꧁𖢻Undicesimo capitolo 𖢻꧂

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Il giorno successivo, a lavoro, ricevetti un enorme mazzo di fiori, con calendule arancioni,  ortensie e amaryllis rossi e tra loro un biglietto

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Il giorno successivo, a lavoro, ricevetti un enorme mazzo di fiori, con calendule arancioni, ortensie e amaryllis rossi e tra loro un biglietto.

Salii al secondo piano, nel ristorante dove i cibi venivano serviti sui corpi degli schiavi; mangiare così era divertente solo le prime volte. Chiesi di cenare dentro piatti veri, ma di lasciare uno schiavo ai miei piedi per giocarci mentre leggevo la lettera.

Accarezzai la schiena nuda del mio slave, assecondando i suoi movimenti felini sotto le mie dita. Il biglietto era di Elia e con quel mazzo di fiori mi invitava a mangiare a casa sua il giorno successivo, sapendo che era il mio giorno libero. Il cuore mi batteva a mille, ero davvero incredibilmente felice.

Poi vidi Pier arrivare in tenuta casual che mi puntava inviperito. Avevo evitato le sue chiamate ieri e questa sera dopo essermi svegliata.

Chiusi il biglietto e incominciai a torturare dolcemente il mio schiavo con noncuranza, tirandogli appena i capelli, toccandogli il culo, stuzzicando quella parte di lui che voleva essere disperatamente toccata, ma senza dargli davvero sollievo. E intanto il mio amico mi fu davanti, con occhi simili a lame.

«Cosa cazzo ti è preso ieri? »

«Nulla» risposi iniziando toccare i testicoli del ragazzo ai miei piedi. Lui gemeva, Pier voleva fucilarmi.

«Mi hai allontanato. Stavamo per fare un sesso fantastico».

«Lo so» fui secca.

Pier mi fu più vicino, aveva appena finito di fumare una sigaretta. «Stai cercando di evitare il sesso con me? » mi domandò prima di farsi più vicino al mio orecchio, più vicino al mio collo. «Stai evitando me per il damerino che ti ha inviato dei fiori? » mi afferrò un seno e me lo strinse piano, purtroppo il modo in cui lui sapeva toccare una donna era difficile da ignorare. «Ricordati che stai rinunciando all'unico uomo che riesce a metterti a novanta e farti gridare».

Scoppiai a ridere e lasciai in pace il cangolino sotto di me. «E io sono l'unica che può fotterti il culo e farti gridare "Ti prego continua,continua" » gli ricordai. «Siamo pari se non mi sbaglio. Ora lasciami mangiare, che devo lavorare».

Lo vidi in silenzio,guardarmi dall'alto del suo metro e ottanta. «Sara spero che questa tua fase ti passi» mi disse prima di andar via e lasciarmi cenare in pace.

Quella sera avrei dovuto testare una nuova schiava, capirne i limiti e così classificarla. Ogni slave infatti aveva una speciale categoria in base a ciò che poteva sopportare. Si andava da un minimo che era il servilismo e la passività durante il coito o i giochi, al massimo che era il dolore e lo schifo. Schifo vero, perché certa gente riusciva ad eccitarsi anche con le cose più disgustose. Come ad esempio il padre di Elia, che amava farsi pisciare addosso e non solo.

Possibile che il mio migliore amico d'infanzia avesse i suoi stessi geni?

Entrai nella stanza e mi trovai Roberta già inginocchiata a terra sul tappeto. Occhi bassi e l'estremità del guinzaglio in bocca. Perfetta come una statua.

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