"Looking for heaven, found the devil in me.
Well, what the hell I'm gonna let it happen to me?
Shake it out, shake it out oh
And it's hard to dance with the devil on your back so shake him off."Louis
"Solo un altro tiro, Loulou. Uno solo."
Zayn allungò la schiena e protese le labbra verso di me.
Sorrisi perché, da quando tre minuti prima avevo acceso la canna, non faceva che ripetere la stessa cosa. E nonostante i suoi buoni propositi, ero sicuro che metà dell'erba se la fosse fumata lui, alla fine.
"Potresti farne altri mille se fosse per me, Malik" lo canzonai, tendendo la mano e posandogli il filtro sulle labbra. "Non sono mica io quello a cui hai giurato di non fumare più."
Il moro alzò gli occhi al cielo, aspirò dalle mie mani non una, ma due volte, poi chiuse gli occhi e si gettò all'indietro, finendo disteso sul muretto ancora umido di pioggia.
Il solito muretto, il nostro muretto sul ciglio della strada. Con le solite macchine a sfrecciarci accanto, dedicandoci a volte qualche sporadico spruzzo d'acqua. Il solito lampione rotto a ronzare sulle nostre teste, il solito Louis a dondolare le gambe con i piedi sospesi sul marciapiede, e il solito Zayn accanto, con la schiena schiacciata sui mattoni rossastri.
Mi sarei quasi aspettato di vederlo stiracchiarsi, come se stesse prendendo il sole su una di quelle spiagge da sogno, per poi sollevarsi e "Saltiamo l'ora di matematica domani?" chiedere, il sorriso da quindicenne ancora ingabbiato nell'apparecchio.
Mi sarebbe piaciuto che accadesse.
Invece fu "Liam Payne" il sussurro a metà tra il contemplativo e l'esasperato che sfuggì dalla sua bocca. "Liam Payne mi ha rovinato la vita."
Rimasi stranito, come qualcuno che vede il proprio riflesso nello specchio voltargli le spalle, nonostante lui non abbia neanche accennato a muovere un muscolo.
Un accenno di delusione a stringermi lo stomaco, un'ombra di nostalgia ad oscurarmi il cuore.
Zayn non era rimasto immobile e inalterato come il paesaggio attorno a noi, non era il solito Zayn. Quello non avrebbe mai ammesso così, a cuor leggero, di essere dipendente da qualcuno; il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di assecondare desideri che non fossero esclusivamente propri; la sua testarda sicurezza gli avrebbe impedito di mostrare a chiunque altro la sua più grande debolezza.
Peccato però che questa debolezza, adesso, fosse anche la sua forza.
Zayn Malik aveva sempre pensato di poter bastare a se stesso, certo della sua invulnerabilità come uno scalatore professionista che si arrampica a mani nude. Per fortuna, però, si era reso conto in tempo che questa sicurezza l'avrebbe portato a scivolare e cadere nel vuoto.
Liam gli aveva teso la mano e lui l'aveva afferrata. Era cambiato.
Così come ero cambiato io, ma in senso diametralmente opposto.
Avevo allungato la mia mano verso Harry Styles, mettendo da parte ogni mia paura, pur di trarlo in salvo; e lui l'aveva sfiorata per tanto tempo quella mano, a volte accarezzata, altre respinta come se scottasse, sicuro di non meritarla.
Solo il giorno prima, nel vecchio cimitero di Sheville, vi si era finalmente aggrappato con tutte le sue forze.
Come Zayn, anche lui aveva ceduto...."Lou?"
Sobbalzai, aprii gli occhi di scatto, ritrovandomi il soffitto di casa Payne sulla testa.
Lo scricchiolio appena udibile di una porta, un respiro pesante, diverso dal mio, poi di nuovo "Lou."
Un tremolio roco, leggerissimo.
Harry.
Mi voltai col cuore in gola. Il viso di porcellana incastonato come una gemma tra lo stipite e la porta, lo intravedevo a malapena attraverso lo spiraglio che si era azzardato a creare aprendola.
Mi sollevai per incontrare gli occhi velati dal buio e lui "Posso?" chiese, con la stessa voce fragile.
Ebbi un tuffo al cuore: chiedere un permesso che sapeva gli sarebbe stato accordato era una delle abitudini nate circa un anno prima, in quella casetta al parco.
Annuii, mentre lui entrava e si chiudeva la porta alle spalle.
"La mamma di Liam non sarebbe affatto d'accordo" sbadigliai, quando si avvicinò al mio letto.
"Non posso stare in camera con lui" sollevò le coperte meccanicamente, mi spinse da parte senza troppe cerimonie.
Rabbrividii al contatto del suo corpo col mio, ormai completamente sveglio e "Hai detto le stesse parole riferendoti a me, qualche ora fa" gli ricordai.
Lui sbuffò, accucciandosi sotto le coperte e "Non capisci" sussurrò soltanto.
Scivolai al suo fianco, la testa poggiata sullo stesso cuscino, la fronte a combaciare con la sua. "Posso provarci però."
"Non voglio stare con Liam" ripeté allora, come se non vedesse l'ora di sputarlo fuori, "perché lui non può vedermi piangere."
Si affondò i denti nelle labbra per impedire alla sua voce di incrinarsi, i capelli andarono a coprirgli gli occhi quando si rintanò nell'incavo del mio collo.
Gemetti appena quando la guancia umida si impresse sulla mia pelle.
"E invece io..." soffiai, facendo scorrere le dita tra i ricci scomposti, "io posso?"
Il tono lusingato, quasi commosso, con cui lo chiesi forse lo divertì, perché sentii le sue labbra incurvarsi in un sorrisetto prima che "Tu devi" gracchiasse, lapidario. "Perché sto piangendo per colpa tua."