| DISCLAIMER |
Non sono una scrittrice, né pretendo di esserlo, scrivo per pura e genuina passione. Tutto ciò che ho qui riportato è solo frutto della mia immaginazione, quindi si presenteranno anche scene probabilmente surreali.
La storia presenta degli errori, appena finirò di scriverla ci sarà una totale revisione di ciò.
Vi chiedo quindi di non criticare in maniera aggressiva, grazie e buona lettura.Avviso: il capitolo non è lunghissimo, ma volevo postare, buona lettura💗
Atena.
Rimango inizialmente interdetta sul da farsi.
Mi guardo intorno come a cercare qualcuno che mi possa dare una via di fuga.
Ma cosa sto dicendo?
Ho un fregno della madonna davanti e cerco una via di fuga?
Perché poi?
Se non lo sai tu, non lo sa nessuno, tesoro.
Sospiro, rendendomi contro di star trattenendo il fiato.
Per forza, guarda chi ti ritrovi davanti.
Sto sparando decisamente delle cazzate.
Concordo con te, per una volta tanto.
Con un gesto nervoso mi sistemo rapidamente i capelli: sono un vero e proprio casino.
Dio, che razza di imbarazzo, prima Jonas e ora pure lui deve vedermi in questo stato pietoso?
Mi avvicino a lui e alla sua meravigliosa macchina nera.
"Oddio non guardare i capelli, ma in generale in mio stato. È dalle nove di questa mattina che sono qui, tutto il giorno la mia scrivania è stata ricolma di fascicoli da sistemare e non ho avuto neppure un minuto per sistemarmi."
"Ma ciao! Sei bella comunque."
Sorrido leggermente imbarazzata, le guance mi stanno andando a fuoco.Ti compirti ancora, davanti ad un complimento, come una ragazzina delle mie, ne sei cosciente?
Ops.
"Non proprio." Dico, sviando poi il discorso,
odio stare al centro dell'attenzione."Comunque, ciao, Che sorpresa!" Gli dico sorridendogli, un po' impacciata ma comunque felice di trovarlo qui.
"Sorpresa?" Mi chiede perplesso lui.
"Eh già, il messaggio l'ho finito di leggere proprio mentre sono uscita da questa porta- faccio un gesto con il capo per indicare l'ingresso degli uffici- e quindi non sapevo assolutamente nulla"
"Scusami tu, non avevo tenuto in conto che stessi lavorando, comunque hai da fare questa sera?" Mi chiede avvicinandosi un po' più del dovuto.
"Mh sì, avrei un appuntamento con la vasca da bagno ma potrei spostarlo dai, che ne dici?"
Ride lievemente abbassando il viso e facendo cadere il ciuffo.
Rialzo il viso, piantando lo sguardo nel mio è con un gesto dannatamente eccitante si sistema i capelli.
"Non so, dimmi tu."
"Okay dai, te lo concedo, in fondo vieni qui solo ogni tanto..."
Sorride di sbieco.
"Onorato."
"Devi proprio sentirti tale, non rinuncio mai ai miei amati bagli bollenti."
Mi sorride per poi cambiare discorso.
"Saliamo in macchina o vogliamo fare due passi?" Mi chiede, notando che sto iniziando a tremare dal freddo. Ho dimenticato sia sciarpa che cappello a casa questa mattina, quindi ciò non aiuta.
"Direi che è meglio se saliamo."
"Immaginavo." Dice, aprendomi la portiera.
Lo ringrazio con un gesto del capo, non fregandomene più di nulla e beandomi dei riscaldamenti accesi a palla all'interno della macchina.
"Freddo eh?" Mi chiede sorridendo.
"Per me sì, tu sarai abituato."
"Non proprio."
Mi volto stranita a guardarlo.
"Perché?" Chiedo curiosa, come sempre non so farmi gli affari miei, ops.
"A San Pietroburgo non sono mai stato in maniera fissa, ero piccolo, mia madre non c'era già più ed ero costretto a seguire mio padre in ogni posto e capirai, di posti ne ho visti, l'azienda era nata da non molto e di lavoro estero da fare ce n'era. Per questo ho passato la maggior parte della mia vita sui jet privati di mio padre. Per la scuola avevo un insegnante privato che mi faceva lezione durante questi viaggi. Non sono mai stato in un luogo per più di una manciata di giorni, anche per questo non ho amici, mio padre ha sempre cercato di farmi fare amicizia con quegli snob dei figli dei suoi clienti, io mi ero affezionato al figlio di una domestica, quando tornavo a casa stavo sempre con lui, ma poi vabbè, storia lunga."
Rimango leggermente interdetta, non mi aspettavo di certo che si aprisse in questo modo.
La cosa che però mi ha più stupito è stata la tristezza prorompente nelle sue parole.
Era talmente pregnante che ha coinvolto pure me, ponendomi in uno stato inquieto.Sospiro e cerco delle parole adatte per commentare tutto ciò che ha detto, non voglio scadere in banalità e so che in situazioni come queste la compassione fa solo spostare il sistema nervoso.
"Non deve essere stato facile, non posso nemmeno immaginare, posso solo provare a capire." Dico titubante, non so proprio come esprimermi a riguardo.
"Già il fatto che tu mi abbia ascoltato e che non mi abbia compatito è molto, grazie, non è da tutti farlo, te lo assicuro."
Mi dice sorridendomi e poggiando una mano sul mio ginocchio.Sorrido al gesto e, spinta da non so neppure io cosa, lo abbraccio, sento che proprio ne ha bisogno e, in fondo, dopo una giornata così stressante e piena di lavoro ne ho bisogno anch'io.
Abbraccio che, stranamente, ricambia subito in una stretta magnetica.
"Un po' scomodo questo abbraccio, non credi?"
Commenta ridendo.Rido lievemente anch'io e slego le mie braccia dal suo corpo monumentale.
"Giusto un po'."
"Recupereremo dai.
Ah ma una cosa, ci siamo poi persi in chiacchiere varie, dove vogliamo andare a cena?""Mhh, non so, cinese?"
"Nah, l'ho mangiato ieri sera, messicano?"
"Mh dai va bene, solo perché sei tu, messicano sia!" Rispondo felice.
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Dal primo istante.
RomanceJonas Richardson, un arrogante e prepotente imprenditore, capo di un'importante multinazionali statunitense è nei guai: contemporaneamente il suo assistente e il suo traduttore lo hanno abbandonato dando le dimissioni, esattamente pochi giorni prima...