Frank Sinatra, III

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A proposito delle congetture su chi avesse deciso di resuscitare Frank Sinatra, sembrava che dietro ci fosse la "Fabbrica - Macchine in Italia per il Mondo", conosciuta più comunemente come F-MIM. Ce lo aveva detto mamma, pochi giorni dopo. Gliel'aveva detto Vilma, una sua collega, alla quale l'aveva a sua volta detto il cugino, il quale era fidanzato con una ragazza che lavorava proprio nella F-MIM. La prendemmo lungamente in giro per la filiera attraverso cui diceva di aver ottenuto quell'informazione, un telefono senza fili. Eppure sembrava avesse ragione. Dal giorno seguente, infatti, cominciarono a spuntare i primi editoriali in televisione che alludevano a quella fabbrica di automobili. L'amministratore delegato della F-MIM aveva un codazzo fisso di giornalisti che lo aspettavano sotto l'ufficio. Era un personaggio strano, l'a.d.: rotondo, con la faccia paffuta e la barba grigia e incolta, vestiva cardigan colorati e non sapeva mentire. Infatti, quando i giornalisti gli chiedevano se la F-MIM centrasse qualcosa con la comparsa degli ologrammi lui smentiva categoricamente, ma non riusciva a trattenere un sorriso che gli spuntava nell'angolo destro della bocca, uno di quei sorrisi di quelli che non sanno mantenere i segreti. Era un indizio che bastò ad alcuni per formulare un giudizio definitivo: "Sabato 12 ottobre manifestazione contro gli sporchi capitalisti della F-MIM". Era questo il titolo dei manifesti che i ragazzi del centro sociale Punto Fermo avevano attacchinato su tutte le fermate del pullman. I concetti chiave erano i soliti, ripetuti ormai un milione di volte e logori: generazione precaria, nuovi poveri, proletariato, lotta di classe, rivoluzione sociale. A dirmi tutte queste cose era stato Alberto, che era arrivato a leggere fino in fondo al manifesto. Io mi ero annoiato dopo il primo paragrafo. Lui si era anche messo a correggere tutti i refusi nel testo e in calce al manifesto aveva aggiunto voto e commento: "5, sempre la solita solfa, facesse almeno attenzione alla grammatica!". Quel sabato 12 ottobre ci furono scontri violentissimi. Cariche della polizia, fumogeni e lanci di oggetti da parte dei manifestanti trasformarono il centro città in una bolgia per tutta la mattina. Sette ragazzi vennero acchiappati, trascinati dentro le camionette, picchiati ferocemente e risputati fuori dalla centrale due giorni dopo, senza avvocati, telefonate a casa o altro. Quarantotto ore di blackout seguite da fiaccolate d'indignazione, graffiti e reportage shock sui social network. D'altra parte anche i manifestanti si erano portati a casa i loro cimeli: presero a calci un celerino isolatosi dal gruppo e, soprattutto, spaccarono tre Frank Sinatra, simboli dello sporco potere capitalista. Il primo venne centrato in pieno da un sampietrino, il secondo venne fatto fuori da un tubo in acciaio, mentre la terza esecuzione fu a dir poco spettacolare. Sei ragazzi lo caricarono sulle spalle, attraversarono la strada con il portico e, arrivati sul ponte dopo la piazza lo gettarono giù nel fiume ingrossato dalla pioggia, a favore di telecamere. La diretta televisiva su emittenti sia nazionali che locali durò l'intera mattinata e riprese tutto per filo e per segno. L'ultimo eclatante gesto fu un vero e proprio colpo mediatico per i manifestanti del Punto Fermo. Il quotidiano La Busarda titolò "Guerriglia!" in prima pagina, con sotto la foto del lancio del povero Frank nel fiume. All'interno era pieno di editoriali che in realtà erano esercizi di stile moraleggianti che condannavano la violenza. Alberto, che andava quasi tutti i giorni i biblioteca a leggere i quotidiani, quel giorno era tornato a casa con il ritaglio della rubrica fissa di commento agli scontri. Esilarante per la sua comicità involontaria. Tempo dopo gli chiesi se ce l'avesse ancora. Rispose di sì (conservava tutto) e me la lasciò:

SCRIVERE EDITORIALE

Le acque si calmarono presto. Bastò qualche talk show, un'interrogazione parlamentare, qualche altra manifestazione-rigurgito della precedente e si tornò a fare altro. I disordini del 12 ottobre ebbero, comunque il merito di gettare la maschera su chi fosse il regista dell'operazione. E si trattava proprio di F-MIM. La fabbrica, colpita sul vivo dalle tre esecuzioni dei tre Frank Sinatra e soprattutto dall'attenzione mediatica ad esse dedicata, decise di mostrare i muscoli già dal giorno successivo. Un furgoncino con in bella vista il logo e lo slogan dell'azienda si fermò nei tre posti lasciati vuoti dopo la manifestazione e fece scendere tre energumeni che piazzarono tre nuovi schermi olografici 3d, e che a loro volta erano protetti da quattro altri energumeni che li seguivano in auto. Il comune decise di mettere un piantone per ogni ologramma della città, affinché nessuno riprovasse a toccarli, strategia che funzionò con tutti gli schermi tranne uno, quello vicino a casa nostra. Quattro ladri incappucciati legarono e imbavagliarono il piantone, quindi caricarono tutta la strumentazione in un furgoncino e sparirono nella notte. Pensai fosse stato Michele e quando lo vidi glielo chiesi in un'altra di quelle occasioni in cui mi spuntò da dietro e dopo aver fumato molto. Lui mi guardo con la bocca un po' spalancata ed esterrefatta, come se con quell'espressione volesse dirmi "ma davvero pensi che te lo direi?" e virò sull'argomento calcio. Lì dove stavamo noi, nel cerchietto verde, non arrivò nessun energumeno con schermo sostitutivo. Optarono, infatti, per uno striscione appeso ai rami e un piccolo lettore mp3. Passata ancora qualche settimana la novità divenne routine. Una volta ogni ora, dalle 9 alle 19, cantava Frank e dopo di lui suonavano le campane delle chiese. Divenne una scansione del tempo così naturale che nessuno ormai ci faceva più caso fino alla fase 2 del progetto segreto di F-MIM.

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