24. JANUS BIFRONS

184 36 16
                                    

L'alba gli ferì gli occhi nel più crudele dei modi, screziando di dubbi la dolcezza della notte precedente.

S'illuse per un attimo di aver sognato un corpo accanto al suo, il lieve tendersi della pelle a ogni nuovo inspirare, la delizia di avere altre dita cui appigliarsi con le proprie.
E l'avrebbe creduto per sempre, non fosse stato per l'evanescente tepore che ancora sentiva accanto a sé, e che andava sfumando con l'alba.

Era fuggito.

Aspettarsi diversamente sarebbe stato inammissibile, ragionò Paul, dietro le palpebre, mentre il corpo, che è sempre refrattario alle belle bugie, andava spingendosi naturalmente verso ciò che non c'era più.
Strofinò il piede scalzo contro il tessuto morbido del divano, cercando conforto nel calore, e si ritirò di scatto nel non trovarlo.

Si mise a sedere, lentamente, sperimentando il doloroso torpore delle membra e dei sentimenti, scoprendolo pian piano, come una donna.

Solo allora aprì gli occhi.

La solitudine calò come un velo, dolce e inesorabile, e d'improvviso non importava avere libri da leggere, avere libri da scrivere, essere liberi, conoscere il mondo e farsi conoscere da questo. Non avevano senso le perdite, il dolore, l'amore, la noia e l'euforia. Non contava la morte, dolce madre, e le sue dita di seta, e non contava la vita coi suoi coltelli d'argento.

E non serviva più piangere, e non era mai servito.

Fu un attimo, e l'attimo dopo ciò che restava era disorientamento, e tutto era tornato al proprio posto, eterno e immutabile.

Paul restò seduto, a metà tra il desiderio di alzarsi in piedi e quello di calarsi una coperta sugli occhi. Era una sensazione piacevole, la non scelta.

Rimanere immobili, sul filo di una decisione, senza prenderla mai.

Era bravo, in quello.

Era stato, in qualche modo, innamorato di George senza esserlo mai, e amico di Richie senza esporre mai realmente la carne ai colpi.

Aveva abilmente vissuto un'intera vita senza scegliere mai, manipolando il mondo come creta per restare in equilibrio, in equilibrio a qualunque costo. Nessuno lo aveva mai conosciuto davvero, neanche provandoci, neanche pregandolo.

George aveva tentato, amandolo nell'unico modo possibile nel luogo in cui si trovavano: ferocemente, e con disperazione.

E Richie, Richie forse più di tutti ci era andato vicino.
Ricordò di quella notte, la notte prima della fuga, la voce dolce dell'amico che lo pregava di scappare. La propria, fredda, che gli intimava di tacere.

Non aveva fatto altro che mettere a tacere gli altri, nel corso della propria vita.

Fin da quando, secoli prima, sua madre era scappata, non aveva fatto altro che rintanarsi nella propria testa per sfuggire al dolore.
Non aveva voluto ascoltare le lacrime di suo padre, i lamenti di suo fratello, e aveva lasciato che la sua famiglia collassasse, seppellendoli tutti.

Nell'era a.M. (avanti Mary) Paul ricordava di essere stato un ragazzo allegro, sicuro di sé, arrogante come lo sono tutti i giovani che non hanno mai conosciuto il dolore.
Rideva tanto, così tanto che si sarebbe poi, da adulto, definito un idiota.
Credeva nell'amore e nella bontà dei vicini di casa, e persino l'ateismo che è connaturato nella giovinezza si era insinuato in lui con gentilezza, privo di risvolti nichilistici: quella era l'unica vita che gli sarebbe stata concessa, ma era meravigliosa e gli bastava.

Suo padre portava sempre il cappello rovinato sulle ventitré, le parti scolorite camuffate con l'inchiostro, ma tornava alla sera con un sorriso sulle labbra e dei bretzel profumati per i suoi bambini.

𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora