CAPITOLO XXXI - L'ULTIMA BATTAGLIA

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La guerra, la stramaledetta guerra s'era portata via ogni cosa: i suoi sogni, la sua innocenza, un amico e un mentore, una complice e un'amante, la speranza

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La guerra, la stramaledetta guerra s'era portata via ogni cosa: i suoi sogni, la sua innocenza, un amico e un mentore, una complice e un'amante, la speranza. Infine, la guerra s'era quasi portata via la sua vita. Nulla rimaneva dell'uomo che Titus era stato, quella volontà che da sempre aveva creduto incrollabile, si era al fine spezzata, lasciandolo vuoto. Ma se quella spada incantata aveva in sé una qualche forma di coscienza, che allora prendesse il simulacro vacante del suo corpo e lo facesse suo. Le dita, strette intorno all'elsa furono questi gli ultimi esiti dei suoi sparuti brandelli di volontà... si ritrovò nero e vuoto come il residuo di un naufragio che galleggiasse in un mare bianco senza orizzonti. Fu la luce a ricolmarlo, fu la luce a confortarlo con il suo tepore, e una voce, arcana come il cielo e le stelle, a ricordargli sii ciò che sei destinato ad essere.
Un soldato?
Un cavaliere?
O forse... un eroe. Sì, un eroe e quella consapevolezza fu il suo scudo quando il fuoco del drago tentò di ghermirlo. Rivolse un ultimo sguardo al corpo martoriato di Vanni. Nell'animo sentì una stretta, a cui seguì la solenne promessa "Ti vendicherò, cavaliere...".

Saettò innanzi, più rapido di quanto fosse mai stato, i Cecrope cercarono di fermarlo, ma lui spiccò un balzo inumano al di là della loro portata. La zampa del drago, così grande e potente, cercò di schiacciarlo, ma egli la respinse con un singolo fendente, disegnando un lungo squarcio sulle sue squame scarlatte. Alcuni dei rettili provarono a sopraffarlo, levando le loro armi, ma Titus se ne disfece con una scrollata, scagliandoli in terra. Loro erano irrilevanti... quando si vuole disperdere un alveare, bisogna puntare all'ape regina. E la loro ape regina si ergeva dinanzi a lui, su un trono di macerie annerite. Titus si diede una spinta in alto, ergendosi su un moncone di torre, faccia a faccia con gli occhi arancioni della bestia.
«Basilisk! È così che ti chiami, vero?».
La pupilla verticale del drago si allargò e dal suo muso allungato fuoriuscì un ringhio sommesso.
«Hai fatto così tanto per abbattere questa città, ma guarda cosa ti sei lasciato dietro... cenere e fumo. È questa, e soltanto questa la tua eredità. La tua gente è stata decimata e tutto per la folle guerra che hai voluto intraprendere ad ogni costo. Tutto, tutto per diventare ciò che sei adesso... un falso drago che non è più capace neanche di volare. Un falso drago, spezzato, che trema terrorizzato dinanzi a un solo uomo».
La coda di Basilisk guizzò, tentando di falciarlo, ma con grazia Titus evitò il colpo, appollaiandosi su una maceria pericolante.
«Non mi inganni, perché io sento la tua paura. Ogni sacrificio che hai fatto fino ad adesso è stato vano: perché l'umanità non cadrà mai. È questo ciò che facciamo meglio... rialzarci anche quando il mondo ci cade addosso. E la nostra fede, il nostro spirito, va ben oltre i templi e le parole dei sacerdoti, la nostra fede è più potente! La nostra fede si erge inesorabile e invincibile, dinanzi a tutti i mostri come te, come voi!».

Il drago ruggì furente, e il suo alito soffiò sul viso di Titus, scompigliandogli i capelli, staccando il mantello dai ganci che lo tenevano ancorato alle sue spalle. Ma nonostante tutto il cavaliere non vacillò, non concesse neanche un singolo passo indietro. Le fauci di Basilisk si protesero spalancate pronte a schiacciarlo, dilaniarlo e masticarlo. Ma la spada colpì, respingendo il muso con uno squarcio lungo le labbra squamate. Balzò sulla spalla del drago, affondò, per poi proiettarsi sulla sua schiena. Si arrampicò nel intrico di scaglie, mentre l'essere si dimenava con la forza della terra quando un terremoto vibra nelle sue viscere. Il cavaliere perse infine la presa e crollò al suolo, ma la sua mano rimase serrata intorno alla spada. La roccia si frantumò come gesso contro la spina dorsale e l'armatura che la rivestiva. Il drago con gli occhi accesi di furia, schiuse la bocca ferita. Ombre rosse fecero capolino fra le sue zanne. Titus tirò un profondo respiro: la spada che brandiva era il potere, la lama era la sua forza, tutto ciò che lo rendeva invincibile: quanti nemici sarebbero crollati sotto il suo filo? Quali imprese avrebbe potuto compiere con l'aiuto di quell'artefatto? Con che gioia e ammirazione le genti di Clitalia avrebbero pronunciato il suo nome? Quella spada voleva dire gloria, voleva dire grandezza, voleva dire la piena realizzazione di ogni ambizione in cui un essere umano potesse sperare. Eppure, ricordò, "l'ambizione è un veleno per l'anima". Forse non era del tutto vero, ma non poteva dire che fosse totalmente falso. Era così sicuro che quel potere alla fine non l'avrebbe consumato? Lasciando nient'altro che un'ombra pallida al posto di sé stesso? Forse Basilisk non aveva avuto pensieri tanto diversi dai suoi nel momento in cui aveva avuto la possibilità di diventare un drago. Ma era qui, era ora che si decideva la differenza fra loro. Sorrise e concentrò il suo sguardo verso il petto della bestia, poi scagliò la spada, mentre il suo corpo provato sino all'estremo crollava con le ginocchia contro la roccia e le macerie.

 Sorrise e concentrò il suo sguardo verso il petto della bestia, poi scagliò la spada, mentre il suo corpo provato sino all'estremo crollava con le ginocchia contro la roccia e le macerie

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Le Saghe del Crepuscolo: il Risveglio del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora