17. RENEGAT

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Non avevano più parlato di George.

Risultava quasi impossibile, a volte, quando lui era in tutti i gesti che compivano e in ogni singola parola che si scambiavano, ma -e questo Paul si era premurato di sottolinearlo- era necessario.

E non importava che Ringo si fosse speso per giorni nel ricordargli che quello di George non era stato un tradimento, che la disperazione che lo aveva portato a voler morire non poteva essere condannata, che le regole del mondo e del buonsenso ad Auschwitz rattrappiscono come foglie riarse dal sole e non c'è verso di tenere a mente chi si è.
La morte era una visione dolce, da accarezzare di tanto in tanto quando il coraggio veniva meno e si aveva bisogno di pensare alle tenebre, che saranno anche spaventose, ma comunque più chiare e luminose dei cieli bui e grigi di Auschwitz.

"Chiudi gli occhi, Paul. Se ti concentri senti ancora l'odore della carne che brucia, la cenere di quei corpi perduti che ti entra nelle narici e ti si deposita sulle vesti. Ora immagina che quella cenere sia tua sorella, quella che ti ha salvato e che tu ami, e che quello del vento sia l'unico abbraccio che le è possibile darti. Pensa che non la rivedrai mai più, e pensa anche all'ultimo tocco che sei riuscito a darle prima di gettarla tu stesso fra le fiamme. Immagina che il tuo cuore sia spezzato in mille insignificanti pezzi, e che persino ciò che ne resta sia roso dal senso di colpa, perché in fondo tu sei quasi felice che lei sia morta. Ogni notte sogni le sue unghie graffiare la porta mentre il gas già la sta avvelenando, le sue grida e la sua faccia stravolta. La sogni chiamarti, urlare che ha bisogno di te, chiedersi perché non sei lì a salvarla, supplicare il suo fratellino di aiutarla, e nonostante questo ancora credi sia meglio che non abbia superato la selektion. Se fosse rimasta in vita avrebbe conosciuto Auschwitz, e sarebbe forse finita in uno di quei bordelli dove i tedeschi, dopo tanto parlare di sangue puro, danno sfogo ai loro vizi più indicibili. Ma questo non è un sentimento naturale, non puoi essere davvero felice del fatto che tua sorella sia morta, e questo ti uccide. E, Paul, se tieni gli occhi chiusi ancora per un secondo mi vedi tornare nel block dodici con il volto sfigurato, incapace di comunicare con te e spiegarti cosa sia successo. Hanno ucciso tua sorella e ora vogliono prendersi il tuo migliore amico, tuo fratello, che si ritrae al tuo tocco e sembra aver perso la ragione per sempre. Ma non basta, se ora ti volti vedi il corpo di Brian cadere a terra, e un foro sulla stessa fronte che ricordi di aver fatto spesso aggrottare, e su cui hai posato tanti piccoli baci di scuse. Gli altri in quel momento perdono un amico, ma tu perdi un secondo padre, che è un dolore ben diverso. Hai già perso il primo, l'uomo che ti ha preso fra le braccia quando eri appena venuto al mondo ti ha gettato in strada a diciassette anni urlandoti quanto gli facevi schifo, e per lui sei più che morto. Inizi a sentirti maledetto. Ogni cosa che tocchi muore, ogni persona che ami è vittima del tuo destino. Non hai un Dio a cui rivolgerti, e gli esseri umani ti fanno ancora più paura perché, se nella tua vita non hai mai conosciuto il Bene assoluto, sei più che certo di conoscere il Male in ogni sua sfaccettatura.
Immagina tutto questo, Paul, e se ancora riesci ad odiarlo dimmi come fai, perché io non ci riesco".
Così parlava Ringo nei ritagli di tempo in cui riusciva a tirare fuori l'altro dal nascondiglio, e aveva smesso solo quando Paul, la voce più stanca che mai e gli occhi vitrei, aveva sollevato a fatica una mano, a palmo aperto, e aveva mormorato "Basta".

E c'era in quell'unica parola tanta rassegnazione, che Richie aveva taciuto per paura di perdere anche lui.

Paul era cambiato tanto, in quei pochi mesi.
L'estate era volata via come un soffio di vento, senza che lui ne venisse neanche sfiorato.

Grazie alle cure di Ringo e alla dispensa del maggiore il suo corpo si era fatto più solido (o, quantomeno, si poteva pensare di toccarlo senza temere che si rompesse) ma la chiarezza alabastrina della sua pelle, in contrasto con la folta chioma corvina, lo faceva apparire abbandonato e quasi malato.
Le guance avevano del tutto perduto colore, e i suoi occhi profondità: Paul sembrava una bambola di pezza venuta al mondo per sbaglio, uno spettro che infestava quella casa per espiare le proprie terribili colpe.

"Ti servirebbe un po' di sole, per la pelle e le ossa, sai" aveva commentato Richie una volta, ma lo sguardo ironico, sprezzante e quasi disgustato con cui Paul aveva accolto quella semplice osservazione lo aveva immediatamente messo a tacere.
Così il polacco si era ripromesso di prestare più attenzione a ciò che usciva dalla sua bocca, per non rendere ancor più difficile all'amico la condizione di recluso, e aveva smesso di parlare di ciò che avveniva al di fuori di quella casa.

Era come se, dato che il mondo aveva deciso di considerarlo morto, Paul per ripicca avesse deciso di non volerne sapere più nulla, accontentandosi di quel micro universo i cui unici abitanti erano lui e Ringo.

L'unica cosa che sembrava interessare a Paul, al di fuori delle mura della sua prigione, era Chaim.

La sua curiosità verso quel piccolo sedicenne arrabbiato, senza forze e senza Dio, era talvolta tanto asfissiante da portare il pazientissimo Richie ad alzare gli occhi al cielo e tornare alla baracca con il cervello fumante.

Certo, capiva perfettamente il perché di tutte quelle domande, solo un idiota non si sarebbe reso conto dell'evidente affinità caratteriale fra Chaim e George, eppure non era del tutto certo che quel tipo di morbosa affezione potesse risultare positiva.
Chaim continuava infatti, per la sua stessa sicurezza, ad ignorare l'esistenza di Paul e, come tutti, a considerarlo morto, e questo spingeva il tedesco ad elevati picchi di frustrazione.

"A volte penso di essere morto sul serio, Richie" ripeteva spesso, quando diventava troppo difficile tenersi tutto dentro, "Come se, uscendo da questa maledetta casa, potessi sgretolarmi fino a diventare polvere".

In verità c'era qualcosa, un'unica cosa che ancora faceva sentire Paul vivo, e strano a dirsi, era John Lennon.

Ogni notte l'ufficiale nazista scendeva in salotto, i passi lenti e leggeri come quelli di un gatto, e suonava senza sapere che qualcuno, appena sotto di lui, lo ascoltava trattenendo il respiro.

La musica era qualcosa di così vicino alla libertà, alla spensieratezza, alla vita, che Paul si ritrovava il più delle volte con le guance bagnate e il cuore gonfio di sentimenti contrastanti.

In quei momenti permetteva persino al ricordo di George di tornare a trovarlo, il suo sorriso di sempre mentre diceva "Chi vive senza musica vive una vita a metà", e con la voce di John Lennon a rischiarare la notte Paul riusciva anche a rispondergli "Hai ragione, spero ci sia tanta musica, lì dove sei".
E nei suoi pensieri George sorrideva di nuovo e gli diceva "Mi devi ancora un ballo, ricordi?", tendendo la mano.
"Sì, tu aspettami" sussurrava allora Paul, coperto dalla melodia del pianoforte.
Ma la canzone non era mai abbastanza lunga per arrivare a sentire la risposta di George.

Quando Ringo si era lamentato con lui del fatto che il maggiore si svegliasse sempre più tardi, obbligandolo a rifare più volte la colazione ("Non sia mai che il piccolo principe nazista mangi le sue uova fredde!"), Paul si era guardato bene dal rivelarne la ragione.
Dipendeva da Richie in qualunque cosa, e per quanto sinceramente fosse grato all'amico per tutto ciò che faceva, era bello avere un segreto che fosse, sì, solo suo.

O, almeno, sperava che lo fosse ancora.

Non aveva il coraggio di raccontare al polacco delle notti in cui, al di là delle travi, sentiva degli occhi fissi su di sé.

𝐒𝐌𝐎𝐊𝐄 𝐁𝐄𝐍𝐄𝐀𝐓𝐇 𝐀 𝐒𝐈𝐋𝐄𝐍𝐓 𝐁𝐋𝐔𝐄 𝐒𝐊𝐘 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora