CAPITOLO V - L'ALVEARE

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Percosse il suolo con la punta del bastone, per richiamare l'attenzione generale

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Percosse il suolo con la punta del bastone, per richiamare l'attenzione generale. Intorno a lui i capiclan, ormai nel ruolo di ufficiali, avevano già informato le proprie genti sulla destinazione per le loro prime battaglie. Migliaia di occhi ambrati si posarono su di lui in attesa che parlasse.
Così tanti pensieri ed emozioni diverse. Avrebbe resistito? Oppure Neraserpe aveva ragione e la sua discesa verso la follia sarebbe stata inevitabile? C'era un solo modo per scoprirlo, il tempo delle esitazioni finiva adesso.
«I vostri capi hanno deliberato e gli obbiettivi sono stati assegnati. Scateneremo la nostra furia e il nostro ferro sull'indegna stirpe degli uomini, ma questo non è che il primo passo sul cammino della vendetta. Perché il nostro nobile intento conosca un esito felice è necessario che noi ci si muova come un unico, grande essere» sibilò, tirando un profondo respiro «è tempo di ricreare l'arma più letale della razza Cecrope: l'Alveare!»
Tra le fila dei soldati vi furono mormorii di mesta confusione e paura, curiosità ed eccitata impazienza.
«Molti di voi, probabilmente non sanno di cosa stia parlando, ma presto tutti voi capirete! Aprite le vostre menti e lasciate che l'incanto faccia il suo corso.»
Basilisk chiuse gli occhi, lasciando che il mana s'emanasse dal fondo delle sue carni verso l'esterno, attraverso ogni anfratto delle sue squame. Non era un essere umano, non aveva certo bisogno di ridicoli cerchi o stupidi rituali per utilizzare la magia.

Intorno a lui gli eserciti scomparvero, insieme al tocco dell'aria e al soffice contatto dell'erba. Goccioline di pioggia cominciarono a cadere contro il terreno, a distanza l'una dall'altra, tale che le pozze risultanti non arrivavano neanche a sfiorarsi.
Bracci di mana si allungarono e si strinsero al suo, lasciandosi trascinare in un etereo girotondo di anime. Le pozze d'acqua, come sorprese da un'improvvisa pendenza, scivolarono all'unisono verso di lui. Il liquido gli bagnò entrambi i piedi: quello sano e quello deforme. Risalì ai polpacci, sfiorò l'inguine, accarezzò il ventre, scavalcò il petto sino a penetrare nelle sue narici. Ne fu sommerso e annegato, senza possibilità alcuna di resistervi. I suoi occhi si aprirono per un istante e vide sé stesso: bastone e zampa contorta, al centro dell'accampamento. "Di chi sono questi occhi?"
Li richiuse nuovamente, provò a riaprirli e si rivide da un'angolazione stavolta diversa.

Prima una voce, poi dieci, poi cento, poi mille e infine altre tre si sommarono alla favella del suo pensiero. Un brusio dalle parole indistinguibili e così vasto da minacciare di inghiottirlo. Strinse le nocche sino a quando queste non scricchiolarono; fu a un passo dall'abisso, ma la forza delle sue braccia lo tenne a galla. Come se la sua coscienza si fosse sciolta e diluita, avvertì gambe sane al posto delle sue. Una coda spinata che fendeva l'aria. Braccia più forti e possenti di quanto le sue fossero mai state. Il veleno che col suo retrogusto amaro si rimestava alla saliva.

Quando finalmente si risvegliò egli era tutti, egli era nessuno e quattromila. Emise un lungo sospiro di assestamento.
«Benvenuti nell'Alveare, figli miei.» esclamò, senza che le sue labbra squamose si dischiudessero.
I suoi si guardarono attorno spaesati e spaventati, le loro menti rumoreggiavano di dubbi e domande, ma a Basilisk bastò poco per ridurli entrambi al silenzio.
«Non temete. Ora, tutti noi siamo fratelli. Come vi avevo promesso ci muoveremo all'unisono e io vi condurrò per mano, passo dopo passo, alla vittoria. Alla tanto agognata rinascita del Drago!»
I moti di esaltazione non mancarono e anzi, furono quasi assordanti. Ma nel fondo, come in una bottiglia la feccia, Basilisk avvertiva la paura: forse tutti loro sapevano, o avevano intuito, che ai suoi occhi non poteva essere nascosto più alcun segreto? Forse avevano capito che qualsiasi inganno o trama precedentemente architettata, adesso non avrebbe mai conosciuto il nome di azione. Se non l'avevano compreso, beh, lo avrebbero imparato sulle loro stesse squame.
«Basta indugiare, figli miei, ora andate alla battaglia. Io sarò lì, con tutti quanti voi.»
Come uno sciame le armate si dispersero da Colle Gobbo verso ogni direzione, lasciandolo in breve da solo, insieme con una piccola scorta perché nessuna minaccia esterna potesse arrecargli danno.

Lo Spezzato si ritirò nel padiglione in cima alla collina, e lì seduto spinse la sua mente in quella del giovane Squamardente, affinché potesse vedere attraverso i suoi occhi. Come al solito era in testa ai suoi Cecrope. I suoi passi si muovevano senza rumore nel trambusto della marcia.
«Alla fine ce l'abbiamo fatta, amico mio» gli sentì dire. Basilisk sgranò gli occhi: poteva avvertire la sua presenza anche se non proferiva parola?
«Certo, credo che la cosa funzioni da entrambe le parti.»
Lo Spezzato abbassò lo sguardo «Perdonami, avrei dovuto palesarmi. Non è corretto guardarti dentro senza il tuo permesso».
Ma Squamardente denegò col capo.
«Non devi scusarti, ho fiducia in te e non ho nulla da nascondere.» lo rassicurò, e mentre lo diceva sentiva nel giovane un calore denso come la fiamma viva.
Basilisk sospirò «Ti devo tutto, ragazzo, se non fosse stato per te...»
«Non mi devi nulla, vecchio mio. Stai trasformando in realtà i sogni e le speranze della nostra gente. Il drago risorgerà e ogni sacrificio utile io lo compirò... per te.»

Lasciò che il contatto si sciogliesse, dopo un breve congedo. Lo Spezzato si trovò sul punto di piangere: non avrebbe mai potuto sperare in un soldato migliore di Squamardente, né in un amico altrettanto fedele. Ancor più della sua rivalsa personale, per Basilisk era importante non deludere la fiducia che quel giovane gli aveva dato, con tanta spontaneità.
«Presto ci rivedremo, ragazzo.» il suo sguardo si posò sulla sfera traslucida: il Respiro del Drago «E quando Elea brucerà sarà stato grazie a te.»

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Le Saghe del Crepuscolo: il Risveglio del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora