Anno 2017

366 10 0
                                    

Già da Gennaio del 2017  iniziai a stare male: avevo scoperto per sbaglio il mio peso e ne rimasi scioccata: Era troppo alto per me, -nonostante mi fossi alzata - mi sembrava di essere tornata come ero prima: una palla.
Non c'erano scuse, così proprio non andavo. Avevo bisogno di sentire di nuovo la voce dell'anoressia, avevo bisogno di nuovo di lei per sfuggire dal mio dolore, dalla mia insicurezza.. e molto probabilmente scappare anche dalla mia vita.
A quel tempo pensavo che il vero problema fosse il mio fisico, ma in verità era la mia vita che non mi soddisfaceva, la mia tristezza causava l'odio per me stessa. Il vero problema era la mente, non il corpo! Purtroppo non c'era ragione che teneva, non volevo provare a pensare in modo sensato, non ascoltavo più nessuno, ero completamente in balia della malattia ed ero ritornata di nuovo la mia peggiore nemica.
A gennaio cominciai a ridurre il cibo, per poi annullarlo del tutto, anche se questa situazione durò poco, perché  iniziai ad alternane fasi di anoressia e bulimia.
A febbraio mamma decise di ricoverarmi di nuovo alla vecchia struttura di Bologna, ed essendo minorenne non potei fare altro che morire di rabbia dentro e accettare il mio terzo ricovero.
Inizialmente nella struttura tornai di nuovo indietro: mangiavo pochissimo e non riuscivo a fare granchè, ero molto passiva: non volevo partecipare ai gruppi, non parlavo durante i colloqui con gli psicologi, non uscivo mai dalla stanza, non volevo parlare neanche con le altre ragazze ricoverate: ero incatenata nel mio dolore e non c'era verso di sbloccarmi.
Finché dopo un mese cominciai a stufarmi della situazione in cui mi trovavo: non potevo mai uscire fuori, non potevo vedere i miei genitori, non potevo partecipare ad alcune attività, non partecipano alle uscite di gruppo: tutto questo  perché non mangiavo.
Marzo passò lentamente, ma iniziavo a fare dei piccoli progressi: mi stavo adattando al nuovo ambiente, avevo capito le attività, e mi stavo inziando a fidare dei medici. Cominciai ad uscire dal mio guscio protettivo e iniziai a parlare con la mia compagna di stanza - una donna fantastica e piena di energia- che mi convinse piano piano ad aprirmi anche alle altre persone.
La sera, quando ci si riuniva dopo la cena a parlare cominciavo ad essere presente, feci amicizia con anche altre donne e fu bello capire di non essere sola, che quello che avevo passato anche io lo avevano subito anche loro.
Ad Aprile cominciai anche io ad uscire, e riuscii anche a diventare una volontaria in un gattile:
amavo -e amo tutt'ora- gli animali e stare all'aria aperta mi rilassava molto.
Io avevo sempre avuto un legame particolare con la natura, per me era una forza vitale buona.
A Giugno mi ritennero pronta per fare una prova a casa: avevo un evento importante a cui non potevo mancare e ne volli approfittare per fare la prima prova a casa, lontana dai dottori e dalle sicurezze della residenza.
Non ero riuscita a fare -tuttavia- un buon percorso perché sono sempre stata rimasta nella mia "comfort zone" dove non mi sforzavo molto, ma il giusto per andare avanti, e tornare a casa alimentò nuovamente i miei pensieri e i miei disagi, -anche se stetti solo 4 giorni- poichè in quel poco tempo gli artigli della malattia mi avevano di nuovo ripresa, e quando tornai alla residenza la mia situazione peggiorò nuovamente.
Ero tornata stanca e provata, non avevo più le poche forze che avevo costruito nel tempo del ricovero, e cominciai nuovamente a restringere.
Nella struttura questa volta cercarono di tenermi il più possibile, aspettarono più di un mese -ovvero tutto Luglio- prima di riportarmi nuovamente in ospedale.
Ad Agosto le mie condizioni si erano molto aggravate, e non ragionavo quasi più, avevo costanti ipoglicemie e rifiutavo categoricamente lo zucchero che era l'unico rimedio per stare meglio.
Arrivai in ospedale il giorno dopo ferragosto, e durante il ricovero inizialmente non collaborai per nulla, perdendo ulteriormente 1/2kg.
Ormai non c'era molto da fare, anche con sondino e flebo io comunque non miglioravo, e il medico dell'ospedale era sempre più convinto di portarmi in terapia intensiva.
Devo ammettere che all'inizio pensavo stesse quasi "scherzando" ma quando mi accorsi che stavo realmente andando in terapia intensiva -esattamente due giorni prima- decisi di cambiare. E lo feci subito.

Nel mondo delle fragilità Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora