十 (retrouvailles*)

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– 30 dicembre 1856

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– 30 dicembre 1856.

«Jeongguk?»
La gioia che Taehyung stava provando era inspiegabile.
Era vero che le cose migliori accadono per caso, quando meno te lo aspetti.
Taehyung era convinto che in genere il destino si appostasse dietro l'angolo, come un borsaiolo, una prostituta o un venditore di biglietti della lotteria, le sue incarnazioni più frequenti.
Ma egli credeva che non facesse mai visite a domicilio.
Bisognava andare a cercarlo.
Per quanto gli mancasse, egli non era mai più andato in cerca di Jeongguk: aveva lasciato che tutto scorresse, seguendo l'onda del suo destino per vedere dove l'avrebbe portato.
E fino a pochi minuti prima era convinto che l'avesse portato su uno scoglio dove Jeongguk non esisteva.
Ma invece eccolo qui, davanti alla sua porta.
Eccome se ne faceva di visite, il destino!  pensò, e gli occhi si inumidirono di lacrime.
Il ragazzo più piccolo spostò lo sguardo a destra e a sinistra: non aveva ancora spiaccicato parola.
Osservava la reazione di Taehyung, che ora aveva le mani davanti alla bocca per soffocare i singhiozzi.
Iniziò a piangere rumorosamente, mentre le lacrime non riuscivano a cessare di scendere lungo le sue guance morbide.
Jeongguk era lì, davanti a lui, vivo e vegeto.
Quel Jeongguk esile che immaginava sempre non esisteva:era diventato alto quanto lui, ma era tanto più robusto; non poté non notare quanto si fossero ingrossate le sue braccia e le sue gambe e quanto fosse muscoloso il suo petto.
Il suo viso si era riempito: le guance non erano più scavate ma molto piene e sembravano così soffici che avrebbe voluto mordergliele. Portava i capelli neri lunghi sul collo, i suoi occhi erano gli stessi occhi scuri da cerbiatto che lo guardavano quasi impaurito.
La bocca che veniva torturata dai denti era carnosa e invitante come non mai lo era stata.
Per Taehyung era meraviglioso, e si era incantato a guardargli ogni sfumatura, persino il neo sotto al labbro e la cicatrice sulla guancia, il tutto mentre piangeva.
«Tae...» mormorò con la sua voce delicata,
facendolo risvegliare dal suo stato di trance.
Lo guardò ancora, senza dire niente: per un attimo, al suono della sua voce, le lacrime e i singhiozzi erano cessati.
Fu soltanto una cosa momentanea, però, perché quando Jeongguk si sporse in avanti per accoglierlo al suo petto e circondarlo con le sue braccia possenti, Taehyung scoppiò di nuovo in un mare di lacrime.
«Calmo, sta' calmo... Sono qui...» sussurrò, carezzandogli i capelli.
Continuò a consolarlo con dolci parole fino a che non si calmò: pianse per più di dieci minuti e per tutto quel tempo erano rimasti sull'uscio della porta, mentre Haeun era immobile, fissando anch'ella scioccata la scena.
«Haeun, signor Kim! Ma che succede?» accorse Jimin, quando sentì il freddo entrare in casa e una folata di vento spense il fuoco che riscaldava la casa.
Presto lo raggiunse Doyun, e anche zio e nipote rimasero incantati come Haeun.
Doyun aveva riconosciuto l'uomo che teneva stretto a sé il suo padrone, ma Jimin, che non lo aveva mai visto, ci mise un po' per capire.
«È lui Jeongguk?» mormorò nell'orecchio di Haeun, e questa annuì.
«Taehyung, inizia a far freddo e faremo congelare anche i domestici. Posso?» chiese di entrare, e quando il padrone ebbe annuito, entrarono.
Era così sorpreso che non aveva minimamente sentito il gelo sulla sua pelle: il suo calore lo aveva protetto.
Una volta staccati, Jeongguk rivolse uno sguardo ai domestici, che lo guardavano fisso.
Si sentiva abbastanza a disagio, in realtà.
«Jeongguk...» mormorò, ancora incredulo, prendendogli il viso tra le mani.
Al ché Jeongguk rise, facendo mancare qualche battito all'altro: «Sono io, Tae. Sono io.»
«Scusatemi un attimo...» disse Taehyung correndo di sopra, quando tutti udirono il pianto improvviso di Seoyun.
L'ospite rimase quasi pietrificato: Taehyung aveva una bambina.
Vedendolo andare via, sospirò, rivolgendo un'occhiata ai domestici: «Ciao Haeun», sorrise alla donna che stava impalata davanti alla sua figura, «ehi Doyun» disse poi, guardando l'uomo accanto a lei.
Rimase perplesso quando vide un giovane accanto a loro, ma decise di presentarsi: «Ciao, sono Jeongguk. Sono il fratello di Taehyung, più o meno. Ma credo che tu conosca già la storia» mormorò imbarazzato.
Il giovane domestico si presentò a sua volta: «Mi chiamo Jimin, signore. Sono il nipote di Doyun e sono qui per aiutarlo.»
Jimin era rimasto così ammaliato dalla sua bellezza che arrossì senza un apparente motivo.
È bellissimo, pensò, ma poi si ricordò di ciò che Haeun gli aveva raccontato: egli e il suo padrone erano molto legati, le possibilità che Jeongguk lo notasse erano poche.
«È così. Sono diventato vecchio, ormai» parlò Doyun, e Jeongguk ebbe l'impressione che la vecchiaia lo avesse un po' addolcito.
Se lo ricordava molto più acido e severo, ma restava comunque impassibile: chissà, forse era solo un'impressione!
«Dite che posso salire?» domandò, ma i domestici non sapevano cosa rispondergli.
«Non serve, sono qui» Taehyung si affacciò dalle scale: sembrava tranquillo, ma si notava che stesse cercando di agire come se nulla fosse.
«Jimin, hai già fatto conoscenza con Jeongguk?» chiese, e Jimin annuì, ritrovandosi ad abbassare di nuovo il capo per l'imbarazzo.
«Starai qui stanotte, giusto?» domandò Taehyung.
«Beh, io...»
Autoinvitarsi in casa sua gli sembrava inopportuno, ma gli occhi di Taehyung lo pregavano di dire sì e potevano vederlo anche i domestici: «Se non creo disturbo, sì» rispose, guardandolo imbarazzato.
«Bene. Jimin, puoi preparargli un bagno caldo? Io continuerò a leggere questo libro di sopra, così da essere più vicino a Seoyun, nel caso si svegliasse di nuovo» e, detto questo, andò di nuovo via.
Jeongguk rimase perplesso: si chiese come mai, dopo quel pianto, si stesse comportando come se volesse evitarlo.
Pensandoci bene, poi, si rese conto: erano passati dieci anni; Taehyung, come lui stesso, era un adulto ormai ed era comprensibile che il suo ritorno lo avesse stupito; probabilmente lo credeva morto da molti anni, forse non riusciva a gestire la situazione e voleva il tempo necessario per fare un bagno per schiarirsi le idee.
Quando ritornò coi piedi per terra, guardò Haeun, ancora impalata davanti a lui: «Posso dormire su una sedia qui, in soggiorno. So che saprai renderla comoda, Haeun. Domattina taglierò della legna: in un paio di giorni avrò una panca più comoda su cui riposare» disse.
Per la domestica era cambiato, molto: da piccolo parlava appena, si limitava ad annuire, a scrollare le spalle... ora faceva dei discorsi completi, e soprattutto riusciva ad apparire sicuro di sé.
«Certo, signor...» Haeun si bloccò: avrebbe dovuto chiamarlo Kim? Qualcosa era cambiato o era ancora devoto all'ormai defunto signor Kim, padre di Taehyung?
Jeongguk emise un risolino: «Mi faccio chiamare Jeon adesso» rispose.
Ella annuì e corse a preparare ciò che serviva per far sì che Jeongguk dormisse.

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