Punto di vista di Sophie
Ancora scossa da quel che era successo mi diressi verso casa e una volta arrivata mi feci una doccia calda, tentando con l'acqua di lavare via anche quei ricordi.
Alla mente mi continuavano a tornare i suoi occhi scuri, quasi neri.
Che cosa gli era preso? E perché non riuscivo nemmeno a leggergli i pensieri?
Sovrappensiero me ne andai a letto e mi addormentai pesantemente, sognando i suoi occhi.
Il giorno dopo a scuola lui non c'era, e nemmeno quello successivo e le settimane seguenti.
Uno strano sentimento si faceva strada nel mio essere, mi sentivo come addolorata da questa sua assenza, ma cercai di giustificarlo con il fatto che ciò che era successo non era stato correttamente spiegato da parte sua.
23 giorni e di lui nemmeno l'ombra, mentre quel sentimento di vuoto si andava espandendo dentro di me.
Punto di vista di lui.
Non riuscivo a starle lontano, e se le fosse successo qualcosa? E se qualche altro mio simile fosse passato da quel piccolo paesino e avesse sentito il suo profumo così invitante?
Egoista pensai, vuoi vederla solo per tuo diletto.
Tornai indietro correndo, era tre giorni che stavo lontano da lei ed ero desideroso di assicurarmi che stesse bene.
Erano le 9 del mattino, a quest'ora il mercoledì aveva, o meglio, avremmo dovuto avere letteratura: aula 6, secondo piano.
Salii su di un albero e cercai la finestra giusta, una volta individuata la vidi, e se il mio cuore avrebbe potuto ancora battere, sicuramente avrebbe perso qualche colpo.
Se ne stava lì, con un gomito poggiato sul banco e la testa sopra.
Aveva un'aria distratta e stanca, il suo viso era pallido e i suoi occhi spenti. Sembrava guardare ardentemente il posto accanto a sè: il mio posto.
La osservai per tutto il giorno fino a quando arrivò a casa dove non mangiò nulla, semplicemente si diresse in camera e si mise a leggere.
Ogni giorno la sua routine era sempre la stessa: casa-scuola-casa.
Possibile che nessuno si interessasse di lei? Possibile che nessuno capisse la sua fragilità? Il suo bisogno di sicurezze?
Da quando la osservavo aveva sempre questo tic, come di nervosismo per sfogarsi, faceva schioccare le dita e contava con esse qualcosa a me sconosciuto.
Quelle mani erano bellissime e furono proprio quelle ad attirare la mia attenzione quel giorno.
Erano abbandonate lungo il corpo, il maglione che indossava mostrava solo l'estremità delle dita.
Le mani.
Le sue mani sembravano morte, lasciate lì, inermi, come se fossero un oggetto non utilizzato, rotto e da buttare, erano abbandonate, lasciate a morire. Erano bianche neve e l'anello che portava sembrava quasi uscire dal suo dito sottile.
Le sue mani sembravano morte.
Avrei voluto avvicinarmi, stringerle forte e ridar loro la vita, avrei voluto vederle gesticolare mentre lei mi disegnava il suo mondo nell'aria, avrei voluto che mi accarezzassero.
E' tornata a casa prima oggi, ha detto alla professoressa di non star bene, e in effetti è così, ha l'aria distrutta e delle occhiaie cominciano ad essere accennate sotto i suoi occhi.
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Come l'inverno
Vampire"Io sono un vampiro" disse indagando il suo viso per carpirne le reazioni. Lei rise. "Io sono anche peggio" rispose.