Capitolo sei.

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«Mi dispiace, Ronnie. Ma perché sei venuta a dirlo a me?» Chiede.

Le sue labbra sono vicine alla mia fronte e sento il suo fiato caldo sulla pelle.

«Non lo so...», mento. Non so più se voglio farglielo sapere. Odiano entrambi sua madre già per conto loro.

«Ah.» Sospira. Annuisce. «Capisco.»

Presa dall'imbarazzo, passo sotto il suo braccio ed esco dalla gabbia in cui mi ha imprigionata.

«Non capisco proprio perché tu sei venuta da me. Insomma, stiamo fingendo e tutto, ma credi che siamo amici?» Ride isterico. «Non pensarci, neanche per un secondo, Veronica. Io e te non siamo amici.»

Non capisco. Un attimo prima è gentile, e il secondo dopo mi dice questo?

Non ho mai pensato che fossimo amici. Ma non mi sento di dirgli della madre. Ha già problemi per conto suo.

Mi mordo il labbro. «Non ho mai pensato questo, Damon. Noi non siamo amici.»

«Allora non venire a confidarti con me, grazie, prego, ciao.» Il suo tono è duro e il suo sguardo sembra gelo.

Stringo le mani in due pugni. «Sei proprio uno stronzo.» Scuoto la testa.

Ma si sapeva già.

«Già. Bella scoperta, Ronnie. Ci vediamo, fidanzatina.» Neanche mi guarda negli occhi.

Ma io vedo i suoi occhi, li guardo con curiosità. Non l'ho mai visto sotto questa luce, così oscura. Ha gli occhi che non esprimono nessuna emozione, come se fossero spenti.

Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell'anima, lui ce l'ha molto buia.

Giro i tacchi e me ne vado, il più veloce possibile.

Un attimo prima mi era sembrato quasi un amico, ma mi sono sbagliata, ovviamente. Damon Cooper ha i suoi momenti "si", in cui può essere gentile con tutti. Ma ha quei momenti "no" la maggior parte del tempo, in cui non rivolgerebbe uno sguardo neanche al fratello.

Torno a casa e trovo mia madre e mio padre insieme in cucina. Mio padre mi rivolge un'occhiataccia.

«Ciao, tesoro, dov'eri?» Chiede mia madre. «Stasera noi andiamo a cena fuori. Tu resterai con Mike», annuncia.

Sospiro. «Ero a camminare», mento, mentre ricambio l'occhiataccia a mio padre.

«Dovresti smetterla di camminare. Sei troppo magra, Veronica», commenta lui.

«Non è vero! È perfetta!» Si affretta a dire mia madre. «Anzi, io alla sua età avevo qualche chiletto in meno.»

Alzo lo sguardo al soffitto. Bianco e freddo, come la mia famiglia.

Mio padre la guarda con disapprovazione. «Dovresti avere una macchina tutta tua, così smetteresti di camminare ovunque. Forse potremmo fartela per il compleanno.»

È questo che cerca di fare? Vuole corrompermi con un'auto?

Non ho ancora deciso se dirlo a mia madre, ma non mi lascerà corrompere ugualmente. Questo non è mio padre, questo è un mostro.

«Ma che stai dicendo, amore? Sei sicuro di voler fare un'auto a tua figlia? Non mi sembra proprio il ca...»

«Si, sono sicuro, Miranda», la interrompe mio padre.

Mia madre lo guarda contrariata, ma tace. Come sempre.

«Non ho bisogno di una macchina», ribatto in fretta. Guardo fisso negli occhi quel mostro che chiamo papà.

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