Niall
Entrai di corsa nel palazzo, fuggendo dal freddo pungente che l'inizio di Novembre aveva portato con sé.
Guardai un attimo il mio riflesso nello specchio accanto all'ascensore: avevo le guance chiazzate per il freddo e gli occhi ancora rossi per il vento. Mi tolsi il cappello, quello che Zayn mi aveva costretto ad indossare, e diedi una sistemata ai ciuffi spelacchiati che mi ricadevano sulla fronte.
Strano, non lo facevo mai.
Non mi interessava più da tempo cosa la gente potesse pensare di me, guardandomi. Mi vestivo come capitava, non badavo mai ai miei capelli, dicevo quello che mi passava per la testa senza pensarci troppo.
Il mondo attorno a me era sospeso nella nebbia, le persone che lo abitavano non erano altro che ombre, spettri di una realtà che non mi apparteneva; le loro voci echi lontani che rare volte mi davo la pena di ascoltare.
Zayn era l'unico che superava la nebbia, l'unico che riuscivo che sentire con chiara ed estrema nitidezza vicino a me.
Ma nell'ultimo periodo, un'altra voce si era aggiunta alla sua, distinguendosi dal brusio della gente. Un'altra figura si andava definendo nella calma astratta della mia mente: quella di Harry.
Non avrei saputo dire perché pensavo continuamente a lui, né perché ogni volta entrassi in quel palazzo tanto euforico all'idea di incontrarlo.
Salii le scale. Sperai che fosse ancora in sala d'attesa, così avrei potuto vederlo.
Sentii dei passi veloci venirmi incontro dal piano di sopra ma non alzai la testa.
Perciò rimasi sorpreso, quando lo udii chiamare il mio nome.
"Niall."
Era lui. Stava una rampa di scale più su, adesso scendeva i gradini più lentamente.
"Ciao" lo salutai pacato. Dimostrarmi entusiasta non mi riusciva proprio. "Hai già finito?"
Lui mi raggiunse, con un sorriso furbo stampato in faccia e le fossette scavate nelle guance. L'unico sorriso che mi sembrasse reale, nel mio mondo di maschere.
"Veramente sto fuggendo" mi confidò, avvicinandosi. "Oggi non mi va proprio di parlare con il vecchio."
Lo guardai contrariato. "Non mi sembra affatto una buona idea."
Vidi la sua sicurezza vacillare per un attimo, di fronte a tanta sincerità. Sapevo di fare un effetto strano alle persone, ma mi piaceva come Harry riuscisse a gestire le mie risposte strampalate, o i miei modi di fare lunatici.
"Hai ragione" fece, con finta aria colpevole. "Ti dirò io qual è una buona idea. Vieni anche tu con me."
Stavolta fui io a restare di stucco. Una proposta così proprio non me l'aspettavo.
Serrai le labbra, e abbassai lo sguardo. Mi accorsi di quanto desiderassi accettare, di quanto volessi andare via con lui.
Ma poi pensai a mia madre. Pensai a Zayn.
"Non posso."
Il suo volto s'incupì mentre mi metteva una mano sulla spalla.
"Se però vuoi, questo dettaglio è trascurabile."
Sollevai lo sguardo, sentendo le sue parole scavarmi nel profondo.
Non dissi niente, ma lui capì.
E allora mi prese per mano, scendemmo le scale e insieme uscimmo, accolti dal vento freddo di Novembre.
HarryDavanti ad una tazza fumante di cioccolata calda, il volto di Niall sembrava infinitamente più bello: le guance rossissime, gli occhi bassi, la bocca socchiusa a soffiare il fumo, le mani strette attorno alla ceramica bianca.
"Problemi di famiglia" commentai, ripetendo la sua frase di poco prima.
Lui annuì.
"Beh si può dire che anche io vada dal dottor Charles per questo" sorrisi amaramente, bevendo un sorso di caffè.
Il biondino sollevò lo sguardo, curioso, ma non si azzardò a chiedere di più.
Allora feci una cosa che mai mi sarei sognato di poter fare.
"I miei sono morti" dissi con semplicità.
Vidi i suoi occhi farsi più grandi, per il resto il suo viso rimase una maschera di ghiaccio.
E allora, senza nemmeno pensarci, continuai.
"E' successo sette mesi fa. Stavamo tornando da Londra" deglutii, decidendo di tralasciare il motivo per cui trovavamo lì.
Un sorriso mi increspò le labbra, poi le parole continuarono ad uscire, come un fiume in piena.
"L'auto nella corsia accanto alla nostra andava contromano. Mi pare di aver capito poi che il tizio alla guida fosse ubriaco" sospirai stancamente. "Mi sono risvegliato in ospedale, e ci sono stato un mese più o meno. Ancora non ricordo bene com'è successo tutto. Non ricordo qual è stata l'ultima cosa che mi ha detto mia madre, o la volta in cui ho guardato negli occhi mio padre..."
Mi interruppi di botto.
Perché stavo dicendo quelle cose? Perché confidavo ciò che avevo di più intimo e segreto, ad uno sconosciuto?
Lo guardai.
Niall non appariva a disagio per il mio improvviso tuffo nel passato.
Semplicemente mi scrutava in quel suo modo fisso, che avrebbe fatto venire la pelle d'oca a chiunque.
Non disse che gli dispiaceva, non spiattellò frasi formali o imbarazzate, per interrompere quel silenzio.
Ma dopo un minuto buono, parlò.
"Io ricordo quando ho guardato mio padre negli occhi l'ultima volta, è stato attraverso il vetro della sala d'incontro della prigione."
Io non fui altrettanto bravo a mascherare la sorpresa che seguì a quelle parole.
Tossii e mi passai una mano tra i capelli.
Chi me l'aveva fatto fare di cacciarmi in quel casino?
Lui continuò, imperterrito. "Mia madre non la sento da due anni. Intendo dal vivo. Ogni tanto mi telefona da New York."
"Mi dispiace" mormorai. Qualcuno doveva pur dirlo, dannazione!
Lui mi ringraziò, con un veloce cenno del capo.
Poi, incredibilmente, sorrise. "Non devi dispiacerti. Ora sto molto meglio. La mia matrigna è un angelo. E poi c'è mio fratello..."
Il suo sguardo si perse, come incantato, a fissare un punto indefinito della stanza.
Odiavo quando lo faceva, era fottutamente inquietante.
Eppure in un certo senso lo invidiai.
Per quanto in modo strano e anomalo, anche se non sapevo cosa gli fosse successo, per lui la vita aveva ripreso a scorrere. E sembrava che gli andasse bene così.
Ma allora perché io non potevo vedere in Jay il mio angelo?
O in Louis un fratello?
Sei tu che non vuoi vederli, Harry cantilenò la vocina nella mia testa.
Ecco, il punto era sempre quello: volere o potere.
"Che ore sono?"
Il sussurrò di Niall mi annunciò che era uscito dal suo stato di momentanea catatonia.
"Quasi le sei."
Lo vidi stringere le labbra.
"Devo tornare allo studio."
Mi alzai, annuendo. "Ti accompagno."
Lui scosse la testa con decisione. "Non c'è bisogno."
"Ma..."
"Ho detto no" mi interruppe di nuovo, freddo. "Grazie della cioccolata" aggiunse poi, più dolcemente, come per farsi perdonare.
Lo guardai sgusciare come un fantasma tra la gente ed uscire dal locale.
Scossi la testa, confuso, e poi gettai uno sguardo al nostro tavolo.
La tazza di Niall era ancora piena, la cioccolata all'interno ormai fredda.