Ermanno era un dottore in lettere, indirizzo classico. Si era laureato con 110, lode, dignità di stampa e menzione, per una tesi sulle fonti della guerra civile di Lucano. Poi aveva vinto una borsa di dottorato, al termine della quale non riuscì più né a proseguire la sua carriera accademica, né trovare un'altra occupazione, anche se sarebbe stato meglio dire che un lavoro non l'aveva neanche cercato da allora. Era stato chirurgico. Non aveva dato gli esami necessari per poter diventare insegnante, non aveva mai preparato un curriculum, se non quello vitae et studiorum, non si era mai iscritto a un'agenzia interinale che, diceva lui, era un ente volto a umiliare gli individui. D'altra parte non aveva necessità di lavorare. Viveva con la madre in un piccolo paese a nord della città, appena sotto le montagne. I due sopravvivevano grazie a una fattorie ereditata da un nonno oppure da un bisnonno. Praticavano per lo più agricoltura e allevamento di sussistenza e con il piccolo avanzo mettevano insieme i soldi necessari per pagare tasse, bollette e qualche sporadico sfizio. La sua motivazione non era quindi economica, o meglio non del tutto. Quando però gli chiedi perché fosse finito in coda proprio lì, quella mattina, svicolò la questione appellandosi a una buona dose di scaramanzia. Mi promise, però, che me lo avrebbe rivelato al termine della soluzione. Temetti che anche lui mi chiedesse qualcosa a proposito ma, dimostrando un'eleganza che mi fece un po' vergognare, fece cadere la conversazione su argomenti più generici e neutri. Erano le tredici e finalmente ci fecero entrare. Io ed Ermanno fummo separati all'ingresso; la mia aula era al quarto piano, mentre la sua si trovava all'ottavo. Aveva ragione lui, il testa era molto semplice. Era composto da due parti. La prima era una prova di comprensione del testo, un articolo di giornale dedicato all'eccessiva attenzione data dai cronisti sportivi italiani al gioco del calcio, a discapito di altri sporti in cui il nostro paese eccelleva. Le domande erano tutte a risposta multipla: "Che cosa intende l'autore con questa espressione?", "Qual è, tra questi termini, il più adeguato a sostituire la parola coprire presente nella riga 7?", "Qual è l'ipotesi generale che emerge dal testo?". La seconda parte della prova era un test della personalità, una batteria di affermazioni che bisognava crocettare in base a quanto si fosse d'accordo. Volevano sapere se talvolta mi sentissi a disagio nel parlare in pubblico, oppure se avessi mai provato una sensazione di rabbia all'interno di un gruppo, oppure se mi capitasse di desiderare di essere il cantante di una band musicale. Avevamo a disposizione un'ora e mezza, ma in poco più di un'ora terminai. Avremmo scoperto all'istante quale sarebbe stato l'esito della nostra prova. Infatti, in ogni corridoio era stato posizionato un correttore automatico dei risultati. Bisognava inserire il proprio numero identificativo sul tastierino e mettere i due fogli sotto una sorta di laser, uno dopo l'altro. A seconda di come fosse andata la prova, sullo schermo sarebbero comparse due tipologie di messaggio: "Congratulazioni, lei ha passato le prove preselettive! La aspettiamo domani in questo stabile alle ore undici per il colloquio con i nostri responsabili del personale. Non dimentichi un documento di identità e il cartellino identificativo" oppure "Siamo spiacenti di comunicarle che non ha passato la prova preselettiva. Ci teniamo a ringraziarla per aver sottoposto la sua candidatura. Cordiali saluti". Quando uscii dalla mia aula c'era già un bel numero di persone in attesa di conoscere il proprio destino. C'era, infatti, una sola macchina per piano, ovvero una ogni centocinquanta candidati. Con l'avvicinarmi alla macchina aumentavano i battiti cardiaci. La statistica metteva ansia. Infatti, il numero di quelli che andavano via sconsolati era di gran lunga maggiore rispetto agli altri. Arrivò il mio turno, con il cuore che ormai tambureggiava. Mi venne in mente lo sguardo deluso di mio padre quando scoprì che avevo abbandonato il vinile per il digitale. Tremavo a tal punto da non riuscire quasi a digitare il mio numero sul tastierino. Cinque, tre, sette, con il respiro affannato. Feci scorrere i due fogli sotto lo scanner e il cursore nello schermo si trasformò in una clessidra che si girava e rigirava. Passarono alcuni secondi lunghissimi. "Congratulazioni, lei ha pass...".
All'uscita dal palazzo vidi Ermanno. Stava in piedi e con lo sguardo puntato all'ingresso da chissà quanto tempo e sembrava stesse aspettando proprio me, perché appena mi vide da lontano la sua posa si scompose. Mi avvicinai e quando gli dissi che avevo passato la prova lui fece un salto, poi si ricompose e mi disse "Felicitazioni". Decisi di accompagnarlo alla stazione, dove avrebbe preso il treno verso casa, sotto le montagne.
- Sai, Ermanno. Non mi capita spesso di conoscere persone nuove. Persone interessanti intendo.
- Sono lieto delle tue parole e, come te, condivido la medesima fatica.
- Ci sono gli amici del quartiere, certo. Quelli però più che averli scelti mi sono capitati, mentre i compagni di scuola sono scomparsi quasi tutti nel giro di qualche mese dopo la maturità.
- Sono completamente d'accordo con le tue parole. Ho provato le tue stesse sensazioni, con in più l'aggravante di vivere in una fattoria e l'onta di essere di essere emarginato e schernito dai miei coetanei per molto tempo. Non è facile essere degli intellettuali in provincia.
- Esatto. Il problema è che nulla di ciò che ci possiamo permettere di fare ci aiuta a conoscere nuove persone al di là delle quattro che già conosciamo. Senza soldi niente discoteca, cinema, stadio.
- Niente musei, cinema, libri. Siano santificate le biblioteche civiche. Hai coscienza del fatto che, per avere la possibilità di leggere qualche cosa di nuovo, sono costretto a prendere il treno e raggiungere la città? Vivere così è una condanna per la nostra gioventù. Tuttavia, se domani andrà come auspico – i suoi occhi scintillarono nel pomeriggio inoltrato. - Anche a te hanno dato appuntamento alle undici? - annuii con la testa – Domani sarà una nuova e molto lunga giornata.
Consumammo il restante pezzo di strada in un silenzio complice. Non era passata neanche una giornata, ma mi sembrava di conoscerlo da molto tempo. Salutandolo, sul binario, gli dissi che avrei voluto presentagli mio fratello.
- Ne sarei onorato. Ti attenderò domani presso il chiosco a venti minuti alle undici per un caffè prima dei colloqui, d'accordo?
- D'accordo.
Le porte si chiusero e il treno ripartì con uno strattone. Accesi una sigaretta sul binario e aspettai che l'ultima carrozza scomparisse dietro la curva. Alzai lo sguardo sotto un cielo perfetto. Felice.
STAI LEGGENDO
Fly me to the moon
Science FictionQuesta storia è ambientata nel futuro, ma parla del passato. Dentro ci sono alcune emozioni (vere, le mie) relative alla malattia di un padre, che non ha poi molte cose in comune con il mio, se non quella di essere morto giovane. Il resto del libro...