꧁𖢻Ventottesimo capitolo𖢻꧂

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Mi risvegliai sul divano della suite di Anastasia

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Mi risvegliai sul divano della suite di Anastasia. Lei era avvinghiata al mio corpo come una vongola allo scoglio. Ci impiegai un po' per rendermi conto di quanto fosse successo, di cosa avessi concesso a quella pazza.

Mi sfilai da lei delicatamente, dovevo andar via prima che si svegliasse. Nella mia mente mi vorticava inesorabile la domanda "come avevo potuto farlo accadere?", senza ricevere alcuna risposta. Quello che avevo commesso era stato un vero errore, un errore incredibilmente enorme.

Anastasia certamente avrebbe pensato che io provassi dei sentimenti per lei,come era accaduto l'anno scorso. Ma quella volta io non mi ero concessa davvero a lei, non le avevo permesso di manipolare il mio corpo. E invece questa volta l'avevo fatto, le avevo lasciato carta bianca.

Ero una stupida, una pazza almeno quanto lo era lei e la sua ossessione per me.

Mi rivestii in fretta, solo con l'abito; l'intimo neanche lo cercai. Presi la mia borsa e fuggii da quella suite in silenzio senza neanche degnarla di un altro sguardo.

In camera mia guardai l'ora al cellulare, le cinque di mattina. Avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno, ma Nyx mi avrebbe uccisa attraverso il telefono. L'unico era Pier, il solo   BG che forse mi avrebbe capita e consolata.

«Sciagurata!» mi disse invece «Se eri così in astinenza da sesso mi chiamavi e sarei arrivato io. O usavi un cazzo di dildo! Hai idea di cosa hai scatenato? Hai fomentato la sua dannata infatuazione, adesso ti starà attaccata al culo come un'ombra! »

Aveva ragione, aveva davvero ragione. Avevo impiegato tanto tempo per scrollarmela dalle palle e lasciare che tra noi ci fosse solo un rapporto lavorativo. E invece avevo rovinato tutto.

«Dio,Pier! Lo so, non urlarmi contro. Adesso non so come agire». gli confessai.

Continuai ad andare avanti e dietro per la suite a piedi scalzi, in cerca di una qualche ispirazione o di un modo elegante per suicidarmi.

«Fossi in te farei le valigie e tornerei qui a Milano. Fanculo il lavoro».

«Siria mi aspetterebbe al Diamond con un plotone d'esecuzione. Un conto se mi avesse molestato lei. Ma ero consenziente» una triste realtà che non mi consentiva di fare molto.

Salutai Pier e cerai di tornare a letto. Volevo dormire, ma il viso di Elia mi stava torturando, i suoi messaggi che ignoravo mi stavano chiamando. Dovevo contattarlo? Nel silenzio mi mancava terribilmente. Avrei dovuto tenermi impegnata, forse questo era il segreto.

Nel piano bar tirai fuori una bottiglia di alcolico, mi sarei stordita un po' e mi sarei goduta le restanti ore di sonno.

I fotografi ci vennero a pretendere nel primo pomeriggio. Anastasia mi guardava sognante, convinta che il sesso che c'era stato tra noi avesse un significato più profondo del semplice atto carnale. Io cercai di evitare il suo sguardo e mostrarmi fredda e distaccata, ma lei non perdeva occasione per sfiorarmi, per cercare i miei occhi e una qualsiasi forma di dialogo.

Nello studio fotografico fummo messe davanti ad un enorme telo verde, in questo modo lo sfondo sarebbe potuto essere modificato con il computer.

Ci fecero indossare slip e reggiseno di pizzo, dalle forme stravaganti, ma molto belle. Guardandomi mi era davvero venuta voglia di acquistarli.

La prima posa richiedeva me e Anastasia sdraiate su un sofficissimo telo rosso, le altre su scomodi divani imbottiti. Scatto dopo scatto la presenza di Ana stava diventando sempre più invadente e sopportarla sempre più fastidioso.

«Anche tu provi qualcosa per me...» mi sussurrò lasciva, troppo vicina al mio corpo.

«Io non credo. Smettila di immaginare le cose» le dissi. Poi tornammo serie per gli altri scatti. Cambiammo ancora intimo, questa volta indossando dei babydoll incredibilmente sensuali e Anastasia,naturalmente, non riusciva davvero a togliermi gli occhi di dosso.Sembrava quasi aver scelto lei cosa avrei dovuto indossare.

«Ho sentito come hai pronunciato il mio nome quando ero tra le tue gambe.»

Non arrossire fu parecchio difficile, il ricordo di quella sera e di come mi fossi sciolta con lei mi bruciava sottopelle. E il fotografo mi scattò anche una foto in quel momento e la cosa mi fece infuriare.

«Basta» dissi imperativa. «Continuiamo dopo» Presi l'accappatoio e me ne andai in camerino.

«Signorina,ci voglio ancora alcuni scatti» tentarono di fermarmi, ma io li mandai a quel paese.

Siria si sarebbe arrabbiata, ma al diavolo anche lei. La mia sopportazione aveva un limite, e lei lo aveva ampiamente superato.

Nel camerino cercai di riprendermi e scaricare tutta la rabbia.
Solo dopo tornai per finire il set fotografico.

Solo dopo tornai per finire il set fotografico

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