七 (andare avanti)

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– 4 luglio 1854

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– 4 luglio 1854.

Otto anni, e Taehyung ancora sperava che da un giorno all'altro Jeongguk avrebbe bussato alla porta.
Ormai aveva ventisei anni, Jeongguk ventiquattro.
Era curioso di sapere com'era diventato: non riusciva ad immaginarlo, nella sua mente era impressa l'immagine del ragazzino di sedici anni con i capelli lunghi e scuri e gli occhi neri, spenti in sua assenza, come la pece, con il corpo esile.
Chissà se mangiava! Chissà se era ancora vivo!
Pregava Dio ogni giorno che stesse bene anche in sua assenza.
Seokjin ormai aveva sposato Min Hea, e dopo qualche mese rimase incinta dando alla luce una bambina che chiamarono Kim Da-Eun.
Il fratello, Yoongi, nonostante il matrimonio, non accettava ancora Seokjin.
Lo fulminava con lo sguardo ogni volta che si incontravano.
Namjoon, invece, qualche anno dopo che Jeongguk andò via, conobbe una giovane fanciulla, Lee Yoora, dal cui matrimonio nacque un'altra meravigliosa bambina, Kim Dae-Ho.
Il suo di matrimonio, invece, era vicino: si sarebbe celebrato nel gennaio dell'anno successivo, il 1855, con Jung Yeeun, che tanto amava.
Aveva un fratello, Hoseok, molto dolce: egli si riteneva fortunato: suo fratello, Seokjin, era costretto a sopportare quella sanguisuga del cognato!
Ma Taehyung pensava sempre che nella vita si riceve ciò che ci si merita, e suo fratello si meritava tutto Min Yoongi, dalla testa ai piedi!
Per quanto riguarda se stesso, non sapeva se Hoseok fosse davvero un dono per il suo buon comportamento: era stato lui, con quelle pagine di diario, a far scappare via il suo migliore amico per cui provava sentimenti non indifferenti.
A distrarlo dai suoi pensieri, quel giorno, fu Haeun, che bussò alla porta della stanza da letto di Taehyung.
«Avanti» disse, distogliendo lo sguardo dallo specchio: si era messo a pensare mentre di sfuggita aveva visto la sua immagine riflessa.
«Signorino Taehyung, mi ha fatta chiamare?» domandò la domestica, mentre il nominato annuiva:«Sì Haeun, avevo detto a Doyun di salire, ma forse non avrà capito. Non importa comunque, glielo dirò dopo, adesso siediti accanto a me» e così, appoggiandosi delicatamente sul letto, le propose di andare con lui e Yeeun, sua futura moglie, dato che a breve si sarebbero sposati.
«Mi avete visto crescere, e non riuscirei ad avere qualcun altro in casa mia che non siate voi» disse, facendo sorridere la donna: Taehyung era rimasto lo stesso ragazzo dal cuore nobile di tanti anni fa.
Egli trattava i domestici non come tali, e gli si poteva leggere negli occhi che fosse realmente affezionato a loro.
Haeun scorse la figura del signor Junyong in quel momento: aveva la stessa espressione amichevole e contenta che un signore normalmente non aveva con i suoi servi.
Haeun si riteneva così fortunata di esser capitata nella famiglia Kim.
«Certo che sì, signorino. Sarò lieta di continuare a lavorare per lei.»

Taehyung fece la stessa richiesta a Doyun, che però accettò, stabilendo serio una condizione: «Visto che sono vecchio e stanco, vorrei un aiuto, qualcuno che magari potrà sostituire me, e vorrei che questo qualcuno fosse mio nipote, Park Jimin, signorino. Ha poco più la sua stessa età, vedrà che imparerà tutto quello che sa fare lo zio!»
Taehyung accettò, ma impose a sua volta una condizione: voleva prima vederlo.
Insieme decisero che il giorno seguente avrebbe avvisato il ragazzo di raggiungerlo il più presto possibile per presentarsi a Taehyung.
Park Jimin era un ragazzo molto piccolo.
Non era alto chissà quanto, probabilmente giusto un metro e settanta centimetri, aveva i capelli color cioccolato e gli occhi scuri, ma che alla luce s'illuminavano come i migliori cristalli; il suo viso era pieno nonostante il suo essere minuto, molto grazioso come quello di un angelo, le labbra erano rosse e piene, appena piegate in un sorriso.
«Vede? Ha stoffa, lo si può vedere da lontano. Dopotutto è un Park, signorino» si vantò Doyun, «lo farò diventare un uomo» continuò impassibile, imbarazzando il ragazzo, che riconosceva di non essere poi così tanto mascolino.
«Va bene anche così, Doyun» sorrise Taehyung, attirando l'attenzione del nuovo arrivato, che solo in quel momento notò il fascino del signore che, da quel momento in poi, doveva servire.
«Jimin, sono Kim Taehyung, benvenuto nella mia casa» sorrise, e Jimin arrossì dalla vergogna: «La ringrazio moltissimo signore! Sarò felice di essere al suo servizio!»
«Grazie, Jimin» disse, e se ne tornò in camera.
Mentre camminava poté sentire Doyun che rassicurava il giovane dicendogli ch'egli tutto poteva essere fuorché cattivo, quindi come lui e Haeun, poteva definirsi più che fortunato.
Taehyung sorrise a quelle parole.
Si sedette nello studio che una volta apparteneva a suo padre, e s'incantò su un oggetto insignificante mentre pensava a lui, che, dopo un lungo viaggio, aveva portato uno sconosciuto a casa.
Ogni giorno pensava a come fosse diverso, suo padre, dagli altri nobili.
Quante persone da cui aveva ricevuto occhiate indignate, dai suoi figli in primis! E quanto se ne era fregato lui, perché sapeva di aver fatto qualcosa di buono: aveva salvato un bambino dalla strada, gli aveva dato una casa e educazione.
Questo era importante per Junyong.
Dopo l'arrivo di Jeongguk, Taehyung era cambiato: cercava di essere identico al padre, e sperava di essere diventato proprio come lui. Per questo, quando sentiva l'aria serena in casa o quando sentiva i domestici parlare bene di lui era felice.
Per poco tempo, la malinconia che si portava dentro da otto anni svaniva, e si dimenticava del suo vecchio migliore amico.


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