𝕺𝖕𝖆𝖑꧁៙ Secondo capitolo៙꧂

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Avevo deciso di tagliare fuori dalla mia vita Elia

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Avevo deciso di tagliare fuori dalla mia vita Elia. Lo avrei fatto per lui, e per me.
Erano passate settimane da quando mi aveva lasciata; da quando aveva scoperto di amare qualcuno che in realtà non esisteva.
Si era innamorato di me, della Sara che ero stata un tempo. Non della nuova.
E il bondage per me era vita, adrenalina e piacere. Non sarei stata in grado di concepire una vita senza.

Ero nell'ascensore del diamond, pronta per scendere nuovamente nel mio inferno. Riuscivo perfino a sentire la musica e le urla di dolore e piacere di coloro che venivano torturati.
Nella tasca del giubbottino di pelle conservavo la boccettina dove avevo conservato la coca. Ne versai un po' sul dorso della mano, nell'incavo tra pollice e indice, e la tirai su col naso.

Ero carica. Carica e senza dolore.
Com'era bella la vita in quel momento!
L'idea dell'ultimatum che Siria mi aveva dato era ormai un'idea lontana. Non mi importava più il dover subire le sue ire.
Avrei continuato a vivere fino al limite, godendomi la vita per ciò che era: un tempo effimero tra nascita e morte, un agglomerato di dolore che andava sedato.

Quella sera, gli inferi del Diamond offrivano una festa a tema zoologica. C'erano slave vestiti da cani, da gatti, pecore e perfino da bovini.
Era tremendamente eccitante vederli provocarsi tra loro come animali in calore, bestie vogliose ma sottomesse ai loro padroni.

Avevo deciso di non lavorare più solo ad ore, destreggiandomi fra clienti diversi con bisogni diversi.
Adesso, almeno una volta a settimana, facevo ciò che volevo su corpi disposti a sopportare qualsiasi cosa.
Ed ero io a scegliere con quale cliente giocare.

Quella sera mi eccitavano le forme bovine, le docili mucche da monta che abbondavano in quell'inferno.
E Pier era con me, come sempre complice delle mie idee.
«Hai proprio ragione. Quella donna è assolutamente eccitante».
Il mio migliore amico aveva colto il mio interesse verso una donna di mezza età, dalle forme generose, velate appena da indumenti striminziti e aderenti che richiamavano i colori di una mucca.
Il collarino era maculato allo stesso modo degli abiti, dalla minigonna spuntava una coda bovina che le accarezzava le ginocchia ad ogni movimento, corna sulla testa e tacchi a spillo vertiginosi.
«Abbiamo trovato con chi passare la serata».
Pier scoppiò a ridere eccitato. Ultimamente lo stavo spingendo verso il bondage, un bdsm soft che non andasse contro la sua etica.
«Abbiamo gli stessi gusti, ma chere» sussurrò al mio orecchio, solleticandomi la pelle con quel velo di barbetta scura che lo rendeva dannatamente sexy.

Poco dopo, quella slave morbida e abbondante, era piegata a terra, con i polsi legati alle caviglie e i suoi genitali esposti completamente alla nostra vista.
La spreader bar le teneva anche le gambe divaricate, mentre il bavaglio ad anello la costringeva a mantenere la bocca spalancata.

Avevamo lasciato quell'enorme sala del piacere per rinchiuderci in una stanza più piccola, spartana, dai muri ocra e il pavimento opaco. Sembrava una stanza malconcia e abbandonata, ma era tutto un effetto scenico: l'idea di seviziare qualcuno in quelle condizioni era eccitante.

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