29.

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Harry

Era estate ad Holmes Chapel.
La casa bianchissima, come una torre di zucchero su un tappeto di fiori. Tra quei fiori, una donna, in ginocchio davanti alle aiuole.
Cantava.
Attraversai il giardino a piedi scalzi, strappai uno dei fiori, il più bianco e profumato. Gelsomino. Sapeva di terra, di campi sterminati, di lei. 
"Harry?" Era in piedi adesso, il cappello di paglia ad oscurarle metà del viso. "Sei tornato!"
Mi rigirai il fiore tra le mani, poi lo infilai in tasca. 
"Sì" sorrisi, "sono a casa. Finalmente."
Ma lei non ricambiò il mio sorriso. Anzi, aggrottò la fronte, mi si avvicinò confusa e "Ma dov'è Louis?" sussurrò.

Allora mi svegliai, il viso di mia madre ancora impresso nella retina, il nome di Louis un eco senza fine nella testa.
Scattai in piedi, il battito del cuore a rimbombarmi nelle orecchie, le guance appiccicose di lacrime.
Dov'è Louis, Harry?
La voce fu così forte e reale che mi voltai di scatto, brancolando nel buio intenso ed impenetrabile della stanza. La profonda e mistica immobilità della notte, il silenzio teso come un sibilare sottile, mi fecero rabbrividire.
Ripensai al sogno ed ebbi paura.
Decisi allora di distruggere quell'immobilità, di mettere a tacere quel silenzio, facendo ciò che avrei desiderato fare fin da quando ero tornato in quella camera.
Con il sudore a raggelarsi sulla fronte e gli occhi ancora interdetti dal buio, aprii l'armadio, afferrai i vestiti a mucchi e presi a gettarli sul letto.
Dov'è Louis, Harry?
"Nella stanza accanto" ringhiai al buio che mi avvolgeva.
E tu perché sei ad Holmes Chapel?
La voce di mia madre, sottile ed insidiosa, mi costrinse a voltarmi di nuovo per assicurarmi che davvero lì con me non ci fosse nessuno.
"Non sono ad Holmes Chapel" mormorai, lanciai l'ultimo paio di pantaloni sul letto. "Sono a Lancaster."
Ma non ci rimarrai ancora per molto, vero?
Guardai l'armadio vuoto per un attimo, poi mi arrampicai su una sedia, mi allungai verso la mensola più alta e "Non è detto" ansimai.
Allora, perché stai prendendo quella valigia?
Rabbrividii di nuovo, quasi rischiai di cadere dalla sedia, mentre il trolley rosso scivolava a terra con un tonfo.
"E' solo una precauzione" mi giustificai, sentendomi infinitamente stupido. 
Harry Styles si era ridotto a parlare, nel cuore della notte, con la madre morta; esattamente com'era abituato a fare prima di trasferirsi a Lancaster. 
Harry Styles si muoveva ed agiva come fosse ancora in quel sogno, per non pensare al vero motivo per cui si era messo in testa di fare quella follia.
Jay Tomlinson. 

"Mi spiace, Harry" la donna si passò un mano tra i capelli e sospirò, "pensavo che offrendoti di venire a stare da noi, sarei riuscita a restituirti la vita che avevi perso ad Holmes Chapel. Ma non immaginavo sarebbe stato tanto difficile."
"Come non immaginavi che Louis fosse gay, suppongo" la stuzzicai.
Lei si incupì. "Non sono qui per parlare di Louis, ma di ciò che c'è tra voi! E credimi, anche se non foste due ragazzi, questa cosa sarebbe da considerarsi comunque innaturale."
"Questa cosa" ripetei, ironico, "strano modo di definire l'amore."
Jay non poté far a meno di sbuffare. "Non ti sembra piuttosto precoce parlare d'amore? Non voglio sminuire ciò che provi, sto solo cercando di capire e, magari, di aiutarti a capire."
"Non ho bisogno di alcun aiuto, Jay" sbottai, rinunciando di proposito al più affettuoso zia. "So cosa stai pensando. Harry, orfano solo e disperato, cerca conforto, appena arrivato in una nuova città, e lo trova nella persona a lui più vicina, un cugino stronzo e problematico di cui ora crede di essere innamorato" recitai, a mo' di cantilena. "Mi dispiace rovinarti la festa, ma non è così che stanno le cose."
"Allora com'è che stanno?" Jay sia alzò, la maschera di calma apparente che fin'ora aveva portato si sgretolò sotto i miei occhi. "Spiegami come diavolo è potuto succedere questo casino, perché io non lo capisco!"
"E' successo perché Louis è un ragazzo straordinario!" mi ritrovai ad urlare a mia volta, le guance in fiamme e gli occhi lucidi di rabbia. "Perché mi sono comportato da stronzo, ma mi ha perdonato. Perché dopo tanto tempo, grazie a lui, sono finalmente riuscito a sentire qualcosa."
Il mio sfogo improvviso la spiazzò. Crollò sulla sedia, sospirando, incapace di definire quel sentimento contorto e viscerale che mi aveva portato ad urlare quelle parole.
Pensava fosse ossessione. O magari follia.
Fatto sta che quando riprese a parlare, sembrò ancora più turbata.
"Tu sei davvero convinto che sia una cosa seria?"
"Se non lo fosse stata, non ci saremmo permessi di rischiare così tanto."
"Ed il fatto che siate cugini non vi ha mai..." si interruppe un attimo, come disgustata all'idea, "frenato?"
Sogghignai, forse troppo maliziosamente, al ricordo dei primi tempi, quando a Louis mi legava solo una malsana ed incontrollata attrazione fisica, che la consapevolezza di essere cugini aveva subdolamente aumentato.
No, l'essere parenti non ci aveva affatto frenato. Anzi era accaduto esattamente l'opposto. Ed il sesso con Louis, le prime volte, era stato così feroce, così dannatamente aggressivo, proprio perché entrambi sapevamo di star infrangendo tutte le regole, di aver scavalcato limiti e costrizioni, di aver sfidato quel mondo che adesso faticava ad accettarci.
Magari avrei evitato di raccontare a Jay di quel desiderio perverso ed irrazionale che mi aveva spinto, quella notte di tanti mesi prima, a chiudere Louis nello stanzino, ad afferrargli i capelli e costringerlo ad aprire la bocca.
Sì, gli avrei risparmiato questo dettaglio, ma il ribrezzo così amaro ed intenso nella sua voce mi portò inevitabilmente a provocarla.
Perciò "No" sospirai, come fosse ovvio. "Anzi è stata l'unica cosa a tenerci uniti all'inizio, quando era solo una questione di sesso." 
Jay si passò una mano sulla fronte, inspirò profondamente, come fosse sul punto di svenire.
"Sesso" ripeté, incredula. "Ti rendi conto di quello che dici, Harry? Non ti accorgi che tutto questo è assurdamente sbagliato?"
"Perché siamo cugini? O perché siamo due uomini?"
"Ti ho già detto che non è questo il problema."
Sbuffai, alzando gli occhi al cielo. 
"Allora è la gente, il problema non è vero? E' quello che loro penserebbero e direbbero di noi, di questa famiglia, di te!" sputai, implacabile, l'odio e il risentimento a fluirmi nelle vene insieme al sangue. "Tu hai paura che tutto venga a galla, forse più di quanta ne abbia Louis."
Jay si alzò di nuovo, il volto di pietra inespressivo, le spalle rigide e il respiro sottile, controllato.
Era infuriata. 
"Hai ragione Harry, ho paura, ma non per i motivi che tu hai elencato" sibilò, stringendo i lembi della propria vestaglia tra le mani. "Ho paura per la mia famiglia. Non posso impedire a te e Louis di stare insieme, per quanto sia folle. Ma non permetterò che questo danneggi me e le mie figlie." 
Pensai a Lottie allora, sconvolta e pietrificata in fondo al corridoio, con i cocci della sua tazza di cioccolata calda seminati sul pavimento.
Pensai al disperato desiderio con cui mi aveva chiesto di dormire separato da Louis, per sopportare ciò che le riusciva impossibile credere, per dimenticare l'assurdità di ciò che aveva visto e sentito.
Pensai al suo dolore, abilmente camuffato, tramutato in odio verso Louis, verso me, verso il mondo intero.
Pensai a Lottie, e per la prima volta compresi cosa le avevamo fatto. 
Così quando "Non c'è bisogno che lo sappiano. Almeno, non subito." sussurrai, la mia voce suonò mille volte meno aggressiva e più conciliante.
Jay approfittò di quel momento di debolezza.
"E tu pensi che riusciremmo a tenerlo nascosto?" mi incalzò, usando di proposito un sottinteso noi, per farmi capire che stavamo sulla stessa barca. "Pensi sia sano che delle bambine vivano nella stessa casa con voi, se poi corrono il rischio di vedervi o di sentirvi?" Rabbrividì appena, persa in pensieri di cui lei solo poteva conoscere la profonda ed inaccettabile gravità.
"Sei sicura che questo valga solo per le bambine?" ribattei, sicuro di aver scorto un velo di ipocrisia nelle sue parole. "Forse, sei tu quella che non è pronta a vederci o sentirci."
Un guizzo negli occhi di Jay mi fece capire di aver appena passato il limite. Avevo acceso la miccia che lei fino a quel momento si era impegnata a tenere bagnata, e adesso niente le avrebbe impedito di esplodere. 
Scattò in avanti, mi afferrò con mani tremanti, costringendomi ad alzarmi.
Io rimasi immobile mentre "No, non sono affatto pronta" ringhiava, a pochi centimetri dal mio viso. "Nessuna madre, neanche la migliore di questo mondo, potrebbe essere pronta a vedere suo figlio baciare un ragazzo" ansimò, affondò le unghie nelle mie spalle. "E non uno qualsiasi, ma suo cugino."
Abbassai lo sguardo allora, per la prima volta davvero a disagio.
"Con Lottie è stato un errore. Saremo più cauti d'ora in poi..." 
Le afferrai le mani per rassicurarla, ma si ritrasse come scottata. "Cauti come lo siete stati con Rebecca?"
Sentii le ultime forze abbandonarmi. Crollai di nuovo sulla sedia, stanco come se avessi percorso chilometri di corsa. Tutto il coraggio che avevo mostrato fino a quel momento non era altro che un misto di rabbia ed arroganza, feroce quanto effimero, debole come i sentimenti troppo intensi e irrazionali che lo avevano generato. Adesso, schiacciato dal ragionamento di Jay, costretto a guardare in faccia una realtà che non mi apparteneva, che andava al di là dell'idilliaco mondo che avevo costruito con Louis, mi ritrovavo a non saper più cosa rispondere.
"Tu vuoi che me ne vada"  mormorai alla fine, freddo ed incolore.
Lei sospirò, per un attimo addolcita dall'arrendevole tono della mia voce.
"Sono stata una pessima madre per troppo tempo, tutto quello che voglio è non continuare ad esserlo" la sua mano corse ad accarezzarmi la fronte. "Non posso chiederti di andar via, Harry. Ma se come me, tieni al bene di questa famiglia, so che non resterai."

yrralWhere stories live. Discover now