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Louis

"Sono appena scoccate le cinque sulla vecchia e cara Londra. A tutti gli ascoltatori mattinieri, o ai nottambuli che si avviano adesso verso casa, poniamo la nostra domanda del giorno..."

"Ecco il caffè" la cameriera di mezza età, dallo sciatto grembiule rosso, adagiò la tazza sul tavolinetto traballante. "Scusi l'attesa."

"Qual è la cosa che con più trepidazione avete aspettato, nel corso della vostra vita? E soprattutto, ne è valsa la pena?"

"Harry?" mi schiarii la gola, fissai il ragazzo seduto di fronte a me, "...sicuro di non volere niente?"
Silenzio.

"Mentre aspettiamo le vostre risposte, vi lasciamo con il primo brano di questo due Novembre..."

"Harry?"
Lui scosse la testa, continuò a torturarsi le unghie con i denti. 
Sospirai, mandai via la cameriera con un cenno del capo.

"I've seen the world,
Done it all, had my cake now
Diamonds, brilliant, and Bel-Air now."

Sorseggiai il mio caffè senza emettere un fiato, gli occhi fermi su colui che era diventato la mia ragione di vita.
Così, su due piedi, senza rifletterci un attimo, avrei detto che la cosa che con più ansia e struggente trepidazione avevo aspettato in tutta la mia vita, non fosse stato altro che lui.
Avevo atteso il suo arrivo a Lancaster, diffidente e nervoso, aspettato pazientemente che iniziasse a fidarsi di me, che si scusasse per ciò che mi aveva fatto, che mi amasse senza aver paura di essere ricambiato.
Poi, quando se n'era andato, avevo vissuto in funzione di un suo ritorno, di una sua chiamata, di un suo messaggio, disperato, ingenuo, incapace di rassegnarmi.
E anche adesso, seduto in quel bar da quattro soldi, con un caffè da quattro soldi in mano, aspettavo.
Esattamente come avevo fatto una volta sceso in strada, dopo la sfuriata di Tom, le mani affondate nelle tasche della felpa e gli occhi puntanti su quella finestra del terzo piano, illuminata dalla luce che io avevo acceso qualche minuto prima.
Non era stata una lunga attesa.
Harry mi aveva raggiunto meno di tre minuti dopo, in pigiama, scalzo, gli occhi vitrei e il viso di un pallore cadaverico.
Non mi aveva parlato, non mi aveva nemmeno guardato. Ma la sua mano era corsa a cercare la mia, le sue dita l'avevano afferrata, e per il momento, pensavo che questo mi bastasse.
Ma mi sbagliavo.
Perché il silenzio ci aveva seguito fin dentro quello squallido locale e continuava a tenerci imbrigliati, come un giogo invisibile a cui entrambi avevamo deciso di sottometterci.

"The crazy days, the city lights
The way you'd play with me like a child."

All'attesa precedente se n'era sostituita un'altra, più pressante, determinante, a dir poco insostenibile, come avviene ogni qual volta si raggiunge un obbiettivo da tanto agognato: a quello, il nostro inconscio ne fa subentrare subito un altro.
Riflettendoci bene, alla fine, la vita non altro che una perenne attesa.
Per quanto tempo avevo aspettato di finire tra le braccia di Zayn? E per quanto altro, dopo che ciò era avvenuto, avevo sperato di conquistare oltre al suo corpo, anche il suo cuore?
E mia madre? Quanto avevo atteso che lei, come Lottie o mio padre, riuscisse a capirmi? Ed anche se era successo, in un modo o nell'altro, quanta pazienza ancora sarebbe servita per farmi restare immobile a sperare che anche il resto del mondo potesse farlo?
Sicuramente più di quanta ne avessi al momento.
Ma alla fine, che importanza poteva avere? Se la vita è perenne insoddisfazione, se la felicità non è altro che un'utopica invenzione dell'uomo, superare quell'ostacolo, così come avevo superato gli altri, sarebbe servito solo a spianare la strada ad altre infinite attese.

"Will you still love me, when I'm no longer
young and beautiful?"

Ma la mente umana il concetto di infinito non riesce a concepirlo, non completamente. E neanche quello dell'infelicità perenne.
Per questo io ero convinto, in quel momento, che se solo Harry avesse parlato, se solo fossi riuscito ad entrare nella sua testa, a scoprire cosa, a meno di cinque ore dal mio volo per Lancaster, avesse deciso di fare, mi sarei sentito infinitamente meglio.
Che la sua risposta fosse positiva o meno non importava. Il sollievo che avrei provato, nello scacciare il dubbio che mi tormentava, avrebbe oscurato per un secondo tutto il resto.
La certezza è un anestetico, la rassegnazione un sedativo. Quando entrambi smettono di fare effetto, è naturale tornare a martoriare di pugni quella porta che da un'eternità aspettiamo si apra, pur sapendo che oltre ci sono solo altre porte.
Ma a questo, avrei pensato dopo.

yrralWhere stories live. Discover now