Com'era mio padre? Mio padre era una persona semplice: lavoro, casa, famiglia. Si alzava presto la mattina, beveva un caffè, prendeva la macchina, andava in fabbrica, poi tornava. D'inverno usciva e rientrava con il buio, spesso addormentandosi in quel breve spazio tra il ritorno a casa e la cena. Era un uomo metodico e senza troppi fronzoli. La più profonda realizzazione della sua vita eravamo io, mia madre e mio fratello, anche se dovevamo dividere il suo amore con un hobby che coltivava fin da quando era ragazzo: collezionava vinili da 33 e 45 giri in un'epoca in cui, diceva lui, il significato della musica era andato quasi del tutto perduto. L'unico modo per ascoltarla era facendo roteare un disco sotto una testina. Mp3, wav, aac non erano formati audio, ma modi di dire la stessa cosa; ovvero che la musica era stata compressa, ingabbiata in megabyte e resa immateriale. Si trattava, diceva lui, di una delle forme peggiori di decadimento di quell'arte. La fisicità dell'esperienza musicale, quello stare insieme all'artista attraverso un gesto era stata spazzata via da un doppio click e un lettore multimediale. L'integralismo analogico di mio padre aveva però anche un'altra spiegazione, legata ai suoi specifici gusti musicali. Amava la musica del XX secolo, soprattutto quella composta tra gli anni trenta e gli anni settanta, anni in cui il vinile era il formato per eccellenza. Sarebbe quindi stata una mancanza di rispetto nei confronti di quel periodo storico, diceva lui. Sarebbe stato come riprodurre un quadro di Rembrandt con la tavoletta grafica. Il rumore della puntina sul disco, il fruscio del vinile che gira su sé stesso, solo attraverso questi rumori si poteva rivivere l'esperienza d'ascolto che altri avevano vissuto prima di lui. C'era da dire che, considerate queste spiegazioni, l'hobby di mio padre rischiava di sconfinare nel territorio dell'ossessione, ma mia mamma con garbo e con forza lo teneva sulla terra.
E comunque, ripensandoci oggi, la sua passione era una cosa bellissima, che illuminava tutta la casa. Inoltre mi è capitato poche volte di incontrare persone capaci di coltivare passioni piccole e durevoli. Spesso invece ho incontrato grandi sognatori a tempo determinato. Tornando a mio padre, bisogna però dire che il suo integralismo analogico portava con sé tutta una serie di aspetti negativi: il primo era di tipo economico. Erano trascorsi molti anni dall'uscita di quei dischi e molti di questi erano diventati pezzi da museo. Trovarli senza strapagarli era quindi un lavoro lungo e frustrante. Ne sapevamo qualcosa io e mio fratello, perché almeno un sabato al mese ci trascinava con sé al mercato delle pulci sulla Dora. Avevamo entrambi meno di dieci anni. Ci teneva strette le mani e si buttava nella folla di persone che ingrossavano le strade ciottolate del mercato. Sui due lati erano sistemate bancarelle fisse e venditori con solamente una coperta dove esponevano tutta la loro merce. Era un habitat con poche regole non scritte e confusionario. Noi due venivamo strattonati da una parte all'altra da papà, che quando intravedeva uno scatolone di dischi appena usciti da una cantina sgomberata, si fiondava verso la bancarella e noi dietro a rimorchio. Aveva fatto una lista dei pezzi che gli mancavano, su un foglio protocollo piegato quattro volte su sé stesso e che teneva sempre nella tasca del giubbotto. Era metodico. Ogni volta che aggiungeva un disco alla sua collezione prendeva un nuovo foglio protocollo e lo compilava con la lista aggiornata. Quando non trovava niente per mesi e il foglio si sgualciva un po', riscriveva la stessa identica lista su un nuovo pezzo di carta, e lo infilava di nuovo in tasca. Alcune ricerche erano estenuanti, duravano tutte le ore della mattina. Ora che sono passati tanti anni, però, non mi ricordo più la fatica di aver camminato per ore, ma la bellezza di andare a mangiare insieme a lui e mio fratello un pezzo di pizza alla panetteria magrebina che stava alla fine del mercato. Succedeva ogni volta, alla fine delle ricerche, qualsiasi fosse l'esito. Ci comprava piccoli pezzi, ché la mamma a casa stava preparando il pranzo e non dovevamo rovinarci l'appetito. Ce le portava mezze incartate poi si portava l'indice al naso perché quello era un nostro segreto. Altrimenti si sarebbe arrabbiata. Spesso non trovavamo niente, ma quando ci imbattevamo in uno dei vinili mancanti era una vera festa. Tornavamo a casa e facevamo un primo ascolto di prova. Tutti quanti seri e con la ruga della fronte corrucciata per la concentrazione, cercavamo di capire se il disco avesse qualche riga o difetto che facesse saltare la puntina. Se l'ascolto scorreva liscio fino alla fine mio padre esultava gridando "Sì!" e battendo due volte le mani. Se era un lento riportava la puntina all'inizio del vinile, andava a prendere la mamma e se lo ballavano in cucina, rischiando di andare a sbattere contro i mobili perché non era tanto grande. Dopodiché la canzone diventava la colonna sonora della giornata: pranzavamo ascoltandola, con mio padre che ci raccontava tutto quello che sapeva sull'artista e sull'opera. Aspettavamo poi che il pomeriggio si consumasse del tutto, ognuno facendo le proprie cose, ma con sempre lei di sottofondo.
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Fly me to the moon
Science-FictionQuesta storia è ambientata nel futuro, ma parla del passato. Dentro ci sono alcune emozioni (vere, le mie) relative alla malattia di un padre, che non ha poi molte cose in comune con il mio, se non quella di essere morto giovane. Il resto del libro...