Harry
"Ricordi quello di cui abbiamo parlato la scorsa seduta, Harry?"
Sbuffai. "Certo che mi ricordo."
L'uomo poggiò le mani sulla scrivania, mi rivolse uno sguardo paziente. "E ricordi anche cosa ti avevo chiesto di fare in questi due giorni?"
"Sì" sbottai, affondando nella poltrona di pelle.
Lo studio dello psicologo mi sembrava assurdamente caldo, la sua voce dannatamente noiosa e l'orologio a pendolo che ticchettava alle sue spalle, scandendo il tempo minuto per minuto, mi aveva steso addosso un velo di torpore, una fiacchezza insopportabile.
Il tizio di fronte a me continuava a studiarmi, come se potesse cavare qualcosa dei miei occhi cerchiati, i capelli sfatti, le mani intrecciate sotto il mento, quando in realtà tutto quello che avrei voluto fare era dormire.
"Quindi?" mi incalzò, gioviale. "Ci sei riuscito? Ti sei concentrato sui tuoi nuovi famigliari? Hai magari cambiato idea rispetto alla prima opinione che ti eri fatto di loro?"
Alzai gli occhi al cielo. Troppe domande tutte insieme.
A cui non avevo idea di come rispondere, dato che in quei giorni non mi ero concentrato su nulla, a parte un certo video hot."Allora?"
La voce del dottor Charles non era cambiata: paziente, calma, profonda; forse per qualcuno poteva risultare rassicurante.
Sollevai lo sguardo. L'uomo mi osservava al disopra dei suoi spessi occhiali, con espressione comprensiva e invitante.
"Allora" iniziai monotono, tornando a fissarmi le mani. "Jay è sempre Jay, è gentile, si preoccupa per me, ma non credo sia molto contenta di avermi preso con sé..."
"Perché lo pensi?"
"Prima di tutto, le sto facendo spendere un bel po' di soldi inutili qui."
L'uomo scoppiò a ridere, mi guardò divertito. "Ma di Jay abbiamo parlato molto l'altra volta. Dimmi degli altri" insistette, ignorando la mia battutina acida.
Scrollai la testa, scocciato. "Le gemelle ancora non le distinguo. Felicitie credo si sia presa una cotta per me, è imbarazzante" mi grattai la testa. "E l'altra... com'è che si chiamava?"
Il dottore sorrise di nuovo, scuotendo la testa. "Non ti sei concentrato abbastanza, Harry. E ti piace fin troppo prendermi in giro."
"Ci provi lei a concentrarsi su quattro bambine e a capirle in due giorni! Che poi sono tutte uguali, cazzo!"
Lui fece una smorfia alla mia imprecazione, ma lasciò correre.
Mi divertiva quando ero io ad avere il controllo della conversazione; anche se era lui a porre le domande, le mie risposte erano abbastanza sagaci da poter essere interpretate come reali, ma a volte troppo ironiche per essere giudicate serie.
Pensavo così di poterlo tenere lontano, almeno un po', dal vero me che, accucciato in un angolo remoto della mia coscienza, tremava al solo pensiero che qualcuno potesse risvegliarlo.
Anche se qualcuno, e non certo quell'uomo, lo stava già facendo...
Louis era steso sul letto, quando rientrai quella sera.
Scorreva veloci le dita sul tablet, ogni tanto sobbalzava per la vibrazione del telefono che teneva sulla pancia, ed era ancora vestito come la sera prima.
Quando entrai in camera tutto quello che fece fu sollevare un attimo lo sguardo, per poi ignorarmi completamente.
E quell'occhiata, così indifferente e distaccata, mi fece male.
Ma perché diavolo ero io a dovermi sentire male? Avevo il pieno controllo su di lui, la sera prima l'avevo umiliato come nessuno aveva mai fatto, ero superiore a lui, più forte, più sicuro.
Allora perché non stavo affatto bene? Perché nel guardarlo provavo più rimorso che soddisfazione? Perché mi stupivo così tanto del suo sguardo di disprezzo? E, soprattutto, perché mi faceva così male?
Mi sedetti sul mio letto con un sospiro. Continuai a guardarlo, aspettandomi uno sfogo come la sera prima; un attacco che magari mi avrebbe permesso di essere ancora scontroso, ancora rude con lui; una parola di troppo, per avere di nuovo l'occasione di infastidirlo, sottometterlo, torturarlo come più mi piaceva.
Ma lui rimase in silenzio. Odiava avermi lì, questo lo sapevo. Ma non si alzò per andarsene, sarebbe sembrato un codardo. E non tornò a supplicarmi come aveva già fatto, il suo orgoglio era ancora troppo forte alla luce del giorno.
Semplicemente restò lì, magari pensando al modo migliore per uccidermi, con le labbra serrate e il respiro controllato, come se la mia presenza fosse un gas letale.
E più lo guardavo, più l'incomprensibile e malsana voglia di parlargli cresceva dentro di me...
Finché alla fine non riuscii più a contenerla.
"Qual era il motivo?" me ne uscii.
Lui sollevò un sopracciglio sottile, mi guardò appena. "Stai parlando con me?"
"Ci sei solo tu qui."
Lui riportò gli occhi sullo schermo del tablet.
"Ieri hai detto" lo incalzai, incapace di frenare la lingua, "Che c'è un motivo per cui mi odi."
"In realtà ce n'è più di uno."
"Intendo prima di ieri, prima del video, tu già mi odiavi. Perché?"
Lui sospirò, stanco, forse sconsolato o semplicemente scocciato.
Anche quello mi fece male. Perché era la prima volta che gli parlavo con sincerità, e una reazione del genere faceva vacillare la mia sicurezza.
Ma d'altronde, cos'altro potevo aspettarmi?
"Vuoi saperlo davvero?" sbiascicò.
"Non te l'avrei chiesto altrimenti."
Lui si sollevò, mettendo da parte il tablet.
Mi guardò come un prigioniero guarda il proprio aguzzino, chiedendogli pietà; anche solo parlare con me per lui era una tortura.
Avrei tanto voluto dirgli che non lo stavo facendo per farlo soffrire, che il mio non era un modo assurdo e psicotico per ingannarlo.
Ma ero troppo codardo per farlo, e lui in ogni caso non si sarebbe fidato.
Infatti "A che servirebbe ormai?" sbottò. "Anche se te lo dicessi, non credo diventeremo amici del cuore."
Io mi alzai di scatto e "Dimmelo e basta!" ordinai, forse con troppa veemenza.
Lo vidi fremere. Per un attimo il mio tono era stato terribilmente simile a quello usato nel sottoscala.
Mi pentii di averlo usato. Mi sedetti sul suo letto, sperando che la vicinanza rimediasse, che lo rendesse più tranquillo.
Invece fu tutto il contrario. Istintivamente raccolse le ginocchia al petto, se le circondò con le braccia, vi appoggiò sopra il mento.
"Sai quello che è successo tra i nostri padri?" cominciò, insicuro.
Forse temeva che quello che stava per dirmi, mi avrebbe aizzato ancora di più contro di lui.
Io scossi la testa, gli rivolsi uno sguardo di incoraggiamento.
Lui prese un respiro e iniziò.