La città-fortezza di Biancareggia, com'era risaputo, era stata per secoli la capitale del regno, prima che venisse eretta la magnifica Elea. Della sede del Conte Corfinati, Titus aveva solo vaghi e ormai sfumati ricordi, risalenti al tempo dell'infanzia.
Quando suo padre aveva partecipato al suo ultimo torneo, si era portato il suo ultimogenito con sé. Titus ricordava ancora l'adesso anziano Vesprus Avis nella sua armatura scintillante, ornata con il blasone della propria casata. Un'immagine fugace, ma alla quale l'aspirante cavaliere faceva risalire l'origine del suo sogno.Il titolo di Ser era ancora ben lungi dall'essere ottenuto, ma partecipare a un torneo era già qualcosa: un'occasione per dimostrare la sua abilità come uomo d'arme e ottenere onori. Oltre al non trascurabile fatto che la competizione era una valida candidata per spuntare un'altra impresa dalle dieci.
Ma prima di recarsi presso Biancareggia lo sbandato gruppo decise di far tappa presso il villaggio di Corfini: Orlando e il ciuco avevano bisogno di riposo, inoltre era meglio non sfidare la resistenza del vegliardo alla fatica.
Il villaggio di Corfini si sviluppava tutto attorno a un singolo edificio di pietra, il cui portale era sormontato da un rosone a forma di sole a quattro punte: simbolo del Culto. Le abitazioni erano di legno, ma specie nella zona periferica vi erano anche ricchi campi coltivati di grano, patate e barbabietole. Per qualche strana ragione sembrava non esserci una locanda neanche a pagarla.
«La gente di Corfini considera simili attività come luoghi di peccato e perdizione» spiegò Vanni, di fronte alla confusione di Titus.
L'aspirante cavaliere non poté fare a meno di deprimersi «Ma come? Biancareggia dista ancora un paio d'ore e ormai è quasi buio».
«Oh, non c'è da temere Ser, me ne occupo io» disse Vanni, scandagliando con lo sguardo le innumerevoli fattorie intorno a loro: che avesse già un piano? Titus non ne aveva idea, ma il ragazzino sembrava quanto mai convinto.
Lo vide avvicinarsi ad un uomo di mezz'età, intento a spingere il suo aratro: due folti basettoni delineavano un volto da mastino. Il contadino, dopo aver ascoltato le parole dello scudiero, si volse nella loro direzione.La tavola di Amis e di sua moglie Lana, con il piccolo Timeus, era stata riccamente imbandita: c'era una pentolaccia enorme di purea di patate, verdure passate così tanto nel fuoco da divenire croccanti, e ottimo formaggio duro dall'aroma pungente, tipico del cibo ben stagionato. Lana, la padrona di casa, era una donna dai fianchi larghi, con un viso che l'avanzare dell'età non era riuscito a deturpare, ma anzi ne aveva quasi ammorbidito i tratti un tempo forse più aguzzi.
Il bambino, d'altra parte, era l'immagine sputata della madre, ma i suoi capelli castani e sbarazzini li aveva di sicuro ereditati dal padre.
«Perdonateci, signore» disse Amis, con sguardo cupo «non attendevamo ospiti e non c'era carne nella dispensa. Speriamo che questa cena-».
«È tutto molto buono» disse Titus, con un cenno rassicurante.
«Fonfordo» bofonchiò Vanni, mentre trangugiava il purè con tranci di verdura spezzettati al suo interno.
«E così avete intenzione di partecipare al torneo di Biancareggia, Ser?».
A quell'appellativo Titus scoccò uno sguardo al suo aspirante scudiero, che lo ricambiò con aria colpevole.
«Certo, mia signora, gareggerò in onore del Conte Corfinati e del suo lieto sodalizio con la famiglia dei Cechiri».
Il bambino, che a malapena riusciva a toccare con le mani il piano del tavolo, parve avere un moto di eccitazione.
«Anch'io un giorno sarò un cavaliere!».
«Timeus, Timeus» lo redarguì la donna, con cipiglio severo «ricordi cos'ha detto il sacerdote Marianus sull'ambizione?».
Il pargolo abbassò lo sguardo «Che l'ambizione è un veleno per l'anima, madre».
«Bravo, figlio mio» esclamò il padre passandogli una mano sui capelli.
«Esatto» rispose Lana, per poi schiarire la voce e adattare un tono simile a quello di uno studente che stesse ripetendo le lezioni del suo precettore «l'Unico ha stabilito un posto qui sulla Terra per ciascuno di noi. C'è chi combatte per la sua gloria, c'è chi diffonde la sua parola e c'è chi-?».
«Lavora i campi. Perché nessuno sia mai affamato» borbottò il bambino.
«Bravo Timeus, e voler più di quanto ci sia dato ci rende cattivi, fino alla fine» concluse con più dolcezza la donna, pizzicando la punta del naso del suo figlioletto, il quale subito perse il broncio e scoppi in una risata.
Titus sorrise. Era vero: l'umiltà era una delle lezioni più sacre del Culto e tutti i fedeli erano tenuti a praticarla. Ianus aveva assistito all'intera scenetta con le sopracciglia aggrottate. Che non condividesse quelle massime? Sembrava proprio di no, ma non si diede pena di esplicitare il suo disappunto.
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Le Saghe del Crepuscolo: il Risveglio del Drago
Fantasy#concorsiamo2k19 Nelle terre di Clitalia, dove il Culto del Sol Invictus ha portato grandezza e prosperità alla razza degli uomini, si preparano grandi stravolgimenti. Gli equilibri stabiliti tanto faticosamente in secoli di accordi, guerre e conqui...