Xmas

16. Marinette

Mentre tornava a casa da solo, Adrien pensava spesso a ciò che di solito cercava di evitare: a sua madre, a suo padre, alla sua famiglia, alle sue delusioni.
Non pensava mai, in quel frangente, a Ladybug o ai suoi amici o alla scuola, perché non rifuggiva loro.

In quella solitudine limitata, perché Plagg era sempre con lui, lui riusciva a sentirsi ancora più solo, ancora più piccolo, ancora più impotente, di quanto effettivamente era.
E non stava bene.

Allora spesso cercava di pensare positivo, di indirizzare i pensieri verso il suo grande amore, i suoi amati amici, la sua scuola salvifica: ma non ci riusciva granché, in quei momenti.

Non si trattava della paura di dover affrontare se stessi e i propri problemi, ma del timore di non riuscire a sentire quella stessa paura.

Paradossale.

Lui non credeva di avere problemi con se stesso, d'altra parte.
Era positivo e ottimista, consapevole di essere un ragazzo forte.

A volte l'incertezza lo coglieva in flagrante, ma niente che un sano incoraggiamento esterno non potesse risolvere.

Ecco, il tarlo, forse, era quello: chi c'era a incoraggiarlo?
Suo padre era troppo impegnato, sua madre non c'era più, gli altri membri della famiglia erano lontani.
Su chi poteva contare allora?
Gli amici di solito vanno e vengono, l'amore forse non si sarebbe mai realizzato.

Era solo.
Solo?

No, incoerente.

Si sentì colmare dal vuoto totale.

No, non è possibile.

Sua madre gli aveva detto che non sarebbe mai rimasto solo, e lui si fidava di lei: non doveva dubitare di sua madre.

Ma se...?
No, cancella i pensieri: mamma ha ragione.

Stava tornando a casa, e Parigi era ormai una fiumana di gente.
Non sei mai solo.
I bambini ridevano, tiravano i genitori verso le entrate dei negozi.
Non sarai mai solo.
E i genitori, con la fatica negli occhi, cercavano di accontentare i figli.
Non sei e non sarai mai solo, Adrien.

Si trovò di fronte a casa sua.
Casa?

Solo un nome gli sovvenne.

Suonò il campanello.