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| DISCLAIMER |
Non sono una scrittrice, né pretendo di esserlo, scrivo per pura e genuina passione. Tutto ciò che ho qui riportato è solo frutto della mia immaginazione, quindi si presenteranno anche scene probabilmente surreali.
La storia presenta degli errori, appena finirò  di scriverla ci sarà una totale revisione di ciò.
Vi chiedo quindi di non criticare in maniera aggressiva, grazie e buona lettura.

Atena.

Arrivo di corsa nella via principale di Providence, una strada ricca dei più disparati edifici lavorativi, come quello della Richardson Company.

Da lontano scorgo l'imponente struttura per cui lavorerò da oggi in poi.

Beh, a meno che che il temutissimo ma altrettanto bellissimo capo di questo impero, Jonas Richardson, non decida di licenziarmi ancora prima di avere cominciato.

Il che, da come lo descrivono per il suo fare così rigido e freddo nei confronti di tutto e tutti, è molto probabilmente.

Mi fermo una frazione di secondo, giusto per non morire d'infarto nel bel mezzo di Downtown e nel pieno dei miei anni.
Mi asciugo il sudore creato dalla corsa e dall'umidità afosa di questa mattina infernale.

Noto di essere abbastanza vicina all'edificio.

Dai Atena, l'ultimo sforzo e poi potrai far ritornare il tuo fisico nel suo monotono stato comatoso da "non sport".

Dopo altri cinque minuti di "corsa", si fa per dire, anzi meglio dire: dopo altri cinque minuti di trascinamento del proprio corpo ormai devastato da quella minima attività fisica e da quel caldo soffocante, arrivo davanti all'edificio che ho tanto cercato.

Alzo lo sguardo a bocca aperta, queste strutture sono capolavori di architettura.
Nonostante io abiti a Providence dalla mia nascita, non mi sono mai soffermata con lo sguardo su questi immensi edifici.
Sono quasi tutti moderni, ognuno caratteristico per qualche dettaglio. Alcuni sono rivestiti completamente di marmo, richiamando l'arte classica.
Altri invece sono totalmente composti da vetrate, che al contrario richiamo al moderno.

La struttura che ospita i dipendenti che lavorano per l'impero multinazionale della Richardson Company troneggia nel bel mezzo di Downton.
Le porte automatiche, che sono completamente rivestite in oro, fanno capire l'importanza dell'edificio.

Accedo velocemente il telefono, sono in pieno ritardo, anche se già ne ero consapevole sento l'ansia e l'adrenalina scorrermi nelle vene.

L'ansia è ormai, per me, un sentimento ricorrente, ma l'adrenalina la provo di rado, solo in situazioni importanti come queste.

Clicco sull'icona che permette di accedere alla fotocamera, mi tolgo il basco e mi do una velocissima sistemata ai capelli biondo cenere, completamente disfatti a causa della corsa che sono stata obbligata a fare.

Addio piastra.

Tiro un profondo sospiro, guardo per
l'ennesima volta l'ora e, finalmente, entro.

Vengo immediatamente accolta da una hall completamente rivestita di bianco, ci sono due scrivanie, completamente abbinate con il resto del luogo in cui si trovano, con dietro due segretarie.

Le segreterie sono vestite con il vestiario dell'azienda, si può capire dal logo una J e una R. Il vestiario è dannatamente elegante: tacchi neri, decisamente troppo alti, e un tubino nero che si intona al colore delle scarpe.
I capelli sono avvolto da un elegante chignon.

Mi dovrei vestire anche io così?
In questo modo decisamente assurdo?

Mi dirigo guardinga verso di loro, mettendomi il basco dentro la borsa.

"Salve, sono la nuova segretaria e traduttrice personale del signore Richardson, potreste cortesemente dirmi dove dirigermi?" Chiedo educatamente.

Mi sento squadrata, ed è infatti quello che stanno facendo.

Quella in piedi guarda un'agenda, appoggiata sul bancone.

"Penso si stia sbagliando, da più di un mese non si fanno colloqui in questa compagnia, avrà sbagliato." Mi snobba completamente.

"No, guardi, mi è arrivata la lettera di ammissione proprio pochi giorni fa, è proprio nella lettera hanno spiegato che per questioni urgenti di tempistica di è saltato il colloquio; quindi no, carissima, non ho sbagliato compagnia."

Sai com'è, io di tinte non ne faccio, è quindi non mi bruciano quei pochi neuroni sani che mi sono rimasti.

"No, è vero, Sarah ieri ci aveva comunicato la questione. Erick Verdem si è licenziato di punto in bianco e il capo non poteva rimanere senza traduttore, oggi ha l'incontro con varie aziende straniere." Le comunica la ragazza in piedi.

Sempre la ragazza in piedi guarda un'agenda, appoggiata sul bancone.
"Comunque, tornando a lei.
È in ritardo. Doveva essere qui per le 9:00 e sono le 9:04." Mi comunica guardandomi male, quasi con disgusto.

"C'è stato un problema con i mezzi." Comunico io, cercando di non urlargli contro per la loro totale superficialità negli atteggiamenti.

"Ora, senza farmi perdere altro futile tempo, potreste dirmi il luogo dove devi dirigermi." Continuo scocciata, sia della situazione che del loro fare giudicante.

"Piano 28, scala A." Mi comunica infine.

"Grazie." Rispondo io.

Nonostante il loro comportamento l'educazione cerco sempre di porla al primo posto.

Cerco.

Mi muovo verso l'ascensore, anch'esso rivestito in oro.

Aspetto pochi minuti, dove lo sguardo inesistente e dannatamente fastidioso di quelle segretarie non mi ha lasciato un attimo.

Insomma, dall'amore che dimostravano nei miei confronti posso dire di essermi fatta fatta nuove amiche!
Penso ironicamente.

Iniziamo bene Atena, benissimo direi.

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