𝕺𝖕𝖆𝖑 ꧁៙Sedicesimo Capitolo ៙꧂

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Era una splendida giornata di sole di fine ottobre, tiepida abbastanza da essere perfetta

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Era una splendida giornata di sole di fine ottobre, tiepida abbastanza da essere perfetta.
Il ricordo dell'incidente si stava sbiadendo sempre di più, rievocare le poche immagini rimaste mi provocava un senso di vertigine.
Non avevo ancora ripreso a guidare, mettermi dietro al volante era qualcosa che ancora non riuscivo a sopportare. E, ovviamente, Elia non voleva che lo facessi.

«Sto prendendo in considerazione l'idea di tornare a lavorare al Diamond» dissi a bruciapelo
Elia rimase interdetto, mutando velocemente il suo sguardo. La sua gelosia stava pian piano traboccando.
Aveva accettato molte cose di me, come il mio bisogno talvolta di giocare con Nyx, cosa che tra l'altro eccitava molto anche lui.
«Aspetta, non è quello che pensi. Mi limiterò a testare il nuovo personale, assisterlo. Farò solo la menager ».
«Già ho dovuto accettare il tuo lavoro come modella. Sinceramente mi da molto fastidio che tu ti rimetta quegli abiti, ne abbiamo già parlato».
«E se venissi con me? Ti mostrerei cos'è il Diamond davvero».

Eravamo seduti a tavola, il tepore del sole sembrava quasi smorzarsi al gelo che Elia emanava. Lasció la forchetta nel piatto e congiunse le mani al mento.
«Per me sono follie, lasciami perdere su questo. Mi...» ma lo interruppi.
«Vieni e vediamo».
La verità era che Elia pian piano stava esplorando un mondo che era già dentro di lui. Nonostante si autocensurasse amava la trasgressione.

Avevo ricevuto da Siria un messaggio. Quella sera si sarebbero tenuti uno fra gli intrattenimenti migliori del Diamond, dove generalmente si stringevano anche i migliori accordi. Il cibo e il sesso avevano sempre messo chiunque di buon umore.
Si trattava di una serata per Voyeur, dove i master e mistress sfoggiavano il loro talento sugli slave, dinanzi ad una platea di uomini e donne della società mascherati assistevano trepidanti allo spettacolo. Meravigliose donne coperte da striminzite divise da cameriere passavano tra gli spettatori offrendo tartine e champagne.

La stanza aveva varie pareti in vetro a specchio, dove dietro si nascondevano piccole stanze dove era possibile osservare la scena masturbandosi indisturbati, lontano da occhi indiscreti. Ovviamente costava molto di più.
E io avevo preso in affitto una di quelle stanze per ed Elia.

Salire fra i piani alti dell'enorme palazzo del Diamond fu molto imbarazzante per Elia.
Lo osservai contrarre la mascella nervoso, illuminato ad intermittenza dallo scorrere dei piani dell'ascensore panoramico.
Non li prendevo spesso, i dipendenti usavano entrate interne, questi ascensori erano dedicati ai clienti, una sorta di preludio romantico prima del piacere.
Milano, con quel suo duomo bianco e luminoso sullo sfondo, era uno spettacolo.

«Siamo quasi arrivati» gli sussurrai avvicinandomi a lui. La nostra destinazione si trovava al trentacinquesimo piano, quasi sulla cima.
Convincerlo era stata meno dura di quanto avessi immaginato; dalle sue labbra non sentii mai pronunciare un "sì" convinto, ma aveva accettato di seguirmi.
Continuai a ripetergli che nessuno lo avrebbe giudicato, essendo tutti lì per lo stesso motivo.
L'appagamento sessuale non era mai sbagliato, non doveva sentirsi fuori posto; infondo avrebbe dovuto solo guardare con me quasi una scena teatrale.
Gli accarezzai le braccia fino a scendere sulle mani, che lentamente portai ai miei fianchi. La sera che mi avvolgeva il corpo gli avrebbe dato l'illusione di toccarmi e in questo modo sperai di eccitarlo. E funzionò, perché con la stessa lentezza i suoi palmi si stavano trascinando sulla collina del mio fondoschiena e le sue labbra si erano poggiate sulle mie.
«Però se la cosa non mi piacerà andremo via e non ne riparleremo mai più».
Sospirai pesantemente «Va bene».

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