Capitolo Quattordici

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  • Dedicata a Giusy Di Maio
                                    

Capitolo Quattordici

Il viaggio in macchina è silenzioso e io continuo a torturarmi le mani mentre Louis fissa attentamente la strada davanti a sé senza proferire parola.

Lo conosco e, quando è così, è perché c'è qualcosa che lo turba.

Ma sinceramente in questo momento non so quanto mi potrebbe aiutare ascoltare i problemi di altre persone...

Se vuole dirmi cos'ha io lo ascolterò volentieri, ma se non vuole parlare a me va bene.

Nei giorni in cui sono stata in Italia, non è successo niente di che.

Ciò che mi dispiace però è che il mio rapporto con Louis si è affievolito. Io e lui ci vogliamo un sacco di bene, ma sono arrabbiata con lui per non avermi detto una cosa così importante della mia vita. Ancora non mi capacito del fatto che mio padre non sia morto.

Credo che anche lui sia abbastanza arrabbiato con me per non aver mantenuto la mia promessa, ma in quel momento era l'unica cosa che sono riuscita a fare. Il problema è che ora non riesco più a smettere...

Louis non sa che ho ricominciato, crede che dopo l'altro giorno io abbia smesso. Ma quello che io faccio non è una cosa che si fa una volta sola per sfogo, perché poi diventa una dipendenza, una mania, un'ossessione... È una cosa folle.

Quando arriviamo all'aeroporto scendo dalla macchina e mi abbasso la felpa che si è alzata un po' troppo.

Le mie gambe sono decisamente troppo grandi per una ragazza della mia età: quando mi passa una ragazza a fianco si nota a vista d'occhio la differenza tra me e lei.

Innanzitutto lei avrà delle gambe magre e slanciate, io le ho basse e tozze. Lei avrà una pancia piatta, io invece questa cosa molle che va all'infuori. Lei avrà un bel seno che attirerà l'attenzione dei ragazzi, io ho queste due piccole sporgenze.

Non capisco perché qualunque persona che io veda sia meglio di me.

Mi basta guardarmi intorno per vedere quanto io faccia schifo.

Entriamo nell'aeroporto e sento sulla mia pelle il cambiamento di temperatura. Fa più caldo e si respira più a fatica data la troppa gente.

Comincio a guardare tutti, ragazze alte e magre, ragazzi belli e muscolosi, donne perfette e senza rughe, bambini e bambine che ridono spensierati. Sono bellissimi, cosa ci faccio ancora qui? Sto rovinando il mondo. Madre natura, o Dio, o chi cazzo ha creato questo cazzo di mondo, ha il mal di pancia da quando sono nata io. Gli ho rovinato lo stupendo lavoro che ha fatto.

Continuo a guardarmi intorno e mi sembra che tutti mi stiano osservando con sguardo di superiorità. Ho una nausea assurda e la voglia di correre a rifugiarmi da qualche parte con la lametta si fa spazio in me.

Sento gli occhi farsi lucidi, ho una voglia matta di urlare e il respiro è più affannato. Mi fischiano le orecchie e se non esco da qui, mi verrà un attacco di panico.

«Angel? Angel, stai bene?» mi chiede mio fratello ed io scuoto la testa.

«Ho... ho bisogno di aria Louis» gli dico. Non m'importa se siamo in fila da mezz'ora e il prossimo turno è il nostro, ho solo voglia di fuggire.

Prima che possa rispondere, scappo via ed esco da un'uscita d'emergenza.

Prendo grandi respiri e cerco di calmarmi.

Sono in una specie di parcheggio, non c'è nessuno qui e mi sento davvero meglio.

***

Sull'aereo l'aria condizionata è molto forte e sono contenta di aver indossato una felpa così calda. A cosa cazzo serve quest'aria così fredda?

•All Of Me Hates You• H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora