Lettera a mio padre

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*lettera a mio padre*
"Lei è l'unica erede non potrà mai seguire il suo sogno..."
Sbuffo. È così terribilmente stupido e insensato.
Si suppone che i Sancoeur, di fama, siano persone senza cuore, sfruttatori, perfetti e senza macchia ma anche senza onore o forme di gentilezza, che non conoscano la generosità, che se fanno qualcosa è unicamente per soddisfare loro stessi: non sarebbe stato neanche così, fosse dipeso da me...
I Sancoeur sono ricchi imprenditori.
I Sancoeur sono persone di successo.
I Sancoeur sono i migliori avvocati.
Fanculo le voci, i Sancoeur non sono niente, non si comportano come desiderano, seguono solo ciò che le chiacchiere impongono, ciò che dalla nascita c'impongono.
L'unico ad aver capito i suoi errori è stato mio nonno, l'unico a mettermi una mano sulla guancia e l'unico a dirmi "Sei speciale, non sarai come loro"...
intendiamoci, il nonno materno.
Quando morì cadde l'ultimo velo di solitudine e amarezza nel mio cuore, non fui più la stessa, avevo appena 14 anni quando smisi di credere nella felicità, nell'amore e nella realtà che ti rende felice.
Mia madre era una donna senza cuore. Aveva sposato mio padre penso per l'interesse di mia nonna materna e dei genitori paterni.
Non passava un solo giorno in cui non fossi affidata alla sua severa custodia, non aveva mai tempo per me e io mi sentivo sempre più sbagliata, ho fatto del male forse?
Ero quella sola responsabile alla quale urlare il peggio, la figlia imperfetta che ad ogni modo doveva essere perfetta e diventare la migliore: ma non poteva semplicemente.
Se un domani avessi avuto un futuro sarebbe stato grazie solo a me stessa.
Mio padre mi guardava dall'alto al basso ed era un uomo freddo, ma forse l'unico che mi rispettava davvero e ogni tanto mi sorrideva... ma sembrava sempre obbligato, non era mai un atto di vera dolcezza;
ero sola e piangevo ma i miei non mi davano mai una mano per rialzarmi dal tetro pavimento sul quale giacevo o asciugavano le mie guance rosse impregnate di amarezza, un'amarezza che ha contribuito a formarmi quel carattere del quale avevo bisogno per affrontare quella salita chiamata vita. Le mie ginocchia erano diventate le valli delle lacrime che riempivo quando ci nascondevo il viso...
Ma il dire "basta" segnò un punto di confine, quello per crescere e per rialzarmi severamente da terra come dovevo fare fin dal principio...
Solo che ero poco più di una bambina e il mondo là fuori faceva paura, specialmente se ci vediamo soli.
È vero, non hanno mai provato a dire niente delle persone che mi puntavano il dito contro, era sempre colpa mia...
Ma forse, se fossi stata meno tenace e più duttile avrei perso quella che sono oggi: ciò che volevo davvero diventare.
Avevo un sogno allora: volevo suonare il pianoforte.
Avrei tanto voluto diventare una pianista o una sound designer ma quando avevo 13 anni e affrontai i miei dicendogli cos'avevo scelto mi arrivò un risposta secca, che fece male quanto una sberla in viso, tanto forte da farmi finire distesa sul pavimento della cameretta: un'altra volta, a guardare quel cielo lontano.

-"Non azzardarti mai più..." Mio padre fece un passo verso di me:
-"Non azzardarti mai più Nathalie Sancoeur a desiderare un futuro che sia diverso da quello scelto da noi. È chiaro?"
L'odio non era semplice da provare ma forse, vedersi crescere indirizzati in un contesto e con un'educazione volta a chiudere la mente non faceva poi tanto per me.
Portai il dorso della mano agli occhi, volevo sparire da quella realtà.
Avevo sempre saputo di non poter essere frutto del loro amore:
Mi alzai e corsi via trovando la forza che finora mi aveva impedito di riscattarmi.
Quale amore? Continuavo a chiedermi.
I Sancoeur, secondo le chiacchiere altrui non hanno il cuore, eravamo pregiudicati, e non da smentire, eravamo una famiglia tanto rinomata quanto potente...
dovevo essere come loro e per chiunque ero diventata incontenibile, irriconoscibile, un'estranea che preferiva rimanere sempre da sola e la sera d'inverno al crepuscolo che sostava per un poco vicino al negozio di musica ascoltando il timbro pesante di quel vecchio pianoforte a coda al piano superiore suonato dal proprietario... Il perché non lo vendessero? Era un omaggio venuto dall'Austria e aveva un tasto non funzionante, uno dei martelletti era andato ma la sua melodia era unica.
𝓞𝓰𝓷𝓲 𝓶𝓪𝓵𝓮 è 𝓾𝓷 𝓫𝓮𝓷𝓮 𝓺𝓾𝓪𝓷𝓭𝓸 𝓼𝓮𝓻𝓿𝓮 𝓱𝓸 𝓲𝓶𝓹𝓪𝓻𝓪𝓽𝓸 𝓪𝓷𝓬𝓱𝓮 𝓪𝓭 𝓲𝓷𝓬𝓪𝓼𝓼𝓪𝓻𝓮 𝓫𝓮𝓷𝓮...

Una sera una mano toccò la mia spalla; avevo 17 anni e studiavo ormai da 3 anni giurisprudenza: l'ho sempre odiata, come i sorrisi falsi della gente, come i lamenti di mia madre, come le ghignate di mio padre.
Che dietro una falsa maschera d'affetto celavano l'intenzione di non far morire quello che da anni era stato costruito.
Ma chi si era degnato di avvicinarsi ad una reietta come me?
Era una ragazza dai capelli biondi e gli occhi verdi... mi guardava mentre ascoltava anche lei quella melodia; aveva un'aria triste e tenera, sembrava le avessero spezzato il cuore, sembrava che anche lei, come me avesse avuto un cuore e adesso sentiva lo stesso vuoto mio.
Ci sedemmo sorseggiando la cioccolata calda dinanzi alla Tour Eiffel mentre il cielo si colorava di un rosso intenso con sfumature viola e blu scure; aveva sofferto perché coloro che si erano affiancati a lei finora erano solo dei bugiardi approfittatori.
Rimanemmo poi in silenzio, era quello di cui avevamo bisogno prima di altre mille parole che sarebbero venute dopo e prima che ce ne rendessimo conto stavamo piangendo isieme come se ci fossimo conosciute da una vita... fu la sera in cui conobbi Emilie.

Per lei divenni subito una grande amica, io invece ci misi del tempo a legare e la consideravo una cara amica ma non volevo ammetterlo, non volevo apporre a me stessa una catena che mi facesse apparire più vulnerabile, eppure poteva cambiarmi... mi rendeva più felice, una me diversa.
Emilie frequentava l'artistico a indirizzo cinematografico e studiava per diventare attrice: era solare, bella e amorevole con chiunque... il mio opposto.
Ma insieme eravamo forti e studiavamo in scuole vicine quindi passavo spesso da lei;
i miei approvarono la mia amicizia con lei solo perché apparteneva ad una classe alta quanto la mia, quando mi dissero che era questo il motivo m'infuriai: era troppo.
Iniziai a lavorare part time il giorno e di notte studiavo: in quel periodo io ed Emilie non ci vedevamo frequentemente perché volevo raccogliere denaro e rinchiudermi in convitto, non sopportavo un altro solo giorno bloccata sotto lo stesso tetto di quell'approfittatrice di mia madre e di quel mostro di mio padre.
Magari chissà...

Ripensandoci adesso a mente lucida la mia amicizia con Emilie sarebbe potuta svanire se fossimo state più lontane...
E i miei avevano solo seguito in buona fede una vecchia usanza ormai sepolta e che io, da adolescente alle prime ribellioni non potevo in ogni modo sopportare.
Ma il tempo cambia le cose, le rende insapore e adesso non mi soffermerò più su questi dubbi lasciati a metà di un qualche momento nel passato.

𝓢𝓾𝓵𝓵𝓪 𝓼𝓬𝓱𝓲𝓮𝓷𝓪 𝓽𝓻𝓸𝓿𝓲 𝓬𝓲𝓬𝓪𝓽𝓻𝓲𝓬𝓲, è 𝓵ì 𝓬𝓱𝓮 𝓬𝓲 𝓪𝓽𝓽𝓪𝓬𝓬𝓱𝓲 𝓵𝓮 𝓪𝓵𝓲...
Ci riuscì.
Ero finalmente sola e ai miei non importava.
Gli ultimi mesi prima dell'esame sarebbero stati quelli che avrebbero definitivamente deciso la mia carriera quindi studiai e studiai senza fermarmi per mesi e, stavo male, lo confesso, ma alle spalle avevo infine la soddisfazione di essere stata la migliore.
Presi il diploma a 18 anni, quel giorno non mi voltai nemmeno per vedere chi fosse lì per me, quando chiamarono il mio nome annunciando che ero stata la più prestigiosa.... e facevo qualche passo in più verso i miei docenti sentendo la gente mormorare cose come:
"Sancoeur quanto li hai pagati?"
"La figlia di papà arrivata prima? Chi l'avrebbe detto!"
"I Sancoeur sempre i primi"
Non mentirò nel dire che adesso un sorriso mi dipinge il volto a quelle calunnie...
Ero sempre stata egoista e insapore con chiunque e si, avrei voluto strappare quel diploma davanti a tutti, correre via da quel luogo che era l'immagine stessa della desolazione e della chiusura mentale, ma quel piccolo frangente di pensiero che andò a mio nonno e ad Émilie apparsero, assieme a lei...
era lì, a guardarmi con la stessa espressione di quando la conobbi; mi mise una mano sulla spalla e camminammo via, lontano da tutti.
Perché il silenzio era il nostro modo speciale di dirci come dovevano andare le cose: d'ora in poi verso la salita.

E Quando sulla schiena trovi cicatrici, è lì che ci attacchi le aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora