꧁𖢻Settimo Capitolo𖢻꧂

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Quella sera andai a dormire nella villona di Pier e avremmo fatto sesso il pomeriggio dopo, appena svegli

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Quella sera andai a dormire nella villona di Pier e avremmo fatto sesso il pomeriggio dopo, appena svegli. Eravamo esausti entrambi: mi aveva raccontato che lo avevano prenotato sette donne, due delle quali lo avevano voluto entrambe nello stesso momento. Il suo pene era dolorante e, per lasciarlo riposare, guidai io fin fuori città, verso casa sua.

Pier era diverso da me, era pieno di soldi e li usava quasi tutti. La sua villa era su due piani, con otto stanze, tre bagni, due cucine, due piscine - una al coperto e una all'esterno - un garage di sette metri con tre auto costosissime e perfino due domestiche. Andare a dormire da lui era come se improvvisamente una contadina entrasse nella reggia di un principe.

Sprofondammo subito nel sonno non appena sfiorammo il letto. La sua presenza accanto a me era naturale e confortante. Pier era un amante, un fratello ed un migliore amico.

La mattina dopo, ovvero le sei di pomeriggio, fui svegliata dalle sue dita tra le gambe e dalla sua bocca sui miei seni; un proseguimento del sogno erotico che stava sconvolgendo il mio mondo onirico.

Lo allontanai immediatamente e mi alzai. Avevo fame e avevo sete. Lo sentii sbuffare, ma lo ignorai.

Mi avvicinai al tavolino e iniziai a servirmi da sola, lui mi fu dietro immediatamente. «Dai Sara, ce l'ho durissimo... » me lo strofinò contro la schiena, baciandomi il collo e prendendomi per i fianchi. Ero nuda anche io, così i suoi tocchi mi arrivarono subito all'apice delle gambe.

«Pier, ma non vuoi fare colazione anche tu? » gli dissi lasciva mentre addentavo un cornetto pieno di cioccolato.

«Mi basti tu come colazione».

Le sue dita mi massaggiarono i seni, mentre col pene si strusciava sui miei glutei. Opporsi a lui era difficile, era un seduttore talmente esperto che un suo tocco ti stimolava una libido devastante.

«Dai, so che mi vuoi».

Stavo gemendo sotto le sue mani, le sue mani che scendevano sul mio ventre e tra le gambe dove già stavo gocciolando.

Mi piegò sul tavolo ed entrò dentro di me con un solo colpo, scatenandosi poi con furia. Era arrabbiato, lo notavo da come mi sbatteva, da come mi teneva alta la testa e mi mordeva il collo.

Ebbi un orgasmo e lui sembrò muoversi ancora più forte. Poi si sfilò da me e mi mise contro il muro, alzandomi e rientrando dentro senza quasi lasciarmi respirare.

«Mi dà al cazzo che tu sia stata con Demo la settimana scorsa» mi sibilò tra le spinte, ignorando l'affanno. Ecco, avevo capito; era ancora arrabbiato perché pensava mi fossi fatta il mio amico fattorino. In realtà non era vero, gli avevo iniziato una fellatio un attimo soltanto, ma senza portarlo al culmine. Non era necessario che Pier lo sapesse, la sua rabbia sfogata così mi stava piacendo tantissimo.

Lo afferrai per i capelli e lo obbligai a guardarmi negli occhi mentre mi dava piacere «Io vado con chi voglio, sono libera» risposi. Le sue mani sui miei fianchi divennero artigli, le sue spinte sciabole dentro il mio corpo.

Lui si scopava almeno sei persone diverse al giorno, profumatamente pagato, e poi se la prendeva se io facevo sesso con qualche mio amico. Voleva l'esclusiva su di me e questo mi dava fastidio. Però non lo avrei allontanato, era il mio migliore amico e il mio migliore amante.

«Ma quando sei con me il tuo piacere è solo mio» sussurrò preda dell'estasi.

Stavo per controbattere, mandarlo a fanculo, ma lui mi baciò con invadenza,con prepotenza. La lingua nella mia bocca era devastante, le sue mani sul mio sedere mi stringevano sempre di più e il suo pene martellante mi tolse la capacità di ragione. Ebbi un altro orgasmo,che mi fece inarcare contro la parete. E dopo, con un grugnito, venne anche lui.

Colammo al suolo entrambi, sfiniti. La sua pelle scura e sudata aveva un odore mascolino che mi piaceva troppo. Gli leccai il collo, il suo sapore salato mi faceva impazzire. Le sue mani corsero sulla mia schiena,risalirono fino alla mia gola e la sua testa poggiò sulla mia mentre io non smettevo di baciargli il collo.

«Perché mi devi sempre far incazzare... » mi sussurrò.

«Perché è ciò che mi riesce meglio».

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