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| DISCLAIMER |
Non sono una scrittrice, né pretendo di esserlo, scrivo per pura e genuina passione. Tutto ciò che ho qui riportato è solo frutto della mia immaginazione, quindi si presenteranno anche scene probabilmente surreali.
La storia presenta degli errori, appena finirò di scriverla ci sarà una totale revisione di ciò.
Vi chiedo quindi di non criticare in maniera aggressiva, grazie e buona lettura.

Atena

Vengo affiancata dall'imprenditore russo con la stretta di mano trasmissiva, che mi ha condizionata troppo, Aleksander.

A occhi questo ragazzo è alto un metro e novanta come minimo, ha due spalle larghe, un fisico dannatamente imponente.
Io a confronto sembro una piccola bambina.

"Scusi, devo andare." Dico, cercando di stare al passo di quelle gambe chilometriche del mio capo.
Jonas ha un fisico monumentale, asciutto, e, dalla camicia aderente, si possono notare degli addominali e pettorali tonici.
Anche lui è altissimo, con le spalle larghe e scolpite: dio, sembra veramente un dio greco.

"Non si preoccupi, l'aspetto di sotto, in macchina. Ah, comunque diamoci del tu, mi sento troppo a disagio sennò, in fondo sei più giovane di me e ora siamo fuori dal contesto lavorativo."

"Ah, che bello, è decisamente molto meglio e molto meno informale." Gli dico sorridendo.

"A più tardi." Mi saluta, anche lui sorridendomi, per poi incamminarsi verso le scale.

Hai intenzione veramente di farti 35 piani a piedi? Io, al solo pensiero, ho bisogno di un defibrillatore.

Dopo che scompare dalla mia vista mi affretto a raggiungere il mio capo, cha sta già chiamando l'ascensore.

"Mi aspetti un attimo, cammina troppo veloce e sto per morire." Dico, con tono un po' più alto per farmi sentire.

"Shhh!" Mi zittisce subito con un gesto della mano.

"Qui, solo in questo piano, più di 40 persone sono alle prese con il proprio lavoro in religioso silenzio m, quindi abbassi quel tono di voce e faccia piano con quelle scarpe."

"Mi scusi." Dico, abbassando il capo e arrossendo.

Lo raggiungo dopo che si è fermato a premere il tasto per chiamare l'ascensore. Quando arriva entriamo con lo stesso silenzio che ci ha accompagnato anche prima della riunione e che caratterizza l'intero edificio.

Arriviamo al 33º piano e ci dirigiamo verso l'ultimo ufficio, ovvero quello che sarebbe dovuto spettare a me.

Entriamo e noto che c'è anche il suo amico.

"Marcus, esci."

Ah, ecco come si chiama.

"Ma no, dai!"

"Marcus, ho detto che devi uscire, non farmi ripetere le cose due volte: sai che lo odio; inoltre oggi non è proprio giornata  per fare lo spiritoso." Ribadisce con voce più ferma e gelida.

"Va bene, va bene, ma non ti scaldare." Dice facendo un gesto di resa, per poi uscire in silenzio.

"Bene,  finalmente." Tira un sospiro.

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