La Soffitta, III

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Eravamo tagliati fuori. A mio fratello non interessava, ma già lo sapete. A me invece di fare il paria a scuola proprio non andava giù. Centellinai le paghette settimanali fino ad avere i soldi necessari per poter comprare un lettore mp3, che mi feci riempire dal mio compagno di banco. Quando mio padre lo scoprì ci rimase male perché, diceva lui, avevo buttato nel cesso tutti buoni insegnamenti che mi aveva trasmesso sulla musica e sulla vita. "Se penso a tutti sabati mattina portandoti con me a comprare i dischi". In realtà non capiva come mai ieri fossi il suo bambino e oggi un estraneo con un mondo intraducibile in testa. Il senso di quella distanza si condensava nelle conversazioni a cena:

- com'è andata a scuola?

- bene

- cos'hai fatto?

- niente di speciale.

Ogni situazione, per quanto stupida, diventava buona per urlarci addosso: la roba in disordine, gli orari, i voti a scuola. La casa era un campo di battaglia. Al contrario a scuola, da quando avevo fatto quell'investimento, la mia vita era diversa. Ero fuori dalla bolla, stavo crescendo. A nulla valse l'estremo tentativo che fece papà per provare a farmici rientrare: si era procurato una serie di vinili del punk londinese anni Settanta del secolo scorso. Un po' mi piacevano e quando ero solo li ascoltavo, però la soddisfazione di ammetterlo non gliela davo. Era diventata una questione di principio. Mio fratello quando mi vedeva con il lettore mp3 sbuffava e scuoteva la testa. Io alzavo le spalle per fargli capire che doveva farsi gli affari suoi. Con mia mamma era del tutto diverso. Lei era democratica ed equa. Sommergeva tutti e tre di domande, richieste, aneddoti relativi alle sue giornate in ufficio e si arrabbiava perché non comunicavamo e ci toglieva le parole di bocca con la forza. Spesso scriveva e recitava come prima protagonista la sceneggiatura delle nostre cene: "Sai papà che Andrea oggi ha preso 7 e mezzo di matematica?", oppure "Alberto, ho visto quel film che mi consigliavi ieri sera, lo hai visto anche tu Andrea?". Solitamente questo suo spirito di iniziativa dava il là ad epiche litigate perché io e mio fratello non eravamo mai d'accordo su nulla neanche in materia di film, o perché mio padre non era tanto bravo a esternare a parole quanto fosse orgoglioso di noi. Finiva quindi quasi sempre con mia madre che si alzava sconsolata da tavola mentre noi discutevamo ancora, rassegnata a riprovarci il giorno successivo. Fortunatamente non durò molto questo periodo della nostra vita. Io diventai grande veramente e imparai a provocarlo di meno. Mio padre, d'altra parte, imparò a prendere atto del fatto che non fossi più il suo bambino. Fu lui a fare i primi passi verso di me. Per i diciott'anni mi regalò un lettore mp3 più bello di quello che avevo. L'aveva anche già riempito, aiutato da un suo collega, di album soprattutto vecchi. Apprezzai però lo sforzo di metterci anche qualche canzone più recente. Quasi piansi quando lo vidi. Lo conservo ancora, rotto, in camera. Ma il vero momento di svolta del rapporto tra noi, il momento in cui mi accorsi che non eravamo solo accomunati dall'essere due mammiferi di sesso maschile, fu un pomeriggio in cui io avevo il cuore a pezzi per una ragazza a scuola. Non non ne avevo parlato con nessuno, neanche con Alberto. Non riuscivo a parlare, le parole mi pesavano in bocca come macigni. Stavamo per cenare, ma era primavera e c'era ancora tanta luce. Io fumavo in balcone e guardavo giù il cortile interno del palazzo, senza qualcosa sui cui fissare l'attenzione. Non riuscivo a togliermi di dosso il pensiero di lei. Gli occhi si riempivano, ma mi trattenevo. Mio padre si avvicinò a me senza fare rumore. Mi accorsi della sua presenza soltanto quando cominciò a parlare:

- mi ricordo di quella mia compagna di scuola, si chiamava Giulia. Frequentavamo classi diverse, ma prendevamo il pullman insieme, sia per andare che per tornare, e trascorrevamo insieme quasi tutti gli intervalli. Parlavamo di tutto e una volta è persino venuta fin da me per piangere sulla mia spalla. Non mi sono innamorato subito di lei ma quando è successo, cioè quando mi sono reso conto di cosa stessi provando, ho pensato che saremmo potuti essere la coppia perfetta. Mi sbagliavo ovviamente. Presi coraggio e mi dichiarai sul pullman che ci stava riportando a casa. Vederti stare così mi fa ripensare a quel giorno. Anche allora era una bellissima giornata di primavera. Lei non riuscì neanche a rispondere, talmente rimase spiazzata da ciò che le dissi. Io mi sentii morire di vergogna e scesi due fermate prima rispetto alla mia destinazione per evitare l'imbarazzo. Era un venerdì, quindi non ci sentimmo ne vedemmo per due giorni. Nonostante lei non avesse reagito come credevo ero ancora convinto che potessimo stare insieme. Quando ci vedemmo, però, mi disse che mi vedeva come un amico e nient'altro e che sperava che potessimo continuare a mantenere quel nostro bellissimo rapporto. Da lì in poi ho cominciato a soffrire come un cane per amore. Fu una tortura che durò fino alla fine dell'anno scolastico. Però, se ti devo dire come la penso a così tanti anni di distanza, sono convinto che tutto questo dolore mi abbia fatto bene e oggi sono un po' nostalgico di questa storia che mi è capitata...

Mentre parlava non mi guardava quasi mai in faccia. Alzava gli occhi su di me soltanto quando doveva sottolineare una certa parola. Voleva farmelo capire che ci sarebbe stato sempre per ogni mia difficoltà e questo era il mio posto dove potevo trovare riparo quando ne avessi avuto bisogno. Non era intanto il cosa mi disse, ma il come. Quell'espressione dura, che occupava spesso il volto di mio padre durante i nostri litigi, aveva lasciato il posto a un sorriso dolce e lievemente triste. Quello del padre che vorrebbe proteggere il figlio dalla pioggia e dal fango, ma che si rende conto di non poterlo fare. Però ci sarebbe stato sempre, diceva con gli occhi. Io provai a essere laconico, gli dissi "grazie papà", spensi la sigaretta e mi voltai per rientrare in casa. L'attimo in cui ci guardammo, però, fu una scintilla. Conto sulle dita momenti come questi, che spiegano perfettamente il rapporto con mio padre: rari momenti di estrema vicinanza intervallati da lunghi silenzi.

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