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| DISCLAIMER |
Non sono una scrittrice, né pretendo di esserlo, scrivo per pura e genuina passione. Tutto ciò che ho qui riportato è solo frutto della mia immaginazione, quindi si presenteranno anche scene probabilmente surreali.
La storia presenta degli errori, appena finirò di scriverla ci sarà una totale revisione di ciò.
Vi chiedo quindi di non criticare in maniera aggressiva, grazie e buona lettura.

Atena.

Guardo fuori dalla finestra il mio giardino innevato leggermente, questa notte dei candidi fiocchi bianchi lo hanno ricoperto.

Facendo morire tutte le mie povere piantine.

Tranquilla, erano già morte, non sei di certo rinomata per il tuo pollice verde.

Non è vero, erano resistite per bene 4 mesi!

Sì, ma solo grazie a quella santa di tua madre, che, di nascosto, le annaffiava, visto che tu ti ricordavi di farlo solo ogni tre settimane.

Ah sì?

Sì, svelta di turno.

Avvicino la mia tazza, con decorazioni abbastanza infantili ma estremamente dolci, alle labbra decisamente screpolate e a tratti rotte.

Il dolce sapore del the alla pesca mi scalda la gola, irritata dall'aggressivo freddo invernale che quest'anno sembra perseguirmi, non lasciandomi neppure un attimo in completa salute.

Giro l'ennesima pagina di un capitolo di "Norvegian wood" di Murakami, uno dei miei autori preferiti, stranamente non proveniente dalla letteratura italiana.

Completamente persa nel suo modo di scrivere icastico e vertiginoso, a tratti talmente suggestivo da farti entrare completamente nella narrazione.

"A guardarli da vicino gli occhi di Naoko erano cosí profondi e trasparenti da dare i brividi. Non me ne ero mai accorto fino a quel momento, ma d'altra parte non avevo mai avuto l'occasione di fissarli tanto a lungo. Non solo era la prima volta che camminavamo da soli, ma era anche la prima volta che parlavamo per tanto tempo."

Rileggo più volte il grano e subito la mia mente si proietta alla nostra ultima notte a Los Angeles.

Los Angeles, ma non città soltanto contea di Los Angeles, eravamo a Santa Monica.

Era la nostra ultima serata lontano da Providence, dalla realtà che, appena toccato il suolo di Rhode Island, ci avrebbe investiti completamente con la sua durezza, con la sua insensibilità.

Erano le 2:32 AM, come sempre gli orari rimangono stampati nella mia memoria e come mia abitudine avevo controllato l'orario sul telefono.

Eravamo sul famoso Santa Monica Pier, che segna la conclusione della Highway Route 66, uno dei moli più famosi della California.

L'antica giostra dei cavalli Looff Hippodrome, era ancora attiva, nonostante fosse inverno e nonostante non ci fossero molte persone sul molo.

Il pacific park, che si affaccia direttamente sull'oceano, illuminava intorno a sé lo spazio circostanze.

Appoggiata con i gomiti sulla staccionata in legno, con le mani leggermente rosse a causa del freddo pungente, anche se in realtà erano 12º gradi io come sempre ne percepivo -2º.

Come mio solito ero distratta ed estraniata dalla realtà: mi ero persa nell'ammirare il riflesso delle luci, provenienti dal parco divertimenti, sull'acqua.

Le diverse sfumature di queste luci catturavano la mia attenzione in modo particolare, come fa un semplice riflesso catturare così tanti dettagli?

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