Chapter 1.

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La mia vita è sempre stata rose e fiori. Una bella famiglia, tanti amici, un fidanzato e anche bei voti a scuola. Cosa potevo pretendere di più?

Di certo la separazione dei miei genitori e il trasferimento di me e mia madre a Milano non era nei miei programmi. E forse non era nei programmi di nessuno.

Il primo duro colpo per me è stata la separazione con mio fratello Stefano, più piccolo di me di quattro anni. Eravamo sempre stati insieme, non c'eravamo mai separati. È stato a dir poco sconvolgente quando il tribunale l'ha affidato a papà, e io sono andata alla mamma.

Mi manca tanto la mia vecchia vita a Firenze, sono qui da solo un giorno eppure non sopporto più nulla. Una volta al mese mio padre ha il permesso di venire a prendermi e passare una giornata insieme, ma questo non basta.

Mi manca la nostra famiglia, eravamo così uniti. Non abbiamo mai affrontato quest'argomento in casa, i miei preferivano parlare d'altro o sviavano il discorso. L'unica cosa che ci hanno detto è che non si amavano più, e quindi non aveva senso rimanere insieme.

L'unica mia valvola di sfogo è il disegno. Amo disegnare, è sempre stata la mia passione sin da quando ero piccola e negli anni l'ho coltivata. Io non parlo, non mi lamento. La mia bocca è la matita e i disegni sono la mia voce, il mio linguaggio. Disegno tutto quello che mi passa per la testa, da una sciocchezza a un qualcosa che nemmeno so. A Firenze ero solita prendere il mio block notes e la matita, le cuffie professionali collegate al mio iPhone e andare al parco vicino casa a rilassarmi e dare libero sfogo al mio talento. La musica riesce a calmarmi e anche a darmi l'ispirazione, ed è per questo che se non ho le mie grosse cuffie nere e il mio cellulare a portata di mano non faccio nulla.

Ieri quando sono arrivata, invece di posare le valigie e sistemare la mia roba, ho costretto mamma ad aiutarmi nella ricerca di un parco o comunque di un posto tranquillo per fare quello che mi piace, e alla fine l'abbiamo trovato. È abbastanza vicino a casa, e al momento ero proprio lì. "Pronto a correre" di Marco Mengoni mi faceva compagnia, mentre ero quasi distesa su quella scomoda panchina verde da poco verniciata. Avevo le gambe avvacallate l'una sull'altra, e se avessi avuto anche un poggiapiedi sarebbe stato meglio. Stavo disegnando lo stesso parco quando all'improvviso sentii qualcosa sui miei piedi, un dolore atroce e poi un tonfo.

C'era un ragazzo per terra, davanti a me, che evidentemente era inciampato.

《Oh, va tutto okay?》Poggiai tutto sulla panchina e mi apprestai ad aiutarlo. Strinse la mia mano e lo aiutai a rialzarsi. Un bel ragazzo che cade ai miei piedi. Sono simpatica, lo so.

《Si, tranquilla. Ma la prossima volta fa' più attenzione, qualcuno potrebbe farsi molto male.》Rise.

《Già, scusa.》Arrossii e sorrisi lievemente.

《Non preoccuparti. Io sono Alessandro, e tu?》Mostrò un sorriso degno di questo nome.

《Roberta, piacere.》Mi porse la mano e la strinsi.

《Cosa ci fa una ragazza come te a quest'ora di domenica mattina con un bel block notes? Studi?》Rise.

《No, disegno.》Gli confessai.

《Posso sedermi?》Indicò la panchina.

《Certo, non chiederlo.》Sorrisi e ci sedemmo entrambi.

《Cosa disegni?》Mi chiese, cercando di sbirciare i disegni.

《Nulla.》Chiusi il block notes, impedendogli di guardare.

《Be', allora io vado. Buccinasco è piccola, ci rivedremo sicuramente. Ciao Roberta!》Sorrise, si alzò e continuò la sua camminata veloce.

Raccolsi tutte le mie cose, infilando di nuovo le cuffie nelle orecchie, e decisi di tornare a casa perché l'ora di pranzo si avvicinava. Mi ci vollero solo pochi minuti, la distanza tra casa mia e il parco era davvero poca. Meglio così.

《Mamma, sono tornata!》Annunciai chiudendo la porta. Tolsi la sciarpa e attaccai il giubbotto all'appendiabiti. Era domenica 28 novembre e il freddo dominava la città.

《Hey tesoro.》Sorrise, affacciandosi dalla sua stanza.

La casa era molto piccola, giusto lo stretto necessario per due persone. Un bagno in cui riuscivo a malapena a muovermi, due stanze da letto per me e per mia madre e infine una cucina unita al salotto.

《Ah, dimenticavo di dirti.. preparati, che i vicini ci hanno invitato a pranzo!》Urlò, ancora immersa nel mucchio di valigie.

《Uff!》Sbuffai.

Non volevo avere contatti con la gente, e già cominciavamo ad andare a casa dei vicini. Che odio, saranno stati due ottantenni che sentendosi soli ci hanno invitati per fargli compagnia.

《Non preoccuparti, non sono dei vecchi》Urlò poi.

《Yee》Feci finta di esultare, e mi rinchiusi in camera.

Sistemai il blocco e la matita nel cassetto e passai al setaccio delle mie valigie. Dovevo trovare qualcosa da mettere, di certo non potevo presentarmi quasi in tuta. Con molta fatica riuscii a poggiarne una delle tre sul letto e la aprii. Scavai, mettendo in disordine tutti i panni che mia madre aveva piegato con tanta cura, e alla fine riuscii a scegliere. Un jeans blu andava più che bene con il maglione bianco di lana che mi aveva regalato Stefano prima della partenza. Una doccia ci stava a pennello, e quando ebbi finito ebbi la cura di poggiare ogni asciugamano al proprio posto, senza creare altro disordine.

Mi recai in camera con solo una grossa tovaglia bianca a coprire il mio corpo quasi privo di forme, e indossai per primi il reggiseno e gli slip. Passai poi al maglione e al jeans, e infine decisi di indossare le air force bianche. Non amavo truccarmi e infatti usai solo un po' di mascara per allungarmi le ciglia, poi uno spruzzo di Angel ed ero più che pronta.

A differenza di tutte le ragazze della mia età non adoravo particolarmente i vestitini troppo corti, i tacchi vertiginosi e i trucchi eccessivi; mi limitavo allo stretto necessario e, se a volte mi capitava di andare a ballare col mio ex ragazzo, non esageravo. A proposito di lui.. mi manca, e come se mi manca. Ma insieme abbiamo deciso di troncare la nostra relazione, perché non avremmo sopportato tutta questa distanza. Avevo passato interi pomeriggi a disegnare noi due, tutti i nostri momenti, mentre ascoltavo "What makes you beautiful" che mi dedicava sempre lui. La maggior parte glieli avevo donati, il resto erano chiusi nel cassetto assieme agli altri.

《Sei pronta?》Mi chiese.

《Si, andiamo?》Domandai.

《Si.. è vero che sono al piano di sopra, ma dovevamo essere lì per le 13. E sono le 13,15.》Sghignazzò.

《Okay.》Staccai le cuffie e infilai l'iPhone in tasca.

Anche quell'appartamento era odioso. C'erano sei piani e noi eravamo al quarto, per fortuna c'era l'ascensore o non so come avrei fatto. Arrivammo al piano superiore e bussammo ad una porta con su scritto "Casillo-D'Angelo". Quando la porta si aprì, uscì una signora bionda chr avrà avuto circa 46 o 47 anni.

《Buongiorno cara!》Disse guardando mia madre.

Cara? Già si erano conosciute? Probabilmente si, dato che il giorno precedente ero stata tutta la giornata al parco.

《Piacere, io sono Patrizia ma puoi chiamarmi Patty.》Mi porse la mano e gliela strinsi, imbarazzatissima. 《Entrate pure.》Ci fece spazio e fummo dentro.《Oggi non c'è mio marito perché lavora, quindi ci sono solo i miei figli.》Sorrise.

《Figurati, non preoccuparti cara.》Sorrise mamma.

《Ale, Michy, venite qui!》Urlò con una voce che non avrei mai immaginato avesse.

Ma quando i due ragazzi si presentarono, la mia faccia era più sconvolta che altro.

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