一 (una sorpresa non gradita)

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— 20 novembre 1837

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— 20 novembre 1837.

Nella modesta dimora dei Kim si poteva respirare un'aria di festa, quel giorno. I bambini correvano gioiosi e impazienti per il ritorno del padre, il signor Kim, costretto a stare lontano dalla propria famiglia per un mese a causa di alcuni lavori da sbrigare. Egli, che faceva di tutto pur di rendere felici i suoi bambini, aveva in serbo una sorpresa per loro, la quale, inizialmente, avrebbe dovuto essere un oggetto con cui tornare a casa e che i piccoli sicuramente avrebbero adorato; ma qualcosa di decisamente migliore gli capitò durante quel viaggio di ritorno: aveva visto un bambino tutto solo mentre, nella sua carrozza, veniva trasportato verso Seoul.
Kim Junyong era conosciuto per la sua nobiltà d'animo, per il suo immenso amore verso qualsiasi persona o cosa lo circondasse, quindi, come avrebbe potuto far finta di niente e proseguire noncurante di un bambino tutto sporco e solo?
Ordinò di far fermare la carrozza e scese per raggiungere il piccolo che se ne stava accovacciato dietro ad un albero.
Questo sobbalzò, quando vide un uomo nobile (lo aveva dedotto soltanto guardando i suoi abiti) che stava cercando di avvicinarsi.
Junyong ridacchiò, e si affrettò a specificare le sue intenzioni.
«Ehi, piccoletto, cosa ci fai tutto solo qui?» soltanto avvicinandosi un po' di più vide quanto fosse fradicio e maleodorante quel bambino.
La sporcizia lo faceva sembrare un forestiero. Non udendo alcuna risposta, il signor Kim decise di tendere la mano verso il piccolo, non facendo morire il sorriso sul suo volto.
«Non aver paura, voglio aiutarti. Se vieni con me, ti prometto che ti porterò in un bel posto, starai con i miei tre figli e con mia moglie. Vivrai con noi! Che ne dici, mh? Non voglio saperti qui tutto solo, il sole sta per tramontare e chissà cosa potrebbe accaderti.»
Il piccolo girò completamente il volto, di già convinto dalle parole dell'uomo.
Mostrò i suoi occhi grandi da cerbiatto, impauriti, i quali chiedevano aiuto, un po' di cibo e un posto dove stare.
«Ti va, allora? Ti fidi di me?» chiese, facendo cenno con la mano ancora tesa.
Il bambino annuì leggermente, afferrando la grande mano dell'uomo, il quale sorrise e lo portò al petto, come ad abbracciarlo.
«Su, allora andiamo.»

Per tutto il tragitto lo sconosciuto non aveva spiccicato parola; semplicemente se ne stava in un angolo della carrozza – già piccola e stretta di suo – con il capo chino, mentre aspettava – infondo – impaziente di arrivare a destinazione.
Non sapeva cosa gli aspettava, e questo lo intimoriva. In quel momento dubitò dell'uomo che aveva voluto aiutarlo.
Oh, chissà cosa avrebbe voluto fargli! E i suoi figli? Sarebbero stati felici di vederlo a casa loro? Tutto sporco, fradicio e puzzolente?
A farlo ritornare alla realtà ci pensò Junyong, il quale provò a richiamarlo.
Lo aveva notato, com'era assorto nei suoi pensieri, così decise di provare a farlo parlare.
«Qual è il tuo nome, piccolino?» domandò con tono calmo e gentile, come solo lui sapeva fare.
Il bambino stette in silenzio per un bel po', e decise di confessargli l'unica cosa che sapeva di se stesso, dal momento che, ormai, si trovavano nella stessa carrozza e dal momento che – da lì a poco – avrebbero vissuto nella stessa casa.
«Jeongguk» mormorò, giocherellando con le gambe assai magre e scoperte.
Junyong aveva notato quel gesto di insicurezza e timore, così fece un debole sorriso, che il piccolo riuscì a vedere con la coda dell'occhio.
«Siamo quasi arrivati, Jeongguk, ti prometto che ti sentirai a casa.»
E per qualche strano motivo, a Jeongguk sembrò che quell'uomo non aveva intenzione alcuna di fargli del male.

CUORI IN BURRASCA // KOOKV (#Wattys2020)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora