La prima cosa che Paul ricorda, è il freddo.
Il vecchio vagone malmesso lasciava trapelare ogni singolo soffio di vento gelido, e non bastava essere così tanti, non bastava essere così stretti da sentirsi scricchiolare le costole, il freddo si insinuava fra i corpi stanchi e li sfiniva.
Una donna piangeva, con il cadavere del proprio bambino fra le braccia.
Poteva essere morto di fame, di sete, di freddo o di sfinimento.
Poteva essere morto di un sacco di cose.
Paul sentì le ginocchia cedere in risposta al lamento continuo di quella donna, ma non c'era pericolo, non aveva abbastanza spazio neanche per cadere.
Quanti erano, in quel vagone?
Ottanta? Cento? Di più?
Non lo sapeva, sapeva solo che più i giorni passavano più il loro numero diminuiva.
Non c'erano state soste, nessuno si era preoccupato di rimuovere i cadaveri di coloro che non superavano la notte, e Paul aveva quasi fatto l'abitudine all'odore di putrefazione nell'aria.
Era una cosa che lo spaventava immensamente, essersi abituato alla morte.
Erano passati sicuramente più di dieci giorni da quando erano partiti, da quando Paul era stato prelevato dalla redazione del suo giornale, a Berlino.
All'inizio aveva creduto si trattasse di un errore, e aveva mormorato timidamente che no, lui non era ebreo.
"Questa non è la mia guerra, kommandant", così aveva detto, con la voce che tremava.
L'ufficiale aveva sorriso, un gesto che strideva fastidiosamente con la svastica che portava con orgoglio sul braccio destro, "Avrebbe dovuto pensarci prima, signore".
Paul era un personaggio decisamente scomodo per il Reich.
Era un giornalista, tanto per iniziare.
I suoi articoli venivano pubblicati ormai da qualche anno sulla prima pagina del Berliner Tageblatt, uno dei quotidiani più in vista dell'intera nazione, un quotidiano di indirizzo democratico.
E che la parola democratico al Führer non piacesse, lo avevano appurato già da tempo, tanto che molti colleghi si erano adeguati per paura all'ideologia nazista, sperando di evitare così la soppressione del giornale.
Paul non era fra quelli.
Lui scriveva su ciò in cui credeva, scriveva condanne contro una guerra inutile e sanguinosa, scriveva accalorati articoli in cui si chiedeva che fine facessero gli ebrei trasferiti altrove, criticava apertamente il regime totalitaristico di Adolf Hitler.
Scriveva per dare una speranza a chi speranza non ne aveva più.
No, Paul non era ebreo.
Ma le sue parole, per il Reich, lo rendevano amico degli ebrei.
Gli erano stati dati pochi minuti per radunare i suoi oggetti personali, fra il silenzio degli altri impiegati e dei suoi superiori, ed era stato scortato fuori dalla redazione del giornale.
Due ufficiali lo avevano informato del fatto che stava per essere allontanato dalla Germania, e Paul si era sentito quasi sollevato.
Aveva davvero creduto che lasciare la propria patria sarebbe stata la sua punizione.
Che idiota.
Era stato stipato in quel vagone, più adatto a trasportare bestiame che persone, senza un'unica presa d'aria.
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𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennon
Fanfiction[mclennon] Da quando era ad Auschwitz aveva visto trentasette cieli bianchi, sessantatré cieli neri e ottantacinque cieli grigi. Era il suo modo per non impazzire, guardare il cielo mutare sopra di lui, e quello era il primo cielo azzurro che avesse...