Louis
"Hey, Tomlinson!"
L'urlo del signor Shean precedette di poco lo stridere gommoso degli pneumatici sull'asfalto. La frenata fu brusca, la macchina si arrestò a pochi centimetri dalla bicicletta che il vecchio trascinava per la strada.
Chiusi gli occhi un attimo, poggiando la testa sul volante, mentre la via silenziosa si riempiva dei brusii curiosi dei passanti.
Mi rianimai solo quando l'uomo: "Dovresti fare più attenzione, ragazzo!" sbraitò, per poi dirigersi verso la casa lì accanto.
Riaccesi il motore senza neanche chiedergli scusa, percorsi i pochi metri che mi separavano dal mio vialetto con il cuore ancora a pulsarmi nelle orecchie, gli alberi rigogliosi del viale a sfilarmi accanto come vecchie diapositive. Niente a che vedere con la strada terrosa e spoglia che mi ero appena lasciato alle spalle."Lou!"
Mia madre si catapultò in veranda, non appena misi piede fuori dall'auto.
"Oh grazie a Dio sei tornato." Mi gettò le braccia al collo ignorando lo sguardo arcigno del signor Shean ancora puntatomi addosso. "Dovresti smetterla di sparire così."
Me la scrollai di dosso senza troppe cerimonie. "Non è la prima volta che dormo fuori casa. Non farne una tragedia."
Lei si ricompose, ma non si allontanò e "Sei stato da lui, vero?" sussurrò pianissimo, come temendo che qualcuno ci spiasse. "Come sta?"
"Come starebbe un qualsiasi liceale che vive da solo in un motel grazie ai risparmi dei genitori morti" sbottai spregevole, mentre lei chinava il capo, abbattuta.
Mi avviai con passo strascicato verso la porta. "Sì beh, fai bene a sentirti in colpa..."
"Tu invece come stai, Tommo?" mi interruppe, non per infastidirmi, ma sinceramente interessata.
Sospirai.
Come stava Louis William Tomlinson?
Neanche io in quel momento riuscivo a capirlo. Era pentito per esser appena scappato con la coda tra le gambe, lasciando la sua unica ragione di vita addormentata nel letto di uno squallido motel? O era ancora imbarazzato, sommerso dalla vergogna, come quando si era svegliato tra le sue braccia, ricordando poco e niente della sera precedente? Oppure una parte di lui stava già riportando alla memoria i baci sulle guance, le carezze, le parole dolci sussurrate come una ninnananna, facendolo piombare nella più cupa nostalgia?"Bene." Mi allontanai da mia madre, quasi fosse un insetto fastidioso, poi entrai in casa. "Sto benissimo."
Le parole mi morirono sulle labbra quando intravidi la sagoma di mio padre in cucina. Ciò che mi stordì non fu però la sua presenza, quanto il fatto che seduto accanto a lui, intento a sorseggiare del tè freddo, ci fosse Liam Payne.
"Oh Tommo, sei vivo. Ancora qualche ora e tua madre avrebbe chiamato la polizia."
"Che ci fai ancora qui?" sputai, in riposta a mio padre, arretrando di nuovo verso il corridoio. Nel dirlo, però, guardai Liam. Le sue orecchie si fecero rosse, prese a fissare intensamente il bicchiere di tè che aveva tra le mani, come fosse un'inestimabile opera d'arte.
"Non ti avevo detto che mi sarei fermato per un po'?" cantilenò l'uomo, falsamente offeso. "E il tuo ragazzo qui..."
"Non sono il suo ragazzo" soffiò Payne, sconsolato. Non era la prima volta che si trovava costretto a precisarlo, a quanto pare.
Mio padre gli sorrise, scuotendo la testa in modo permissivo.
Fingeva.
Sapeva che Liam aveva ragione. Sapeva chi fosse il mio vero ragazzo. Ma gli piaceva prenderci per il culo entrambi. Un atteggiamento ironicamente meschino con cui non faceva altro che sminuire ciò che stavo passando. Per lui era tutto poco più di uno spettacolo per bambini: personaggi semplici, trama scontata, finale prevedibile. Nessuna sorpresa, nessuna emozione, era convinto di aver tutto perfettamente sotto controllo.
E non era forse vero?
"Vieni su, Payne."
Il ragazzo si voltò verso di me, visibilmente sorpreso.
Sbuffai. "Muoviti, non ho tutto il giorno da perdere appresso a te."
"In realtà, hai fin troppo tempo libero, Tommo" mi corresse mio padre, sferzante.
Rivolsi a lui un'occhiata disgustata, a Liam una supplichevole. Ero disposto ad ascoltarlo pur di sfuggire alle parole taglienti ed ipocrite di quell'uomo.
Payne capì. Si alzò, mi seguì in corridoio senza fiatare.
Salimmo le scale, entrammo nella mia stanza.
"Scusa per prima" borbottò a disagio. "E' che...non credevo avresti avuto voglia di parlarmi, alla fine."
"Se non lo credevi, perché sei venuto?"
Si morse le labbra. "Io...in realtà volevo, ecco..."
Mi gettai sul letto, sospirando.
La testa mi scoppiava. Le membra mi dolevano. Ed un maledettissimo idiota balbettante mi stava di fronte, sperando forse di poter alleviare i suoi sensi di colpa recitando la parte del buon samaritano.
Non avevo mai conosciuto davvero Liam Payne. Non ero mai stato abbastanza interessato a farlo, neanche quando Zayn aveva iniziato a perdere la testa per lui. Per me era rimasto quello di sempre: uno sfigato tradito dal mondo che nasconde, dietro la sua bonarietà, nervi d'acciaio e ferrea determinazione. Avevo sempre saputo quanto fosse forte. E, forse per invidia, avevo iniziato a spintonarlo contro gli armadietti, a strappargli i libri, a deriderlo a mensa. Lo facevo perché, senza dubbio, il suo coraggio superava il mio.
Ed anche adesso, oltre il balbettio e le guance rosse, riuscivo a vederlo quel coraggio, così bollente e vivo se confrontato con la mia fredda apatia. Non potei far a meno di ammirarlo ed odiarlo al tempo stesso.