta sul da farsi, forse volevo così tanto quel bambino da averne paura, forse stavo solo nascondendo a me stessa le mie vere intenzione perché troppo spaventata dall'eventualità di essere travolta da qualcosa di più grande di me.
Forse ero solo terrorizzata dal fatto che per tutta la mia vita avessi creduto che non avrei mai avuto un figlio e mi ero appigliata a quella convinzione con tutta me stessa, così forte che nel momento in cui mi ero ritrovata di fronte all'eventualità di essere incinta, avevo avuto paura di star assumendo la consapevolezza di volere qualcosa di diverso da ciò che avevo sempre pensato di volere.
Era tutto un enorme forse e lo avrei capito solamente con il tempo, riflettendoci bene.
"Andiamo a controllare il risultato del test?" mi intimò, stringendomi una mano per infondermi tutta la forza e il coraggio di cui avevo bisogno in quel momento, e io annuii, alzandomi in piedi e seguendolo, mantenendo la mia mano stretta nella sua.
Afferrai il bastoncino dalla mensola sulla quale lo avevo poggiato e, sempre tenendolo rivolto verso il basso, mi avvicinai a Filippo, guardandolo.
"Potresti girarlo tu? Io non credo di farcela." sussurrai, ridacchiando appena, cercando di tranquillizzarmi da quella sensazione di ansia che mi stava assalendo, impedendomi di respirare come avrei voluto.
Filippo prese le mie mani tra le sue e lasciò un bacio sui dorsi, prima di afferrare il test.
Le sue mani tremavano e la cosa mi faceva abbastanza sorridere perché lo avevo visto così nel pallone in veramente pochissime occasioni. I suoi occhi verdi brillavano, erano quasi commossi da tutta quella situazione, e credevo di non aver visto mai qualcosa di più bello.
"Vado?" mi chiese conferma.
Io lo guardai, lui guardò me. Poi mi alzai in punta di piedi e gli lasciai un bacio a fior di labbra.
"Vai." sussurrai, a pochi centimetri dal suo viso, e poggiai la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi.
Passarono alcuni secondi in cui i nostri respiri riempivano il silenzio assordante di quella stanza. Poi quel silenzio venne spezzato dalla sua voce. Due parole e il mio cuore prese a battere vorticosamente.
"Due linee." gli sentii dire, in un sussurro strozzato, quasi commosso, e in un istante tutta la mia vita mi passò davanti agli occhi, ogni cosa fatta fino a quel momento, in quel bagno, in quella mattinata di settembre.
Due linee stavano a significare solamente una cosa, quella che più mi spaventava ma che più mi aspettavo, quella che avrebbe scombussolato totalmente la mia vita da quel momento in avanti.
Era arrivato il momento delle decisioni importanti.
Abbassai lo sguardo, aprii gli occhi e osservai il bastoncino tra le mani tremanti del ragazzo che amavo. Lo guardai, portando le mie mani su quelle di Filippo per tenergliele ferme, e poi alzai lo sguardo verso di lui, immergendo i miei occhi nei suoi.
"Sono incinta." affermai e solo pronunciandole ad alta voce quelle parole mi sembrava che acquistassero un senso, come se fino a quel momento fossero state solo qualcosa di vano, di irrealizzabile, qualcosa a cui non riuscivo a credere.
"Sono incinta, Filippo." ripetei ancora e, più lo ripetevo, più diventava qualcosa di tangibile, di reale, di spaventoso.
E mi faceva paura, mi faceva paura da morire, perché non riuscivo a spiegarmi il motivo della strana felicità che stavo provando in quel momento, che fino a qualche mese prima ero convinta non avrei mai sentito in una situazione del genere. E non riuscivo a capire perché, vedendo qualche lacrima scendere lungo le guance di Filippo, anche i miei occhi avessero ricominciato a diluviare di nuovo, come se piangere fosse tutto ciò che riuscisse a farmi sentire meglio in quel momento.
Filippo mi abbracciò, stringendomi forte, e io mi beai del calore delle sue braccia attorno al suo corpo, mentre nel mio cuore maturavo una decisione importante, della quale non ero ancora completamente sicura ma che si era fatta spazio dentro di me dal momento in cui avevo visto quella doppia linea su quel bastoncino elettronico.
Stavo prendendo, dentro di me, la decisione che mai avrei creduto di prendere nella mia vita, ma volevo esserne totalmente certa.
"Okay, ora basta frignare." mi lamentai, staccandomi di lui, facendolo ridere mentre i suoi occhi erano ancora bagnati dalle lacrime.
Gli accarezzai le guance, asciugandogliele, e lo vidi sorridere, tanto, forte, con entusiasmo, e pensai davvero che fosse la cosa più bella e preziosa che esistesse al mondo.
"Facciamo un patto." gli intimai e lo guardai osservarmi con la fronte corrucciata, in attesa di spiegazioni che non avrei tardato a dargli.
"Godiamoci questa giornata e quando tutto sarà finito parleremo di ogni cosa. Non roviniamo tutto, okay?" gli domandai.
Volevo davvero trascorrere quella giornata nel modo più tranquillo e spensierato possibile, festeggiare insieme ai nostri amici, gioire insieme a loro, ballare come quando eravamo ragazzini, ridere fino a sentire la pancia fare male, piangere per la felicità.
Volevo che quella giornata fosse magnifica e che tutti potessimo ricordarcene per tanti anni. Non volevo rovinare tutto e soprattutto volevo prendermi il tempo necessario per riflettere bene prima di far sapere a Filippo ciò che avevo deciso.
Sapevo cosa fare, lo sapevo bene, ma avevo bisogno di superare la paura di prendere una scelta del genere. Solo a quel punto sarei stata pronta.
"Okay." mi rassicurò, con un sorriso.
Premetti le mie labbra contro le sue, più e più volte, ma lo bloccai quando gli schiocchi dei nostri baci cominciarono a farsi più intensi, staccandomi da lui seppur di malavoglia.
"Dobbiamo sbrigarci, abbiamo un matrimonio che ci aspetta." gli ricordai, prima di superarlo e uscire dal bagno per raccogliere le mie cose e iniziare a prepararmi.
Lo sentii ridere dietro di me, prima di raggiungermi e darmi un leggero schiaffo sul sedere che mi fece sorridere.
Sarebbe stata una giornata che non avremmo dimenticato e forse si sarebbe conclusa nel migliore dei modi.
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Nonostante noi - IRAMA
Fanfiction"Ci siamo guardati, di sfuggita, come fanno due che vorrebbero sapere come sta l'altro ma che hanno troppo orgoglio e perciò stanno zitti. Ci siamo guardati, come fanno due bambini che hanno litigato e aspettano il coraggio per fare pace. Ci siamo g...