Harry
"Il vanto di un nome illustre, lo sforzo del potere
e tutta la bellezza, tutta la ricchezza che mai sia stata data,
attende allo stesso modo l'ora inevitabile.
I sentieri della gloria, non portano che alla tomba.*""Questo sì che è iniziare la giornata con ottimismo, cazzo!"
Louis lanciò uno sguardo di commiserazione alla signora Meis ed io scoppiai a ridere, forse più per la sua espressione che per la battuta.
Gli occhi della vecchia guizzarono verso i remoti recessi dell'ultimo banco e "Tomlinson!" gracchiò, tanto per fargli capire che l'aveva beccato. Entrambi ci appiattimmo sui libri, come se improvvisamente quella fottuta poesia fosse la cosa più interessante del mondo e lei tornò a declamare pomposamente altri versi, accompagnata dallo sbuffo annoiato dell'intera classe.
"Ti ci mando io nella tomba, decrepita figlia di..."
Trattenni a stento un'altra risata, tappandogli la bocca. "Lasciala stare e torna a dormire, Loulou."
Lui annuì distrattamente, dopo aver rivolto un'occhiata stizzosa alla donna. Si abbandonò sul banco, la testa tra le braccia, il viso schiacciato sul libro. "L'anno scorso l'assillavo sempre. Era più divertente."
"L'anno scorso" infilai le dita trai suoi capelli, "sei stato anche bocciato."
"Mmm" mugugnò infastidito, ma il mio tocco leggero alla base del collo lo fece tacere. Sospirò, rilassato, e chiuse gli occhi.
Inglese era l'unica materia che seguivamo insieme, e questo spiegava il perché fosse anche quella in cui andavo peggio. Durante un'intera settimana di scuola gli unici momenti in cui ci azzardavamo a stare insieme erano quelle orride tre ore passate sotto gli occhietti indagatori della Meis. Nei corridoi invece, nei bagni, in laboratorio o in palestra, ci ignoravamo egregiamente.
Lou aveva il suo "giro" d'amicizie: il capitano della squadra di basket, qualche cheerleaders, due o tre spacconi sempre attaccati a Zayn, ed altri tipi impeccabili e sorridenti che non avevo il minimo interesse a conoscere.
Non miravo alla popolarità, fino a poco tempo prima odiavo addirittura l'intero genere umano, ma li evitavo soprattutto per Lou: non volevo metterlo nei casini, la nostra storia era ancora segreta dopotutto.
Anche se forse non lo sarebbe rimasta per molto."Harreh" Louis mugolò piano, mi afferrò la mano per portarla più in basso, verso il suo petto. "Oggi dove andiamo a studiare?"
Sorrisi, accarezzandogli le clavicole oltre il cotone della maglia. "Non so, direi di nuovo al parco."
Ci rifugiavamo lì ormai ogni pomeriggio; sfuggire agli sguardi di Lottie stando a casa era impossibile. Che poi facessimo tutto tranne che studiare, era un altro discorso.
Lou sogghignò, per poi fremere quando presi a sfiorargli il braccio. "Dovremmo portarci il tuo regalo mi sa, non l'abbiamo ancora provato..."
"SIGNOR TOMLINSON!"
Louis sbuffò, io alzai gli occhi al cielo e "Sì, lo sappiamo come si chiama" cantilenai.
La classe si riempì di risatine, mentre la signora Meis mi guardava inviperita.
"E menomale che dovevo essere io a star buono" commentò Lou, pacato, prima che la vecchia. "Styles" sputasse, con aria di sfida. "Dato che stamattina sei particolarmente loquace vuoi parlarci tu della poetica di Gray?"
Tutti si voltarono verso di me. Louis prese a ridere come un pazzo.
"Hum scriveva poesie nei cimiteri, giusto?" azzardai, non troppo convinto.
"E da questo deduciamo che?"
"Che ne so" sbottai, mi accasciai contro la sedia mentre i miei compagni si godevano la scena, "non sono mai andato a scrivere poesie in mezzo ai morti, io."
Altre risate, stavolta più fragorose.
La Meis fulminò con lo sguardo i miei compagni uno ad uno, poi riprese a spiegare come se nulla fosse, stando bene attenta a voltarsi verso di me ogni due minuti.
Lou strisciò la sedia, appoggiò la testa sul banco, a pochi centimetri dalla mia e "Questa te la farà pagare" gongolò, ed io notai le occhiaie profonde che solcavano il suo volto pallido.Dire che Lou fosse stressato in quel periodo, sarebbe stato riduttivo: stava cadendo letteralmente a pezzi.
Mancavano meno di tre giorni al processo e sapevo che ne era spaventato a morte, anche se non voleva ammetterlo.
"Si tratta solo di ripetere ciò che ho detto due anni fa" continuava a dire per rassicurarmi, ma poi, quando tornava dagli incontri con l'avvocato o quando sua madre accennava alla testimonianza, crollava; e per crollava intendo che gridava praticamente contro chiunque, per poi uscire con Zayn e tornare ubriaco tre ore dopo. Sapevo che in quella situazione, la compagnia di Malik gli risultava più utile della mia, quindi io mi limitavo a distrarlo, a tirarlo su di morale ogni tanto, senza impicciarmi troppo: anche se mi aveva raccontato tutto, non potevo fare a meno di essere discreto; lui lo era stato con me, quando avevo iniziato a spalancare le porte sul mio passato ad Holmes Chapel.
Entrambi non vedevamo l'ora che quel mese passasse, che Mark fosse condannato, che avvocati e giudici diventassero solo un ricordo, ma c'era qualcos'altro che rendeva Lou ansioso, qualcosa che non aveva niente a che fare con il processo e al confronto sembrava un problema insormontabile: Lottie.
Erano passati quasi dieci giorni da quando ci aveva visto.
I prime tre erano stati giorni di panico, puro e irrazionale. Lei ci evitava, usciva dalle stanze ogni volta che io o Lou entravamo, aveva iniziato a saltare i pasti, la luce in camera sua restava accesa fino ad orari improponibili: non riusciva a dormire.
E noi facevamo esattamente lo stesso: passavamo il tempo chiusi in camera, frenati da un senso profondo di vergogna ed imbarazzo, attanagliati dalla paura che presto Lottie sarebbe scoppiata, che l'avrebbe detto a qualcuno, a Jay, o peggio a suo padre...
I successivi tre giorni, comunque, avevamo cercato di affrontare la cosa razionalmente; le nostre menti avevano prodotto le scuse più disparate, gli alibi più improbabili, le giustificazioni più assurde, solo per arrivare ad una sola conclusione: non potevamo prenderla in giro, non potevamo sperare che si bevesse quelle cazzate. Dopotutto quella bambina aveva visto suo fratello sbattere il cugino contro il muro ebaciarlo!
Perciò avevamo deciso che dovevamo parlarle, e non per prenderla in giro; aveva quasi tredici anni, l'avremmo tratta come un'adulta, le avremmo spiegato tutto, sperando di convincerla a tenere la bocca chiusa.
Lou aveva insistito per essere lui a parlarle.