Capitolo 75

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Mercoledì, 23 gennaio 2019



[Beatrice]

"Sei sicura che non vuoi che ti aspetti o che venga con te?" mi chiese Filippo, apprensivamente.
Davanti a me c'era quel grande cancello in ferro che io odiavo, sempre di più, ogni qualvolta tornassi in quel posto, illuminato dalla luce del sole di quella giornata serena di fine gennaio.
Era il mio ultimo giorno a Monza: io e Filippo avevamo l'aereo per Seattle nel pomeriggio e quel viaggio avrebbe dato inizio alla mia avventura di quattro mesi negli Stati Uniti. Era il giorno dei saluti alle persone più importanti della mia vita, a quelle che c'erano sempre state e delle quali non potevo fare a meno, quelle indispensabili che mi sarebbero mancate più di chiunque altro.
"Devo farlo da sola, davvero. Ci vediamo dopo." lo rassicurai, lasciandogli un bacio sulla guancia.
Lui mi regalò uno di quei sorrisi sinceri che avrebbero potuto illuminare il mondo intero, un sorriso in grado di scaldarmi il cuore e di eliminare tutta l'ansia che mi attanagliava lo stomaco.
Scesi dalla macchina, voltandomi un'ultima volta verso il mio ragazzo, che aveva ancora lo sguardo puntato su di me, in attesa di un segno che gli facesse capire che andava tutto bene, prima di andare via.
Gli sorrisi leggermente, gli feci segno di andare e lo vidi ingranare la marcia prima di partire. Osservai la sua auto farsi sempre più lontana e, quando non riuscii più a scorgerla all'orizzonte, mi voltai verso quel grande cancello e mi strinsi nel cappotto di lana che indossavo quella mattina per ripararmi dal freddo gelido di Monza.
Guardai la grande insegna, strinsi più forte tra le mie mani quella rosa bianca ancora chiusa e varcai la soglia del cancello. Proseguii spedita: quel luogo mi metteva una malinconia tale da averne quasi paura. A grandi passi, in maniera decisa, riuscii a scorgere da lontano la foto che mostrava il volto sorridente di mio fratello il giorno del suo ventiduesimo compleanno.
Mi avvicinai lentamente e mi abbassai all'altezza della lapide in marmo, senza smettere per un attimo di osservare quella foto.
Quel suo sorriso, così vero, così bello, in grado di metterti allegria anche nel giorno più triste, era una delle cose che preferivo di lui: Mattia era pieno di vita, era solare, era gentile, amorevole, era inconsueto vederlo arrabbiato così tanto da urlare o perdere quello spirito di positività che lo avvolgeva costantemente. Era il sole della mia vita e mi era stato portato via fin troppo presto.
Poggiai la rosa bianca, il suo fiore preferito, accanto al suo nome scritto a caratteri cubitali e accarezzai leggermente la fotografia.
"Ciao Matt." sussurrai, flebilmente, e non credevo che sarei mai riuscita a proferire parole in quel luogo.
Quel cimitero, quella tomba, mi mettevano un senso di angoscia tale da spezzarmi completamente dentro: erano state pochissime le volte in cui avevo veramente trovato il coraggio di metterci piedi e, ogni qualvolta lo avevo fatto, il groppo alla gola che mi si formava appena giungevo lì, dinnanzi a quella fotografia, mi impediva anche solo di aprire la bocca, perché se solo avessi provato a parlare sarei scoppiata in un pianto disperato dal quale sarebbe stato estremamente difficile riprendermi.
L'ultima volta che ero stata lì era il mio compleanno e Filippo si era offerto di accompagnarmi, rendendomi la persona più felice sulla faccia della Terra: in un certo senso lui cercava di essere al mio fianco per tutto il tempo in cui non glielo avevo permesso e non lo avrei mai ringraziato abbastanza per tutto quello che faceva per me.
E anche quel giorno, come al solito, le parole mi erano morte in gola e mi ero limitata a stare lì a fissare quella foto con gli occhi lucidi ma incapaci di cacciare quelle lacrime che mi avrebbe fatto male come un pugnale in pieno petto, con le mani tremanti e Filippo che mi accarezzava la schiena in segno di conforto, consapevole di quanto dentro di me stessi soffrendo nonostante cercassi di non darlo a vedere.
Eppure quel giorno qualcosa era differente: avevo raccolto quella rosa bianca da un cespuglio davanti alla porta di ingresso del nostro condominio e avevo avvisato Filippo di non accompagnarmi a casa dei miei genitori ma di portarmi lì, come se avessi avuto una questione in sospeso, come se ci fosse qualcun altro di estremamente importante, di fondamentale, da salutare.
E in quel momento mi trovavo lì, con le mani tremanti, ad accarezzare e parlare ad una fotografia, come se mio fratello fosse davanti a me.
"Sai, non mi abituerò mai a tutto questo. Non mi abituerò mai alla tua assenza, al fatto che sei l'unica persona con cui vorrei condividere tutte le gioie che sto avendo nella mia vita e che non posso farlo perché non ci sei."
Non sapevo nemmeno io dove stessi trovando tutta quella forza di parlare senza che le parole mi morissero nell'anima: semplicemente avevo fatto tutto in maniera così meccanica, come se fosse scritto nel destino che dovesse andare in quel modo, che tutto ciò che mi tenevo dentro da mesi stava venendo fuori come un fiume in piena.
"A volte ci penso, sai? Penso a come sarebbe potuta andare se quella sera non avessi fatto tardi o se avessi rifiutato di uscire, ma poi mi rendo conto che non possiamo controllare quello che ci accade, che le cose succedono e basta, e allora vorrei dare una ragione a tutto questo ma semplicemente non si può." spiegai, come se lui fosse davvero avanti a me, che un po' me lo immaginavo lì seduto ad ascoltarmi attentamente, come solo lui sapeva fare, quando avevo un problema o mi serviva un consiglio e allora correvo da lui perché sapevo che avrebbe detto la cosa giusta.
"Oggi pomeriggio parto per l'America, Matt. Vado ad incidere il mio secondo disco. Secondo disco, ti rendi conto? Avrei voluto farti ascoltare le mie canzoni, avrei voluto gioire con te di questi traguardi, perché tu ci hai sempre creduto più di me. Avrei voluto vederti in prima fila ad un mio concerto ma alla fine mi basta chiudere gli occhi e immaginarti accanto a me a tenermi la mano. Non è la stessa cosa, non lo sarà mai, ma dovrò farmelo bastare." sussurrai con un filo di voce le ultime frasi.
Tirai su col naso e feci un respiro profondo: volevo cercare di non scoppiare a piangere e finire quel discorso perché, nonostante sapessi di star parlando all'aria, era come se lui fosse davvero lì e quella sensazione mi faceva sentire meglio, mi faceva sentire leggera.
"Quando ho detto a mamma e papà che sarei partita per quattro mesi, ti ho immaginato lì insieme a noi. Ho immaginato la tua reazione, così simile a quella di papà, che non ha detto niente ma mi ha stretta forte in un abbraccio, mentre la mamma piangeva, un po' per l'orgoglio e un po' perché le mancherò tanto e questo me l'ha ripetuto all'infinito."
Non riuscii più a trattenermi: una lacrima mi rigò la guancia ma io le lasciai fare, senza asciugarla, perché non volevo reprimere nessuna delle emozioni che stavo provando in quel momento.
Volevo tornare a sentirmi leggera, libera, dopo un'infinità di tempo in cui mi era sembrato impossibile.
"E ti ho immaginato tenere in braccio la piccola Martina: mamma e papà hanno scelto per lei il nome che tu avresti voluto che dessero a me. Ha i tuoi occhi, identici, di un verde in grado di rubarti il cuore."
Più il mio discorso andava avanti e più continuare a parlare alimentava quelle lacrime che scorrevano a intermittenza sul mio volto.
"Ho combinato tanti di quei casini in questi due anni che, se fossi stato qui, ti saresti incazzato da morire. Ho rischiato di perdere Filippo e non me lo sarei mai perdonato perché è la cosa più bella che potesse succedere nella mia vita e sei stato tu a capire, prima ancora di me, di quanto fossi innamorata di lui. Le cose sembrano andare bene adesso ma i prossimi quattro mesi mi spaventano un casino."
Asciugai alla meglio le mie guance e tornai decisa. Mi sentivo meglio, decisamente meglio, e mi maledissi per non aver affrontato prima una cosa del genere e per essere rimasta sempre lì davanti come una stupida senza trovare il coraggio di dire una parola.
"Mi dispiace di essere qui a parlarti soltanto adesso e sono contenta di esserci riuscita finalmente: oggi ho capito che non importa se non sei qui perché tu continuerai a vivere insieme a me finché il tuo ricordo sarà custodito nel mio cuore."
Mi sollevai in piedi, osservando un'ultima volta quella foto che ormai aveva stampato nella mente.
"Ti voglio bene." sussurrai, lasciando un ultima carezza sulla lapide prima di voltarmi, iniziando a camminare dal lato opposto, allontanandomi sempre di più.
Mi poggiai al tronco di un albero e tirai un respiro profondo: stavo così bene, mi sentivo così libera da quel tormento interiore da sentirmi strana perché non provavo quella sensazione da una vita ormai. Mattia avrebbe continuato sempre a vivere insieme a me, nei momenti della mia giornata, nelle mie canzoni, sul palco accanto me nel bel mezzo di un concerto o semplicemente a letto la sera prima di addormentarmi.
La mia vita sarebbe andata avanti e lui ne avrebbe fatto parte, anche senza esserci fisicamente.
Mi guardai indietro per un'ultima volta prima di iniziare a camminare a passo svelto verso l'uscita di quel luogo che tanto odiavo ma nel quale sarei sempre tornata per sentirmi un po' più vicina alla persona più importante che avessi mai perso nella mia vita.
Avevo detto a Filippo che avrei fatto due passi fino a casa dei miei genitori e che non serviva che venisse a riprendermi, ma il bisogno di sentire la sua voce in quel momento era più forte di qualsiasi altra cosa.
Era davvero l'unica persona che avrebbe potuto calmare il battito instabile del mio cuore, il respiro irregolare e il tremolio delle mani. Mi sarebbe bastato sentire la sua voce e tutto sarebbe tornato ad essere sereno, almeno per un po'.
Proprio mentre stavo per tirare fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, lo sentii vibrare e quando lessi il suo nome, come un gioco del destino, sorrisi involontariamente: mi conosceva così bene che non serviva parlare con lui perché avrebbe capito, sempre e comunque, quello che mi passava per la testa, come comportarsi, come sollevarmi per farmi star meglio, come rassicurarmi. E la cosa che più amavo di lui era il fatto che mi lasciasse i miei spazi, senza essere insistente, ma rimaneva sempre dietro l'angolo perché sapeva che prima o poi sarei corsa da lui che era l'unica persona in grado di farmi star bene davvero.
"Stavo per chiamarti." lo informai diretta e lo sentii sospirare dall'altro capo del telefono, quasi come se avesse tirato un sospiro di sollievo, o forse era solo una mia impressione.
"Stai bene?" mi chiese, premurosamente, e io sorrisi ancora, annuendo animatamente nonostante sapessi che lui non potesse vedermi.
"Dio Filippo, mi conosci così bene." constatai, perché sapevo benissimo il motivo per il quale mi aveva telefonato. Era preoccupato da morire e glielo avevo letto negli occhi nel momento in cui gli avevo chiesto di andar via circa un'ora prima dinnanzi all'ingresso del cimitero. E nonostante non me ne parlasse sapevo quanta paura avesse che lo tagliassi fuori ancora una volta e che non gli permettessi di starmi accanto nei momenti in cui quel dolore tornava a fare capolino nella mia vita, ma non lo avrei più fatto, non avrei più nemmeno provato ad affrontare tutto da sola perché avevo estremamente bisogno di lui.
"Vuoi che venga a prenderti?" mi chiese e io dissentii.
"Fammi compagnia, sto camminando verso casa dei miei e il silenzio che ho nella testa fa troppo rumore." gli confessai.
E gli raccontai tutto durante quel tragitto che mi aveva portato a casa dei miei genitori: gli avevo parlato di come mi ero sentita, del fatto che per la prima volta dopo quasi due anni fossi riuscita a parlare ad alta voce di quello che provavo nei confronti di mio fratello, quasi come se lui fosse lì ad ascoltarmi. Gli avevo parlato di ogni cosa e Filippo era rimasto ad ascoltarmi, intervenendo di tanto in tanto, e poi stando in silenzio quando le parole venivano fuori dalle mie labbra come un fiume in piena. E non lo avrei mai ringraziato abbastanza perché era l'unica persona che riuscisse a farmi parlare in quel modo, di ogni cosa, senza farmi vergognare delle mie fragilità, delle mie paure, del mio dolore, di ciò che mi faceva piangere. Era e sarebbe sempre stato l'unico al mondo.
"Comunque ho parlato con Lori poco fa e ha detto che passa lui a prenderti dai tuoi e ti porta a pranzo. Noi ci vediamo in aeroporto, piccola peste." mi informò e le sue parole furono seguite dallo schiocco di un bacio che mi fece ridere leggermente.
Sapeva quanto fosse importante per me salutare tutte le persone a me più vicine e farlo in un certo modo perché mi sarebbero mancate come l'aria. Lorenzo era uno tra quelli in cima alla mia lista e Filippo lo sapeva benissimo.
"Grazie, davvero." gli dissi sincera, per essersi fatto da parte, permettendo a me a Lorenzo di passare le ultime ore insieme prima della partenza.
"Lo so quanto sia importante per te. Non serve, Beatrice. Ti amo." precisò, quasi come se avesse paura che me dimenticassi, ma ciò che non capiva era che non avrei potuto scordarlo perché il suo amore era la cosa più pura e vera che avessi nella mia vita.
"Ti amo anch'io, da morire." lo rassicurai, prima di chiudere la telefonata e risalire i tre gradini che precedevano la veranda della casa nella quale ero cresciuta.
Pigiai il campanello e dopo qualche secondo mia madre venne ad aprirmi, con la mia sorellina tra le braccia e il cordless incastrato tra capo e collo mentre era nel bel mezzo di una telefonata.
"La tengo io." la rassicurai, togliendole Martina dalle braccia e lasciando che si accoccolasse tra le mie, con gli occhietti semichiusi, segno che stesse per addormentarsi.
Mi incantai a guardarla, imprimendo ogni singolo dettaglio di quel faccino angelico nella mia mente. La cosa che avrei rimpianto di più di quei quattro mesi in America era proprio quella: il non poter vederla crescere, ogni giorno di più.
La sistemai nella sua carrozzina dopo averla vista addormentarsi e le rimboccai le coperte, sorridendole un'ultima volta prima di concentrarmi su mia madre, che aveva terminato la telefonata.
"Ti preparo un caffè, tesoro?" mi chiese e io annuii, sorridendo per quanto fosse apprensiva e le piacesse viziarmi ogni qualvolta tornavo in quella casa.
Io le lasciavo fare perché era estremamente bello ricevere le sue attenzioni, un po' come quando ero più piccola.
"Sono stata da Mattia." le raccontai e la vidi girare la testa di scatto, perché quando sentiva il suo nome qualcosa dentro di lei si bloccava all'improvviso.
Vidi i suoi occhi farsi un po' lucidi e mi avvicinai a lei, stringendola in un caloroso abbraccio.
Sapevo di non poterle parlare di tutto fino in fondo, nei minimi dettagli, perché l'avrei vista crollare e non volevo, ma avevo sentito il bisogno di dirglielo.
"Mi manca tanto, mamma, ma sono felice perché l'ho sentito un po' più vicino." le sussurrai semplicemente, ancora avvolta nel suo abbraccio.
Lei si staccò da me e mi lasciò un bacio sulla fronte, sorridendomi, prima di tornare ad occuparsi del caffè.
La osservai per qualche istante e la vidi asciugarsi una lacrima sfuggita al suo controllo ma non glielo feci notare per non peggiorare la situazione.
"È stata una bella festa ieri sera, no?" mi chiese,
cambiando argomento, e io la assecondai.
"Si, Marta ha fatto un ottimo lavoro." elogiai la mia amica, che quando si trattava di organizzazione non era seconda a nessuno.
"E con Filippo come va?" domandò, con quel suo fare un po' curioso che io non avevo ereditato affatto.
Probabilmente ci aveva osservati e aveva capito che ci fosse qualcosa che non andava, ma non me lo avrebbe mai chiesto direttamente. La conoscevo fino troppo bene.
"Abbiamo litigato di brutto stanotte ma alla fine si è risolto tutto. Va tutto bene adesso anche se sarà difficile stare lontani." le spiegai e la vidi annuire, completamente in accordo con me.
"I litigi sono normali, considerando quello che state per vivere, ma alla fine lo supererete. Sono quattro mesi. Io e tuo padre siamo stati lontani per un anno quando lui è partito per la leva obbligatoria eppure guarda com'è finita. E non c'erano nemmeno tutti i mezzi di comunicazione che avete oggi." mi raccontò, porgendomi la tazzina di caffè fumante e il cucchiaino per aggiungere lo zucchero.
"Lui è felice per me, davvero tanto. Forse lo è più di me. Ed è orgoglioso e non fa che ripetermelo." le dissi, mentre la voce di Filippo che mi sussurrava di quanto lo avessi reso fiero di me, in quella vasca da bagno, la notte prima, continuava a rimbombarmi nella testa, facendomi sorridere.
"La distanza peserà ad entrambi ma c'è tanto amore alla base del vostro rapporto ed è quella la cosa importante. Stai tranquilla." mi rassicurò e io annuii, sorridendole, convinta.
Qualche ora in sua compagnia e quella di mio padre, che era rientrato in casa dopo circa una mezz'ora dal mio arrivo, e il suono clacson della macchina di Lorenzo proveniente dall'esterno mi fece scattare.
Avevo cercato di rimandare il più possibile quel momento ma purtroppo era arrivato e dovevo affrontarlo.
"Lori è qui fuori che mi aspetta, devo andare." li informai, nonostante lo avessero già capito.
Gli occhi mi si fecero un po' lucidi nel vedere inumidirsi quelli di mia madre. Mio padre invece se ne stava lì impassibile a guardarmi, con un mezzo sorriso sul volto, incapace di dire o fare qualcosa per paura di crollare.
"Dai mamma, non farmi piangere." mi lamentai, facendola ridere leggermente.
La strinsi in un abbraccio, forte, affondando tra le sue braccia come facevo quando ero piccola: lei era la mia roccia, colei che mi aveva insegnato ad essere coraggiosa, e mi sarebbe mancata come l'aria.
"Mi mancherai tanto ma quattro mesi passano in fretta." la rassicurai e lasciai che mi depositasse un bacio sulla guancia che mi fece rabbrividire per qualche secondo.
Alzai il volto e, quando incontrai gli occhi di mio padre, ci muovemmo in contemporanea l'uno verso l'altra. Mi lasciai avvolgere dalle sue grandi braccia e affondai la testa nell'incavo del suo collo.
Non servivano parole tra di noi perché quell'abbraccio urlava tutte le cose che non riuscivamo a dirci per via dei nostri caratteri così spaventosamente simili.
"Sono orgoglioso di te." semplicemente mi sussurrò e io impressi quelle parole nella mia testa e nel mio cuore, perché lei avrei portate con me per tutto il tempo e avrei permesso loro di darmi la forza di andare avanti, da sola in un altro Paese per quattro mesi.
"Vi voglio bene, davvero, e mi mancherete da morire." dissi loro per un ultima volta, abbracciandoli entrambi, insieme, immaginando che Mattia fosse lì e ci stesse guardando, con il sorriso sulle labbra e gli occhi lucidi.
Mi allontanai da loro e mi avvicinai alla porta di casa, abbassando la maniglia con le mani che mi tremavano. Mi voltai un ultima volta, dedicai loro un sorriso e poi abbandonai quella casa, chiudendomi la porta alle spalle senza guardarmi indietro. Scesi velocemente i tre scalini della veranda e raggiunsi Lorenzo, che mi aspettava in auto dall'altro lato della strada.
Salii in macchina e poggiai la testa allo schienale, tirando un respiro profondo.
"Ciao." semplicemente sussurrai a Lorenzo, il quale mi guardava in maniera perplessa.
Chiusi gli occhi ed inspirai a fondo, cercando di calmare quel senso di vuoto che provavo da quando avevo chiuso la porta di casa.
"Bea, stai bene?" mi scosse Lorenzo ed io annuii, tenendo sempre gli occhi chiusi.
"Dammi solo un minuto." gli chiesi e lui mi strinse il ginocchio in segno di conforto.
Rimanemmo così, in silenzio, per alcuni minuti, prima che lo tranquillizzassi e gli dicessi di partire.
Guardai la casa dei miei genitori allontanarsi dal finestrino, fino a quando non scomparve completamente dalla mia visuale: a quel punto riportai lo sguardo sulla strada avanti a me e rivolsi tutta la mia attenzione al mio amico che mi stava portando a pranzo in un posto misterioso.
"Ti senti meglio?" si premurò e io sorrisi, annuendo.
"È che ho avuto una brutta sensazione, quando mi sono chiusa quella porta alle spalle, come un deja vu." gli spiegai e lo vidi annuire, segno che avesse perfettamente capito dove volessi andare a parare.
Lasciare lì i miei genitori, chiudere quella porta dietro di me e andare via da quella casa mi aveva fatto ritornare alla mente quella mattina di maggio in cui avevo deciso di abbandonare tutto e partire e avevo riprovato quella sensazione di angoscia mista a dolore.
"Filippo mi ha detto che mi porti a pranzo." cambiai argomento, sperando che intavolare un nuovo discorso mi avrebbe fatta distrarre dai miei pensieri.
"Filippo dovrebbe imparare a chiudere la bocca." insultò il suo migliore amico, facendomi scoppiare in una risata che ben presto contagiò anche lui.
"Di parole ne ha dette anche abbastanza la scorsa notte, no?" continuò, quando ormai le risate era state smorzate.
Sorrisi ripensando alla notte appena trascorsa e a quello a cui il forte litigio tra me e Filippo aveva portato: avevo trascorso una delle serate più folli e meravigliose da quando stavamo insieme e tutto sembrava essere perfetto, tra parole non dette, i baci e i nostri corpi nudi che non ne volevano sapere di smetterla di cercarsi, sfiorarsi, amarsi.
"Te l'ha raccontato?" gli chiesi conferma, nonostante sapessi che effettivamente lo avesse fatto.
Era una vita che conoscevo Filippo e Lorenzo e da che avessi memoria nessuno dei due aveva mai tenuto nascosto qualcosa all'altro.
Lori annuì semplicemente, continuando a guardare la strada, accendendo la freccia per svoltare a destra.
"Confrontarmi con te mi ha fatto aprire gli occhi e alla fine sono riuscita a farlo parlare ed è stata la cosa migliore che potessi fare. Le cose che mi ha detto non sono state bellissime e mi hanno fatto anche un po' male ma era importante per me sapere come si sentisse perché possiamo affrontarlo insieme." gli spiegai.
"Se non ci fossi io..." scherzò, pavoneggiandosi, guadagnandosi una leggera spintarella da parte mia che lo fece ridere sotto i baffi.
Osservai la strada che stava percorrendo e quando lo vidi svoltare a sinistra finalmente capii dove fossimo diretti. Lorenzo sembrò capirlo subito.
"Mi sembrava doveroso portarti qui." mi spiegò, mentre si aggirava nel parcheggio di quel pub alla ricerca di un posto libero in cui lasciare l'auto.
Mi guardai intorno e i ricordi del pomeriggio in cui ero tornata a Monza per la prima volta da sola, senza Filippo, si fecero spazio nella mia mente. Lorenzo mi aveva portata lì a bere una birra, dopo essersi accorto dell'ansia che mi stava divorando a causa di mia madre e del fatto che avesse detto di dovermi parlare di una cosa importante. Di lì a poco avrei letto il piccolo messaggio da parte di mio fratello e la canzone che aveva scritto per me, nell'appartamento di Filippo che poi era diventato casa mia.
"Grazie." semplicemente gli sussurrai, prima di aprire la portiera e seguirlo all'interno del locale.
Un quarto d'ora dopo avevamo davanti a noi i nostri panini e una birra a testa e mi sembrava di essere ritornata una diciottenne.
"Chi se lo sarebbe immaginato la sera che mi hai detto dello stage che saremmo arrivati a questo punto." rifletté, mentre beveva un sorso dal suo bicchiere.
Addentai una patatina e lo guardai, sorridendo leggermente.
Se non ci fosse stato lui probabilmente a quel punto nemmeno ci sarei arrivata.
"Se non ci fossi stato tu, adesso non starei per partire." affermai convinta e lo vidi scuotere la testa, divertito.
"Davvero Lori, quella sera ti ho detto che probabilmente sarebbe stato meglio non raccontarti nulla ma ora sono più che convinta che sia stata la cosa migliore che potessi fare." gli spiegai, mentre lo vedevo addentare l'ultimo morso del suo panino.
Ancora ricordavo l'espressione sul suo volto quando gli avevo detto dell'opportunità che la casa discografica mi aveva offerto e ancor più ricordavo la sua faccia nel momento in cui gli avevo confermato, come aveva pensato, che a Filippo non avessi detto nulla. E probabilmente se non fosse stato per lui non avrei mai trovato il coraggio di parlare.
"A volte penso che questi quattro mesi saranno come l'anno scorso e che sarà difficile andare avanti senza di voi." mi lamentai e lo vidi scuotere il capo.
"Bea, devi toglierti dalla testa questa idea. E poi ci sentiremo tante di quelle volte al giorno che sarà come essere insieme." mi tranquillizzò.
Avevo una paura atroce che la mancanza delle persone a cui volevo bene mi travolgesse e che non mi facesse vivere come avrei dovuto quei quattro mesi statunitensi.
"Ti ricordi quando eravamo piccoli e siamo andati in colonia per la prima volta?" mi chiese.
Sorrisi leggermente nel ricordare quei momenti.
"E io piangevo attaccata alla gamba di mia madre perché non sarei voluta partire." scoppiai a ridere, trascinando con me anche lui.
Avevo capito dove volesse andare a parare, lo avevo capito fin troppo bene. Lorenzo sapeva sempre utilizzare le parole giuste con me.
"Ecco, ti ricordi come è andata a finire?" mi chiese.
"È finita che mi sono divertita tantissimo ed è stata una delle esperienze più belle della mia vita." sussurrai, sorridendo.
"Questo viaggio in America sarà un po' come andare in colonia. Avrai paura all'inizio ma poi ti renderai conto che sarà stata una delle opportunità migliori della tua vita. E quando tornerai saremo tutti qui ad aspettarti, esattamente come allora, e avrai così tanto da raccontare che ce ne sarà da parlare per giorni." mi rassicurò.
Gli strinsi una mano e lo ringraziai con lo sguardo, per riuscire ad essere così straordinario e per avere sempre le cose giuste da dirmi per farmi stare bene.
"Per tutta la vita ho invidiato la forza travolgente che ti caratterizzava. È la cosa più bella di te e sono sicuro che riuscirai ad essere forte anche questa volta. Ne hai passate tante e questa è davvero l'occasione per dimostrare a tutti quanto tu sia straordinaria." mi sussurrò e i miei occhi si inumidirono leggermente.
Non mi aspettavo quelle parole e soprattutto non me le aspettavo da Lorenzo: tra di noi non aveva mai funzionato in quel modo, avevamo sempre parlato con gli sguardi e sentirgli dire quelle cose mi aveva straziato il cuore.
"Dovremmo andare via di qui prima che io inizi a piangere e la gente mi prenda per pazza." gli consigliai e lui annuì, ridendo leggermente.
Nonostante le mie proteste, Lorenzo insisté per pagare il conto e io decisi di aspettarlo fuori dal locale, approfittandone per fumare una sigaretta.
"Me ne offri una?" mi chiese, uscendo dal pub e poggiandosi al cofano della sua macchina, accanto a me.
Gli allungai il pacchetto e l'accendino e lo osservai in silenzio accendersi una sigaretta e poi restituirmi il tutto.
"Quello che hai detto lì dentro, grazie Lori, davvero. Mi sento fortunata ad averti nella mia vita." gli confidai.
Lui mi guardò per qualche secondo prima di attirarmi a sé, abbracciandomi e facendo aderire la mia testa al suo petto.
"Non siamo mai stati due che parlano tanto ma ogni tanto certe cose vanno dette. Sei come una sorella per me e ti voglio un bene dell'anima. Volevo che lo sapessi." mi sussurrò, con la voce che un po' iniziava a tremare.
Alzai gli occhi verso di lui e notai i suoi leggermente lucidi. E non avevo mai visto Lorenzo piangere, nonostante ci conoscessimo da una vita intera. Non mi era mai capitato ed era così simile a Filippo da quel punto di vista che quasi mi faceva paura.
"Lorenzo Galli, hai gli occhi lucidi?" lo presi in giro, ridendo appena, senza staccarmi da lui.
"Ti conviene abbracciarmi, piccoletta, se non vuoi vedermi piangere." mi intimò e io non ci pensai due volte a farlo, affondando la testa nell'incavo del suo collo, mentre la mia sigaretta volava a terra, consumata solo a metà.
"Ti voglio bene anch'io e mi mancherai un casino."
Mi lasciò un bacio tra i capelli e tornò a stringermi, così stretta che quasi mi facevano male le ossa, ma il cuore no, quello stava benissimo.
Il viaggio in macchina verso l'aeroporto fu accompagnato dalle canzoni di Filippo che risuonavano nell'abitacolo della macchina del mio amico e dal nostro silenzio, che sapeva di tanta serenità.
Entrammo in aeroporto circa mezz'ora prima dell'apertura dei gate, raggiungemmo Filippo che era appena arrivato e quando la voce elettronica annunciò la partenza del nostro volo scattammo tutti e tre in piedi come molle.
Ci guardammo, come immobilizzati, senza sapere cosa fare mentre gli occhi si facevano più lucidi.
Quel momento era veramente arrivato: stavo per salire su un aereo che mi avrebbe portata via dalla mia città, dai miei affetti, dalla mia vita, per quattro mesi, ed ero tanto elettrizzata quanto spaventata.
Lorenzo e Filippo si guardarono, intensamente, e poi si strinsero in un abbraccio fortissimo sotto i miei occhi, così bello che per me fu inevitabile scattare una fotografia da portare sempre con me.
Si sussurrarono qualcosa di indefinito che io non riuscii a capire, che avrebbero potuto comprendere solo loro, perché il loro rapporto era così: non servivano tante parole perché sarebbero riusciti a capirsi lo stesso.
"Ci vediamo lunedì." fu Filippo a parlare, prima di allontanarsi da lui.
Mi disse che mi avrebbe aspettato ai tornelli e lasciò me e Lori da soli, per l'ultima volta.
"Ricordati quello che ci siamo detti." mi sussurrò, stringendomi in un abbraccio più forte di tutti gli altri.
Afferrò il mio volto tra le mani per potermi guardare bene negli occhi, i quali si riempirono di lacrime.
"Mi mancherai da morire." mi lamentai, mentre alcune lacrime scivolavano lungo le mie guance.
Lorenzo le asciugò prontamente e mi lasciò un bacio sulla fronte che mi fece sentire protetta per davvero.
"Non piangere, sei forte. Ci vediamo presto, okay?" mi rassicurò, cercando di far apparire meno lungo il tempo che avremmo trascorso lontani l'uno dall'altra.
"Tienilo d'occhio, ti prego. So quanto starà male, lo conosco." allusi a Filippo e lo vidi annuire, come se avesse capito all'istante a cosa mi stessi riferendo.
"A Filippo ci penso io. Tu abbi cura di te e non dare di matto quando andrà via." si premurò e io glielo promisi, stringendolo in un abbraccio per un'ultima volta.
"Va' adesso." mi incitò e io mi asciugai qualche lacrime di troppo scappata al mio controllo, gli lasciai un bacio sulla guancia e gli voltai le spalle, allontanandomi da lui per un tempo troppo lungo da potermi essere indifferente.
Lorenzo era come un fratello acquisito, il migliore amico che potessi desiderare e mi mancava l'aria al pensiero di non poterlo vedere per così tanto tempo ma contemporaneamente sapevo quanto fosse orgoglioso della scelta che avevo fatto e ciò mi faceva sorridere. Quando sarei tornata lo avrei trovato lì, ad aspettarmi a braccia aperte, e non avrei potuto chiedere di meglio.






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