23. Emozione

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Marinette tornò a casa presto quel giorno.
Aveva chiesto al suo capo il permesso di uscire prima, in modo da poter raggiungere il teatro in tempo.
Si era messa d'accordo con suo marito, che avrebbe portato i bambini con sé, di incontrarsi dinnanzi all'edificio per avviarsi insieme ai posti loro assegnati.

Era una serata importante, e non poteva fare tardi.
Suo figlio si sarebbe esibito, e non voleva per nessuna ragione perdersi quell'evento.

Louis non era mai stato un bambino estroverso: riservato, estremamente delicato e molto... fragile, forse, era il più piccolo dei suoi tre fratelli.
Aveva solo sei anni, ma la sua spiccata sensibilità lo induceva spesso a sfiorare i tasti di un pianoforte di cui non sapeva niente.

Quelle dita così piccole e così innocenti erano capaci di creare immagini sensazionali, spaventosamente grandi.
Ed era sempre un piacere poterle ascoltare.

«Mamma, ma io non so suonare!»
«Amore, esiste la scuola apposta.»
«Sì, ma che figura ci faccio? Non so neanche cosa sia un- un- pian-...»
«Un pianoforte.»
«Sì! No, non voglio. Poi non mi piace suonare quando ci sono le persone.»
«Non è necessario che tu lo faccia, amore.»
«E allora perché dovrei suonare?»
«Perché mi hai detto che ti piacerebbe suonare uno strumento. Papà suona il pianoforte, e in casa abbiamo solo un pianoforte...»
«Papà suona il pianoforte?»
«Sì, amore. Ma se non ti piace, puoi scegliere quello che vuoi.»
«No! Il pianoforte mi piace!»

Quando Marinette giunse dinnanzi al teatro, si rigirò più di una volta per scorgere la sua famiglia.
Il marciapiede era largo ma fitto di gente.
Così prese il telefono in mano e compose il numero di Adrien.
«Amore, voltati.»
Erano dietro di lei, sorridenti e sereni.

Marinette rispose al loro sorriso, avvicinandosi ai tre per salutarli: «Come state?»
Baciò Adrien e poi i figli, guadagnandosi qualche rimprovero dai due, ormai preadolescenti.
Ripose il cellulare in tasca.
«Andiamo?»

I quattro si avviarono verso l'interno.
Presero posto su indicazione dell'insegnante di Louis, il quale li aveva accolti con un sorriso orgoglioso e sincero.
«Accomodatevi pure qui, signori.»
Lo ringraziarono.
«È la prima volta per vostro figlio, vero?»
Annuirono.
«Bene. Allora godetevi la serata. Vostro figlio è un talento, signori.»
Sì, lo sapevano bene.
«Grazie, monsieur

Quando finalmente tutti gli ospiti presero posto, il saggio di Natale poté avere inizio.

«Mamma, ma quando sta a lui?»
Era Emma che, impaziente, chiedeva implicitamente a che ora sarebbero andati via da lì.
«Non lo so, tesoro.»
Sbuffò.
«Che palle...»
«Emma, per cortesia...»
«Fanno esibire un bambino di sei anni per ultimo? Ma da quando?»

Adrien era stranamente silenzioso, però. Marinette se ne accorse solo in un secondo momento.

Suo marito era attento.
Era in fermento.

E l'emozione parve sopraffarlo quando lo vide, quando vide suo figlio fare la sua comparsa sul palco spingendo la carrozzina da solo; quando l'insegnante lo prese in braccio per metterlo a sedere dinnanzi al pianoforte a coda.

Marinette chiuse gli occhi.

Non era necessaria la vista.

Ascoltarlo, sentirlo, per lei, era un privilegio.

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