꧁𖢻Diciannovesimo capitolo𖢻꧂

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Avevo dodici anni e stavo lanciando palline di carte sulla testa di Elia. Si era imposto di guardare quello stupido film di guerre spaziali e io mi stavo annoiando.

«Voglio uscire! » dissi imbronciata, appallottolando un altro pezzo di carta per poi lanciandoglielo addosso. Naturalmente lui era impassibile.

«Altri dieci minuti che sta per finire! » la sua testolina bionda con quei capelli corti pieni di carta era ormai inglobata dentro la televisione intento a rivedere, forse per la cinquantesima volta, quella videocassetta. Ero arrivata a casa sua prima quel giorno e sua madre Esmeralda mi aveva offerto un buonissimo pezzo di torta.

Mi stavo innervosendo e la torta era finita. Andai da lui, era seduto a terra su un cuscino, completamente concentrato; urlò quando mi buttai sudi lui. Lo immobilizzai a terra e iniziai a fargli il solletico. «Non smetto se non mi dici che muovi il sedere da qui e andiamo! »

Non resisteva mai al mio solletico.

Riuscimmo ad uscire e raggiungere il centro. La nuova gelateria che offriva una gamma quasi infinta di gusti.

Eravamo in fila e io ero inquieta. Alcuni ragazzi più grandi di noi mi lanciavano strani sguardi e la cosa mi stava innervosendo. Sentii il bisogno di distrarmi e fingere che non esistessero.

«Sai cosa stavo pensando stamattina? »

«No, la tua mente per fortuna non è in collegamento con la mia».

Gli tirai un pugno sul braccio e lui se lo sfregò dolorante. «Stavo pensando... Tua madre ancora non ti ha detto chi è tuo padre» sapevo che l'argomento per lui era fastidioso, ma da piccola avevo un'empatia scarsa e la delicatezza di una valanga. «E se tuo padre fosse il mio? Se noi fossimo davvero fratelli? »

Si sistemò gli occhiali sul naso, evitando di guardarmi. «Non credo, non ci assomigliamo molto».

«Ma abbiamo tutti e due i capelli biondi! Potrebbe essere! Dio, vorrei fosse così.Potrei convincere papà a tornare con tua madre e lei mi adotterebbe».

Elia non rispose subito. «Ma praticamente ti ha già adottata. Stai sempre nella mia stanza! »

Lo guardai malissimo, gli stavo per sferrare un altro pugno se non fosse già arrivato il nostro turno.

Prendemmo il nostro cono e ci sedemmo ad uno dei tavolini del bar. Iniziai subito a mangiarlo, Elia riusciva sempre a sporcarsi il naso con la panna. Presi un fazzoletto e come d'abitudine lo pulii.

«Uh, ti fai accudire dalla tua fidanzatina? » ci prese in giro uno dei ragazzi che prima mi stavano guardando e di cui io mi ero dimenticata. Elia si irrigidì, io stavo per alzarmi e spalmargli il mio gelato in faccia.

«Lasciali stare» intervenne uno di loro. «Scusalo è un coglione» disse guardandomi e sorridendomi. Fu la prima volta che un ragazzo mi fece imbarazzare.

La prima volta che mi sentii innamorata, con quel classico colpo di fulmine che mi fece battere il cuore a mille.

Lui era Claudio e quegli occhi marroni non avrebbero lasciato i miei sogni rosa finché non fui distrutta.

Stavo ricordando quegli avvenimenti nel dormiveglia, e con l'incoscienza che si trova sul confine esatto tra sonno e veglia, le immagini di un'inquietante concretezza si focalizzarono non su Claudio, ma su quell'amico che si sarebbe meritato il mio gelato in faccia. La sua immagine si sovrappose al viso del Toy Boy misterioso del galà.

Mi alzai dal letto sconvolta, mi tirai indietro i capelli. Quel ragazzo era Vincenzo, un amico stretto di Claudio. Ecco perché quando lo vidi al galà i miei sensi erano scattati tutti. Eppure c'era qualcos'altro che dovevo ricordare su di lui, qualcosa di importante. Ma non riuscivo a trovare nulla.

Il suono di un telefonino che squilla mi distrasse dai miei ricordi. Lo presi, era quello di Elia e sopra un numero tedesco.

«Casper, ti stanno chiamando» gli dissi baciandogli la fronte. Ma era ancora in un sonno profondo. Iniziai a scuoterlo e lui trasalì. Gli piantai il telefono in mano, guardò il numero spaesato e rispose.

«Bereit

Vidi la sua faccia contrarsi in una smorfia di nervosismo che mi scosse.

«Ich habe dir gesagt nicht zu suchen» e riattaccò. Non so cosa avesse detto né con chi stesse discutendo, ma sentirlo parlare in tedesco fu come sentirmi trapassare da carta vetrata.

«Chi era? » chiesi.

«Nessuno, non ti preoccupare» la sua voce era furiosa però. Lo vidi smontare il telefono, togliere la sim e rimontarlo.

«Non mi sembra nessuno dal momento che hai spento il telefono».

Mi guardò un attimo, piantandomi addosso i suoi occhi neri e per la prima volta, la primissima volta nella mia vita, Elia mi intimorì. «Per favore,Sara. Non ne voglio parlare» fu freddo.

Deglutii. Presi il mio telefono e guardai l'ora. Erano le due del pomeriggio e sul display comparivano vari messaggi, tra cui alcuni di Nyx, tre di Piere uno di Siria. Aprii per primo quello del mio capo.

"Beata giovinezza che fugge tuttavia... diceva qualcuno. Ma non tu non ti azzardare più a scappare senza dirmi nulla. Mi hai fatto preoccupare. Muovi il sedere e vieni al Diamond appena ti svegli. C'è lavoro extra oggi."

Sospirai; Siria mi contattava? Erano sempre cattive sorprese.

«Devo andare. Oggi è Sabato» dissi sconsolata. Mi aspettava il solito fine settimana pieno stracolmo di sessioni che mi avrebbero lasciata esausta senza contare la sorpresina extra della mia trans.

«Ma è ancora presto...» cercò di protestare Elia, la voce era tornata quella di sempre, amorevole e calda. Nessuna traccia del tedesco furioso di prima.

«Lo so, ma il mio capo è un'esigente rompicoglioni» gli sorrisi, cercando di dimenticare come fosse stato poco prima.

«Sai, non mi va ancora giù che tu faccia la cameriera in quel posto. Ti guardano tutti... E io sono geloso» mi sussurrò toccandomi un fianco.

Iniziai a ridere.«Ormai ho deciso che sarai tu lo sfortunato che dovrà sopportarmi.E soprattutto che dovrà cucinare per me tante cotolette buonissime».

Mi contorsi e iniziai a toccargli le gambe e scorrere sul suo inguine le dita toccando l'erezione. Lo feci stendere, eravamo ancora nudi, e mi misi sospesa poco sopra il suo enorme pene.

«Sesso mattutino? »mi chiese con un sorriso perverso.

«Ovviamente. Non potrei non approfittarne» gli risposi lasciandomi scivolare e penetrare da lui. Le sue mani mi tennero per i fianchi accompagnandomi nella discesa.

«Sei fantastica» mi disse ad un soffio dalle labbra. «Ti amo davvero Sara».

Ma io ero troppo impegnata a gemere per rispondergli.

Ma io ero troppo impegnata a gemere per rispondergli

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