27. FRAU

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Quando Paul strinse tra le dita il volante della Kübelwagen del maggiore, gli parve che il sedile fosse a un passo dall'inghiottirlo.

Nella sua vita, ovviamente, non aveva mai posseduto un'automobile.

Le sue uniche esperienze erano state alla guida di piccoli autocarri, quando ancora cercava di arrivare a fine mese senza che Mike morisse di fame.

Aveva ammirato, a quei tempi, la splendida Mercedes di Hitler, da lontano, e sperato di poter un giorno possederne una simile.

L'auto di John invece, una solida e pratica Volkswagen, non ne possedeva la raffinatezza e l'eleganza, ed era stata chiaramente ideata come veicolo militare.

Eppure, quando fece ruotare con decisione la chiave, i suoi piedi trovarono automaticamente posto sui pedali e l'auto ronzò per qualche secondo.
Il solo suono riempì Paul di euforia.

"Cristo" ridacchiò, "È così strano"

John, seduto alle sue spalle, sorrise lievemente e accese una sigaretta.

"Vai, ti guido io"

"Posso averne una?"

John si perse per un secondo negli occhi limpidi del tedesco, che vedeva riflessi attraverso lo specchietto.

"Certo che no" sentenziò, "Dovrei spararti anche solo per averlo chiesto"

Paul rise appena, "Dio, John. Se mantenessi davvero la parola sarei morto già una decina di volte"

Il maggiore si lasciò sfuggire un sorriso, ma si assicurò di tenerlo nascosto.
Poi, lentamente, si sporse in avanti per avvicinarsi all'orecchio di Paul.

"Non sfidarmi, ragazzino" sussurrò piano, e per un attimo poté godersi con colpevole eccitazione i brividi che percorrevano la pelle dell'altro "Posso diventare davvero spiacevole".

Nell'attimo seguente, però, il tedesco gli sfilava la sigaretta dalle labbra e la accostava alle proprie. Gli rivolse un occhiolino attraverso lo specchietto, soffiando via la prima voluta di fumo dalle belle labbra rosse.

"Non preoccuparti, anch'io posso esserlo".

In quel preciso istante John capì, con inevitabile sconvolgimento, che la sua testa era definitivamente fottuta.

Non riuscì a spiacersene, né riuscì a non ricambiare il sorriso di Paul.

Tacquero per qualche minuto, il silenzio interrotto unicamente dalle brevi e coincise indicazioni di guida che John gli rivolgeva.

Paul si sentiva sereno, come non gli capitava da lungo tempo.

Era forse dovuto alla compagnia del maggiore, finalmente priva di veli. Allo scorrere del paesaggio di fronte a lui, al vento che gli faceva turbinare i capelli. Al fatto che le ciminiere di Auschwitz si allontanavano sempre di più alle sue spalle, al cielo che si allargava sconfinato o alla falce della luna che rendeva l'aria vellutata e luminosa.

Gli sembrava finalmente che i fantasmi nella sua testa avessero preso a carezzarlo, invece che gridare, e che le lame dei ricordi si fossero infine smussate.

"Allora, cosa diranno i tuoi amici nel vedermi arrivare così?" chiese, senza nervosismo.

La presenza di John dietro di lui gli rendeva impossibile temere il pericolo.

Per una qualche incredibile e inspiegabile ragione, Paul si fidava ciecamente del maggiore.

Avevano conosciuto opposti tipi di prigionia, è vero, ma ambedue dolorosi e totalizzanti. In un imprecisato momento, quando questa realizzazione lo aveva colpito, Paul aveva smesso di pensare a John come un nemico.

𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora