Tute blu, V

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Era fatta. Traboccavo di adrenalina, quindi decisi di scendere verso terra attraverso le scale per farmela scivolare sotto i piedi. Ad ogni passo la fatica, l'ansia e la paura si accumulavano sulle gambe. Stavo bene, stavo da dio. Ed ero esausto come alla fine di una giornata intensa. Era però ancora il tardo pomeriggio quando toccai il cemento del marciapiede. Ermanno mi aspettava raggiante. Esattamente come il giorno prima. Probabilmente era rimasto lì ore, diritto, in attesa. Non avevo conosciuto qualcuno capace di affezionarsi così in fretta a un altro individuo. Insistette per fare un aperitivo insieme a me. Per ragioni di comodità, legate al fatto che Ermanno dovesse a un certo punto ripartire verso casa, optammo per il bar della stazione, uno di quei luoghi dove il rumore delle tazzine sul bancone era una sinfonia continua, suonata dal flusso ininterrotto di passeggeri in arrivo e in partenza. Il peggior caffè della città probabilmente. Tuttavia, nonostante a una manciata di metri dalla stazione ci fossero alcuni tra i bar più rinomati della città, la maggior parte dei viaggiatori faceva di quel luogo la sua tappa obbligata. Forse la loro era ansia di perdere il treno oppure un rituale d'arrivo dopo una lunga traversata. Quel bisogno di caffè e nicotina per battezzare un ritorno a casa o l'inizio di una giornata di lavoro da pendolare. Fatto sta che nell'ora in cui io e Ermanno facemmo aperitivo, la barista non ebbe un momento di pausa dai clienti. Eravamo seduti a un tavolino quadrato in un angolo di quel bar a forma di manica. Io tra il vetro del negozio e il legno, lui con la faccia rivolta verso l'esterno. Vino della casa pessimo e una manciata di noccioline. Ermanno era astemio, quindi mezzo bicchiere dopo esserci seduti cominciò un lungo monologo senza una direzione precisa. Io lo ascoltavo e bevevo. Faceva schifo quel vino, ma era anche buonissimo, nettare. Seguivo Ermanno con gli occhi soltanto. Quando rideva ridevo per dargli la sensazione che lo stessi ascoltando, ma non prestavo attenzione alle sue parole. Era bello semplicemente stare lì, con lui, perché eravamo entrambi felici e probabilmente allo stesso modo. Vibravamo delle stesse molecole, in quanto reduci da due giornate folli dalle quali eravamo usciti con un lavoro che aveva l'aria di essere un biglietto vincente alla lotteria. Passò ancora del tempo che non riuscii a quantificare a causa dello stordimento. So solo che la piccola brocca da mezzo litro era vuota, quando alcune parole di Ermanno annullarono quell'ebrezza.

- Sai Andrea. Ti avevo promesso una spiegazione per il mio desiderio di vivere una simile esperienza lavorativa. Ebbene, io, nonostante non versi in condizioni economiche floride, non ritengo di avere bisogno di un impiego per il mio sostentamento. Nella piccola comunità rurale dove abito tutti aiutano i propri compaesani a, come si suol dire, "arrivare a fine mese". E quindi io credo che potrei raggiungere la fine dei miei giorni così, facendo fruttare la piccola striscia di terra che avrò in eredità e con il sostegno degli altri abitanti della comunità. Tuttavia, questo mio vivere è una finzione. Si tratta di una mera sopravvivenza biologica. Io invece desidero da tempo perseguire un'altra vocazione. Ho sempre covato il desiderio di diventare un grande scrittore, di entrare nel novero dei pochi letterati italiani degni di essere insegnati a scuola. Ma questo mio sogno è sempre stato una chimera poiché io non ho mai subito le alacrità della vita. Fino ad oggi sono cresciuto al riparo nel mio idillio e tutti i miei tentativi di scrittura sono risultati barocchi esercizi di stile. Invece Petrarca è scampato alla peste e alla morte della sua amata, generando il più importante canzoniere del Medioevo, Leopardi, pressoché cieco e ingobbito e morto prematuramente, ha lasciato in eredità canti di una bellezza fulgida. E come loro molti altri giganti del nostro canone. Ebbene, lasciando questo mio piccolo villaggio e ottenendo questo duro lavoro sono convinto di avere finalmente a disposizione il materiale necessario per generare un'opera e per misurare finalmente il mio talento su qualcosa di concreto. Lo so che è una sciocchezza, ma...

Mi alzai dalla sedia all'improvviso, interrompendolo di netto. Il tavolino traballò e e con lui la brocca vuota che girò pericolosamente alcune volte su se stessa prima di tornare alla sua posizione originale. Dalla faccia con cui Ermanno mi osservava, dovevo avere l'espressione di chi aveva appena visto un fantasma. Bofonchiai un devo andare e camminai spedito verso l'uscita, poi mi bloccai. Ermanno mi voleva bene e non meritava quell'abbandono. Tornai per un istante da lui e strinsi forte le mie mani sulle sue spalle, fissandolo:

- Ti chiedo scusa, ma ascoltandoti mi sono ricordato perché anche io ho scelto di provarci. E devo tornare a casa per capire se ne è valsa la pena. Puoi scusarmi per questa cosa?

Ci sorridemmo e quello bastò. Mi disse poi di non preoccuparmi per il conto, "ché avrebbe provveduto lui". Chissà se anche mio fratello era riuscito ad ottenere il lavoro.

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